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Economia

Ecotassa, il Governo potrebbe rivedere incentivi per elettrico e alzare il limite di emissioni di anidride carbonica

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Alzare da 110 a 150 grammi di CO2 per chilometro il limite al di sotto del quale non si paga la sovrattassa per le auto inquinanti. È  l’ipotesi che circolava ieri negli ambienti del Ministero dei Trasporti per evitare l’impatto dell’ecotassa sulle automobili. La mossa eviterebbe di alzare il prezzo di utilitarie, come la Panda, che emettono anidride carbonica in quantità consistente ma sono di prezzo limitato e dunque più sensibile agli aumenti. Una seconda ipotesi potrebbe essere quella di far scattare la sovratassa su veicoli che abbiano un motore potente, vincolandola alla cilindrata o alla potenza.
Si prova ad evitare la protesta dei costruttori e dei lavoratori dell’auto. A partire dai dipendenti di Pomigliano che la Panda la costruiscono. Ieri il vicepremier Di Maio è tornato sulla vicenda: “Non tasseremo le auto delle famiglie. Ci sono costanti contatti tra il ministero e tutti i soggetti interessati e mi pare che si stia andando verso una soluzione che garantisca il bonus per auto elettriche fino a 6.000 euro e allo stesso tempo consentirà di non tassare, appunto, le auto delle famiglie” .

Uno schema che più tardi è stato confermato da Sergio Costa, ministro dell’ambiente: “Il bonus sull’acquisto di auto a emissioni basse o nulle è necessario che rimanga per orientare le scelte del cittadino al meglio. Il malus può rappresentare una sofferenza. In questo senso l’ ecotassa potrebbe essere rivisitata”.
L’idea, in sostanza, è quella di lasciare gli incentivi a chi acquista auto elettriche o ibride e togliere la sovrattassa a chi compera auto inquinanti. La soluzione servirebbe certamente a spegnere le proteste dei produttori, degli imprenditori e dei sindacati ma avrebbe un piccolo difetto: chi paga? Nella relazione di accompagnamento al provvedimento che istituiva il bonus/malus, si affermava che il gettito della sovrattassa ( il malus) dovrebbe essere intorno ai 375 milioni mentre la spesa per gli incentivi alle auto elettriche ( bonus) si aggirerebbe intorno ai 300 milioni.
Abolire il “malus” significa spendere 300 milioni senza incassarne alcuno. Se nella prima versione il provvedimento garantiva un introito nelle casse dello Stato di 75 milioni, l’abolizione del “malus” prevede al contrario un costo di 300 milioni che bisognerà scovare nelle pieghe del bilancio.
Dunque in queste ore si sta cercando di agire contemporaneamente su più fronti: limitando i bonus, ad esempio, alle auto che abbiano un prezzo inferiore a una certa cifra per evitare di dare soldi a chi può permettersi bolidi da 100 mila euro. O, in alternativa, limitando l’obbligo di pagare il malus solo a chi ha un reddito superiore a un certo importo. L’ultima e più estrema delle soluzioni per uscire dall’impasse sarebbe quella che il governo gialloverde in difficoltà ha applicato spesso in queste settimane di polemiche: rinviare. Il provvedimento potrebbe insomma essere confermato ma entrare in vigore non il 1 gennaio del 2019 ma uno o due anni dopo. Questa, in sostanza, è la richiesta dei costruttori, Fca in testa: evitare lo shock di un provvedimento che dovrebbe diventare operativo tra quindici giorni.

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Economia

Recupero Superbonus in 10 anni solo per le banche

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Tramonta l’ipotesi per i contribuenti di poter recuperare in 10 anni, anziché in 4, la detrazione del superbonus. La misura era allo studio per sostenere chi ha redditi bassi e quindi non ha abbastanza capienza fiscale per recuperare tutto, ma nel pacchetto di emendamenti riformulati al decreto superbonus questa possibilità viene prevista solo per banche e imprese che hanno acquistato i crediti. E mentre l’opposizione accusa l’esecutivo di difendere i ricchi e le banche, cresce l’attesa per la soluzione definitiva sul nodo dei crediti incagliati, che dovrebbe prevedere il ricorso agli F24 e ai Btp a 10 anni. Sullo sfondo resta l’ipotesi di una piattaforma di vendita gestita da una partecipata dello Stato.

