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Cronache

Covid, un sindacato di Polizia, vuole il “vaccino obbligatorio per i detenuti”

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“I casi negli istituti penitenziari stanno aumentando in modo esponenziale. Cosa aspetta il Governo a rendere obbligatorio il vaccino per i detenuti, nonche’ l’obbligo di esibizione del Green pass per i familiari dei detenuti e per gli avvocati che accedono in istituto, che possono essere veicolo di contagio?”. E’ quanto chiedono i sindacalisti della polizia penitenziaria Giuseppe Moretti e Ciro Auricchio, rispettivamente presidente nazionale e regionale campano dell’Uspp (Unione sindacati polizia penitenziaria), che intervengono nuovamente, come gia’ nelle scorse settimane, sulla situazione soprattutto dei detenuti positivi nelle carceri campane e del resto d’Italia, ribadendo la richiesta di rendere obbligatorio il vaccino e superare cosi’ le resistenze di molti reclusi che ancora non vogliono vaccinarsi (94719 le dosi somministrate, poco oltre il 40% dei detenuti si e’ vaccinato). Ma i contagi non risparmiano neanche i poliziotti penitenziari e il personale civile dell’amministrazione (dipendenti amministrativi, educatori psicologi), con una differenza numerica di non poco conto: si registrano piu’ casi infatti tra gli agenti, nonostante per loro sia l’obbligo di vaccinarsi, rispetto al resto del personale, per i quali non vige invece l’obbligo, e cio’ perche’ i poliziotti sono piu’ a contatto con i detenuti. Va detto che comunque la stragrande maggioranza di detenuti e del personale risultati positivi e’ asintomatico, ma comunque l’alto numero di casi si sta ripercuotendo sulla funzionalita’ delle strutture, viste le assenze specie tra i poliziotti. “Chiediamo tamponi rapidi giornalieri per la polizia penitenziaria – aggiungono Moretti e Auricchio – nonche’ l’uso obbligatorio delle mascherine FFp2 con fornitura da parte del commissario straordinario per l’emergenza Covid, il tutto per fronteggiare il grave rischio pandemico nelle carceri e scongiurare cosi’ una paralisi dei servizi nonche’ possibili tensioni interne”. Al carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), dove da settimane si registrano numeri record per i contagi tra i detenuti – ad oggi sono 59 i casi, primato italiano – sono poco oltre il 50% i reclusi vaccinati (quasi 1000 i detenuti). Una situazione che riguarda anche le altre carceri campane, dove pero’ il numero di casi positivi e’ inferiore a quello di Santa Maria Capua Vetere: quindici i detenuti contagiati alla struttura napoletana di Poggioreale, cinque a quella di Secondigliano, tre a Salerno, quattro a Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino) e uno a testa negli altri due istituti casertani di Aversa e Carinola. La Campania, con 88 positivi in totale tra i detenuti, e’ terza in Italia dopo Lombardia (111 positivi) e Veneto (110). In tutta Italia sono 510 i detenuti positivi, di cui 501 asintomatici e solo una decina con sintomi. Numeri piu’ o meno simili per i poliziotti penitenziari e il personale amministrativo delle carceri con una marcata differenza pero’ tra le due figure professionali: 564 i positivi in totale, ma di questi 527 casi riguardano gli agenti (479 asintomatici e 48 con sintomi) e 37, di cui quattro con sintomi, il personale restante. Basta guardare ai dati campani, con appena due dipendenti civili positivi al carcere di Benevento (entrambi con sintomi) ed uno ad Aversa (asintomatico), mentre non si registrano casi nelle altre carceri della regione. Sono 45 invece i casi riscontrati nel personale della polizia penitenziaria – due con sintomi – in servizio nelle strutture campane, un trend che si osserva in tutta Italia: nel Lazio sono 73, in Lombardia 119. In Campania il maggior numero di agenti positivi si conta a Poggioreale (undici), quindi a Secondigliano e Santa Maria Capua Vetere (8).

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Cronache

Conclave 2025, i cardinali decidono: si comincia il 7 maggio

Il Conclave per eleggere il successore di Papa Francesco inizierà il 7 maggio. I cardinali si riuniranno nella Cappella Sistina: le regole, i tempi e il ruolo di Parolin.

