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Economia

Fmi, taglio tassi Fed e Bce nella seconda metà del 2024

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I tassi di interesse negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nell’area euro resteranno ai “livelli attuali fino alla seconda metà del 2024 prima di calare gradualmente”. La previsione del Fondo monetario internazionale smorza anche le più lievi speranze di un taglio dei tassi già in primavera. L’ipotesi di una sforbiciata della Fed già in marzo è completamente tramontata di fronte alla forza dell’economia e ora le stime più ottimiste indicano maggio come il mese della svolta, anche se giugno o l’estate appaiono la soluzione migliore per la banca centrale americana.

Far slittare il taglio dei tassi consente infatti alla Fed di guadagnare tempo e verificare con mano gli effetti reali sull’economia della sua aggressiva campagna di rialzi del costo del denaro, schizzato ai massimi da 22 anni ma non per questo in grado di frenare la crescita. Con un pil americano in crescita del 3,1% nel 2023 e un mercato del lavoro solido – le posizioni vacanti sono salite a 9 milioni, ai massimi da tre mesi -, per la Fed è difficile giustificare un taglio dei tassi anche perché l’inflazione sta rallentando e sembra avviata, nel tempo, a tornare all’obiettivo del 2%.

In dicembre la banca centrale americana ha stimato tre tagli dei tassi quest’anno ma Wall Street si è spinta ben oltre, con alcuni economisti che hanno previsto un allentamento della politica monetaria ben più sostanziale. Le banche centrali “devono evitare un allentamento prematuro” che metterebbe a rischio la credibilità che si sono guadagnate e si potrebbe tradurre in una ripresa dell’inflazione, ha detto il capo economista del Fmi Pierre-Olivier Gourinchas, sottolineando comunque che è “ugualmente importante” orientare in tempo la politica monetaria verso una normalizzazione così da non creare pericoli per la crescita.

“Con l’inflazione che cala verso il target, la priorità di breve termine per le banche centrali è un atterraggio morbido, né abbassando i tassi in modo prematuro né ritardando troppo i tagli”, ha aggiunto Gourinchas illustrando la doppia sfida che le banche centrali si trovano ad affrontare e il difficile equilibrio che sono chiamate a centrare.

La Fed non è l’unica a trovarsi di fronte al bivio del taglio dei tassi e a invocare la cautela in qualsiasi scelta. Anche la Bce di Christine Lagarde cavalca l’onda della prudenza. “Siamo dipendenti dai dati”, ha ribadito la presidente dell’Eurotower nella sua ultima conferenza stampa osservando come le nubi sulle prospettive a medio termine non si sono interamente dissipate. La situazione in Medio oriente, ha detto, è la ‘sorvegliata speciale’ per i rischi che pone ai prezzi di energia e trasporti. Lagarde guarda comunque anche più avanti del medio termine e in particolare a un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca che potrebbe esporre l’Unione europea a potenziali dazi. Per l’Ue – spiega in un’intervista a Cnn – il modo migliore per prepararsi a un possibile ritorno di Trump è rafforzare il mercato unico europeo.

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Economia

Effetto Trump, bruciati in Borsa 6.500 miliardi in 100 giorni

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Nei primi cento giorni di presidenza Trump ci sono stati 70 giorni di scambi a singhiozzo sui mercati finanziari e 32 giorni di perdite, con oltre 6.500 miliardi di dollari cancellati dal valore delle società quotate. Lo scrive il New York Times, secondo cui per i mercati finanziari il calo del 7% dell’indice S&P 500 rappresenta il peggior inizio di mandato presidenziale da quando Gerald R. Ford subentrò a Richard M. Nixon nell’agosto del 1974, dopo lo scandalo Watergate. La crisi, sottolinea il quotidiano, è persino peggiore di quando scoppiò la bolla tecnologica all’inizio del secolo, e George W. Bush ereditò un mercato già in caduta libera. Al contrario, Trump ha ereditato un’economia solida e un mercato azionario in ascesa da un massimo storico all’altro. La situazione è cambiata rapidamente quando Trump ha annunciato i suoi dazi il 2 aprile, facendo esplodere la volatilita’ nei mercati finanziari.

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Oxfam, compensi ad cresciuti del 50% per lavoratori solo +0,8%

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A livello globale, negli ultimi 5 anni, la retribuzione mediana degli amministratori delegati d’impresa è cresciuta del 50%, in termini reali, passando da 2,9 milioni di dollari nel 2019 a 4,3 milioni nel 2024. Un aumento che supera di ben 56 volte la modesta crescita del salario medio reale (+0,9%), registrata nello stesso periodo nei Paesi per cui sono pubblicamente disponibili le informazioni sui compensi degli ad.

E’ quanto riporta un’analisi di Oxfam diffusa in occasione del Primo maggio. Nel dettaglio, tra i Paesi in cui il campione di imprese analizzate è sufficientemente ampio, emerge che: Irlanda e Germania vantano alcuni tra gli ad più pagati con una retribuzione annua mediana rispettivamente di 6,7 milioni e 4,7 milioni di dollari nel 2024; in Sudafrica il compenso annuo mediano degli AD era di 1,6 milioni di dollari nel 2024, mentre in India ha raggiunto i 2 milioni di dollari.

“Anno dopo anno assistiamo allo stesso spettacolo a dir poco grottesco: i compensi degli ad crescono vertiginosamente, mentre i salari dei lavoratori in molti Paesi restano fermi o salgono di pochi decimali”, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia. L’analisi di Oxfam si è concentrata inoltre sui divari salariali di genere a livello d’impresa. Esaminando 11.366 imprese di 82 Paesi, che pubblicano informazioni sul gender pay gap aziendale, si evince che il divario retributivo di genere a livello di impresa si sia, in media, ridotto tra il 2022 e il 2023, passando dal 27% al 22%. Ma tra le 45.501 imprese di 168 Paesi con un fatturato annuo superiore a 10 milioni di dollari e che riportano il genere del proprio ad, meno del 7% aveva una donna nella posizione apicale dell’organigramma aziendale.

Per quanto riguarda la dinamica dei salari reali in Italia, secondo Oxfam se, anziché ricorrere agli indici generali dell’inflazione, si facesse riferimento alla variazione dei prezzi del carrello della spesa (come approssimazione dei beni maggiormente consumati dai lavoratori con basse retribuzioni), il salario lordo nazionale registrerebbe, in media, una perdita cumulata di circa il 15% nel solo quadriennio 2019-2023 e la dinamica positiva del 2024 non rappresenterebbe che un placebo per i lavoratori con le retribuzioni più basse.

“Fino ad oggi, nell’azione del Governo è del tutto assente una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, che scommetta su innovazione, transizione verde e formazione, senza lasciare indietro nessuno. – conclude Maslennikov – Il Governo stenta a intervenire sul rafforzamento della contrattazione collettiva e sulla revisione del sistema di fissazione dei salari e ha affossato il salario minimo legale che rappresenta una tutela essenziale per i lavoratori più fragili”.

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Wsj, cda di Tesla cerca un nuovo ceo per sostituire Musk

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Il consiglio di amministrazione di Tesla ha iniziato a cercare un nuovo CEO per sostituire il fondatore Elon Musk. Lo riporta il Wall Street Journal. Secondo il quotidiano la decisione è stata presa dopo il crollo delle azioni e degli utili di Tesla. Alcuni investitori ritengono che Musk sia troppo impegnato con il suo lavoro di capo del Dipartimento per l’Efficienza Pubblica (DOGE), che pure sembra volgere al termine. Non è stato reso noto se Musk sia stato informato della decisione.

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