Il lavoro sugli ultimi emendamenti riformulati è alle battute finali: la commissione Finanze di Montecitorio è convocata per domani alle 14 per riprendere le votazioni e chiudere l’esame del provvedimento, atteso mercoledì in Aula. Tra le modifiche su cui sarebbe già stato trovato l’accordo, c’è l’esclusione dal blocco della cessione e dello sconto in fattura per gli istituti per le case popolari (Iacp), le onlus e il terzo settore. Per salvare le cessioni del 2022, un emendamento riformulato del relatore, Andrea de Bertoldi (FdI), consente per chi non abbia concluso il contratto di cessione entro la scadenza del 31 marzo di effettuare la comunicazione all’Agenzia delle Entrate con la ‘remissione in bonis’: ovvero, entro il 30 novembre, pagando una sanzione di 250 euro.

Si va inoltre verso un ulteriore allargamento dello scudo dalla responsabilità in solido per chi acquista i crediti del superbonus: l’esclusione dal concorso nella violazione, già prevista da decreto per chi dimostra di aver acquisito i crediti e che siano in possesso di una specifica documentazione, viene estesa a tutti i cessionari che acquistano i crediti da una banca o da altra società appartenente al gruppo bancario della stessa banca, o da una società quotata o da altra società appartenente al gruppo della medesima società quotata. Un altro emendamento riformulato, inoltre, integra la l’elenco dei documenti da possedere. Nel pacchetto manca però la misura per i redditi più bassi per spalmare su 10 anni il recupero in detrazione delle spese del superbonus, denunciano alcuni partiti di opposizione.

La misura, secondo quanto si apprende, avrebbe richiesto coperture che al momento sono considerate da rinviare a dopo il Def. Uno “stralcio”, attacca Alleanza Verdi e Sinistra, con cui il governo “conferma di avere a cuore il benessere dei ricchi e delle banche”. Il relatore si dice “fiducioso” sul fatto che il Parlamento darà una risposta al problema degli ‘esodati’ del superbonus in modo trasversale con il contributo di maggioranza e opposizione.

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Cronache

Migranti: Coldiretti, domani click day per 82.705 ingressi

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Domani scatta il click day per l’arrivo in Italia dei lavoratori extracomunitari previsti dal decreto flussi, con il nuovo Dpcm di programmazione transitoria dei flussi, che stabilisce 82.705 ingressi, in aumento rispetto ai 69.700 dell’anno precedente e la metà dei quali lavorerà nei campi, rileva la Coldiretti in una nota. “In Italia un prodotto agricolo su quattro viene raccolto da mani straniere, con 358mila lavoratori provenienti da ben 164 Paesi”, rileva l’organizzazione agricola citando i dati del Dossier Idos. Per il presidente della della Coldiretti, Ettore Prandini, sarebbero necessari “almeno centomila giovani” e questa “è una necessità da affrontare con un decreto flussi aggiuntivo, previsto peraltro dalla legge, ma è importante anche il nuovo sistema di prestazioni occasionali introdotto nella Manovra dal Governo e sostenuto da Coldiretti. che porta una rilevante semplificazione burocratica per facilitare l’avvicinamento dei cittadini italiani al settore agricolo”. Potranno accedervi, si rileva, pensionati, studenti, disoccupati, percettori di Naspi, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali e detenuti ammessi al lavoro all’esterno. Al lavoratore saranno inoltre garantite le stesse tutele (contrattuali, previdenziali, assistenziali, ecc.) previste per gli occupati a tempo determinato.

Le quote per il lavoro stagionale attese principalmente nelle campagne, oltre che nel settore turistico alberghiero, ammontano a 44.000 unità (contro le 42.000 dello 2022). Di queste, prosegue la nota, “1.500 sono riservate alle nuove richieste di nullaosta stagionale pluriennale, ingressi che di fatto consentono all’impresa negli anni successivi di non essere vincolata ai termini di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Dpcm per avere accesso all’autorizzazione”. Per la Coldiretti la novità di questo decreto è la conferma del rilascio di quote stagionali di ingresso riservate alle associazioni di categoria per i propri associati “nella misura di 22.000 unità (erano 14.000 l’anno prima), norma sperimentale introdotta dal decreto semplificazione (Dl 73/2022), sostenuta dalla Coldiretti e resa strutturale con il recente decreto legge 20/2023”. Le richieste presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro, “che avranno priorità sulla generalità delle istanze, saranno preventivamente verificate dalle organizzazioni professionali stesse che – rileva l’organizzazione agricola – assumono anche l’impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori, di fatto accelerando l’intero iter della procedura d’ingresso”. Il nuovo decreto, conclude la nota, sarà anche l’occasione “per sperimentare il superamento del nullaosta, sostituito da una comunicazione allo sportello unico per l’immigrazione da parte del datore di lavoro contenente la proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, che verrà immediatamente trasmesso all’ambasciata italiana all’estero per più tempestivo rilascio del visto di ingresso”.

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Economia

Patto Ue-Germania sugli e-fuel taglia fuori l’Italia

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Accordo fatto tra la Commissione europea e la Germania sugli e-fuel. L’intesa consentirà di commercializzare gli autoveicoli con motori termici anche dopo il 2035 – quando scatterà il divieto di vendere auto a benzina e diesel – a condizione che siano alimentati con carburanti sintetici, cioè in grado di garantire la neutralità climatica. Ad annunciare l’intesa su Twitter è stato il vicepresidente dell’esecutivo comunitario, il socialista olandese Frans Timmermans, responsabile per il Green Deal dell’Ue.

Una notizia che dovrebbe spianare la strada all’approvazione definitiva della norma che prevede lo stop delle vendite di auto a benzina e gasolio dal 2035. Ma che lascia l’Italia senza un alleato fondamentale nella battaglia ingaggiata a Bruxelles su questo fronte solo qualche settimana fa – sfruttando anche la posizione assunta a sorpresa da Berlino soprattutto per motivi di politica interna – con l’obiettivo di aggiungere, insieme agli e-fuels, pure i biocarburanti tra i combustibili utilizzabili dai motori termici dopo il 2035. “L’Italia, senza nessuna inutile prova di forza, in queste ore è impegnata a fornire tutti gli elementi utili per far comprendere all’Ue, in modo scientificamente e razionalmente inappuntabile, l’importanza di inserire i biocarburanti tra i combustibili verdi”, ha sottolineato il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.

“Contiamo che l’Europa non si dimostri irragionevole e sorda ai richiami che provengono da un Paese fondatore”. Sul tema è intervenuto anche il vicepremier e ministro per le infrastrutture, Matteo Salvini. “A tutela di posti di lavoro, ambiente e attività produttive e per non fare solo un enorme regalo alla Cina è necessario che l’Europa apra anche ai biofuels”. Sulla stessa linea il capodelegazione di Fratelli d’Italia- Ecr al Parlamento europeo, Carlo Fidanza: “Prendiamo atto – afferma – dell’accordo tra la Commissione e il governo tedesco sugli e-fuels. Seguendo lo stesso principio fa più che bene il governo Meloni a non mollare su questo punto, che è ovviamente coerente con l’interesse nazionale italiano ma anche con un approccio scientifico realistico e non ideologico”.

Alla luce dell’intesa annunciata da Timmermans, al momento però Bruxelles pare intenzionata ad andare incontro solo alle richieste di Berlino in modo da sbloccare l’impasse che aveva stoppato, con una vero e proprio colpo di scena, l’iter della norma sulle auto ecologiche su cui il Parlamento Ue aveva già dato il suo ok e che aveva superato anche il negoziato con il Consiglio. L’accordo è stato commentato con soddisfazione dal ministro tedesco ai trasporti Volker Wissing, il quale ora si aspetta che Bruxelles traduca in un atto delegato l’impegno preso in favore dei carburanti sintetici. Un fronte, quello degli e-fuel, sul quale non mancano comunque le critiche, e non solo dei verdi europei. Osservatori qualificati hanno evidenziato che questi carburanti sono ancora molto costosi e difficili da produrre.

Per Markus Duesmann, patron dell’Audi (gruppo Volkswagen), ad esempio, i carburanti sintetici “non sono destinati a giocare, nel medio termine, un ruolo rilevante nel settore delle auto più vendute”. E in funzione del loro costo molto elevato, secondo altri esperti, verranno utilizzati al massimo per vetture di lusso come le Porsche o le Ferrari. Ora la palla torna al Consiglio. Lunedì il dossier sarà sul tavolo degli ambasciatori dei 27, il cosiddetto Coreper. E martedì toccherà ai ministri dell’ambiente Ue, tra cui Pichetto Fratin, decidere se l’intesa raggiunta con la Germania consente finalmente di dare il via libera definitivo allo stop ai motori termici tradizionali dal 2035.

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