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I cardinali hanno deciso: il Conclave che eleggerà il 266esimo successore di Pietro inizierà il 7 maggio, mercoledì prossimo, nel pomeriggio. L’annuncio è arrivato dopo l’assemblea dei porporati che ha scelto di prendersi qualche giorno in più per motivi principalmente logistici.

Più tempo per sistemare gli elettori

La decisione di posticipare l’inizio del Conclave rispetto alla conclusione dei novendiali di suffragio per Papa Francesco, che termineranno domenica, è dovuta alla necessità di organizzare adeguatamente l’accoglienza dei 135 cardinali elettori – il numero più alto mai registrato – presso la Casa Santa Marta. Due porporati, infatti, hanno già annunciato la rinuncia per motivi di salute.

La guida del Conclave

A presiedere il Conclave sarà il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato Vaticano, poiché il Decano Giovanni Battista Re e il Vice Decano Leonardo Sandri, avendo superato gli ottant’anni, non parteciperanno alle votazioni. Toccherà a Parolin, quindi, interrogare il nuovo eletto circa l’accettazione del pontificato e il nome che vorrà assumere.

Prima dell’inizio delle votazioni, la mattina del 7 maggio, il cardinale Re celebrerà la Missa pro eligendo Romano Pontifice nella Basilica di San Pietro. Nel pomeriggio, i cardinali si raccoglieranno nella Cappella Paolina per poi entrare in processione nella Cappella Sistina intonando il “Veni Creator Spiritus”, invocando l’assistenza dello Spirito Santo.

Le regole del Conclave

Come stabilito dalla Costituzione Universi Dominici Gregis di San Giovanni Paolo II, i cardinali hanno giurato di rispettare rigorosamente le norme che regolano l’elezione. Sono vietate influenze esterne, pressioni, favoritismi o avversioni personali. L’unico criterio dev’essere il bene della Chiesa e la gloria di Dio.

Il nuovo Papa dovrà essere eletto con una maggioranza qualificata di due terzi. Dopo il comando “Extra omnes” (“Fuori tutti”), inizieranno le votazioni: il primo scrutinio sarà effettuato il 7 maggio. Dal giorno successivo, se necessario, si procederà con quattro votazioni quotidiane, due al mattino e due al pomeriggio.

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Genova, sindacalista inventa un’aggressione fascista: indagato per simulazione di reato

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Un grave episodio di simulazione scuote il clima politico e sindacale a Genova. Fabiano Mura, segretario genovese della Fillea-Cgil (categoria degli edili), è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di simulazione di reato, dopo aver inventato una presunta aggressione subita alla vigilia del 25 aprile.

Mura aveva denunciato pubblicamente e in Procura di essere stato aggredito da due persone che gli avrebbero urlato insulti fascisti, fatto il saluto romano, sputato addosso e colpito con pugni e spintoni. Un racconto drammatico che aveva suscitato un’immediata ondata di solidarietà, culminata in una manifestazione antifascista a cui avevano preso parte esponenti politici e sindacali, tra cui Anpi Genova, la candidata sindaca del centrosinistra Silvia Salis, l’ex ministro Andrea Orlando e l’ex leader Cgil Sergio Cofferati.

La verità emerge: nessuna aggressione

Le indagini della Digos hanno rapidamente sollevato dubbi sulla versione dei fatti fornita da Mura. I riscontri video delle telecamere di sorveglianza e le incongruenze sugli orari hanno smontato il suo racconto. Messo alle strette dagli investigatori, il sindacalista ha infine ammesso davanti al magistrato di essersi inventato tutto e ha ritirato la denuncia.

La Cgil, dopo aver appreso l’esito delle indagini, ha annunciato la sospensione di Mura, prendendo ufficialmente le distanze dal suo comportamento.

Le reazioni politiche

Il caso ha suscitato reazioni forti nel panorama politico. Matteo Salvini, leader della Lega, ha commentato: «Che tristezza. Per tre giorni è stato lanciato l’allarme sulla violenza fascista a Genova, e poi si è scoperto che gli unici fascisti immaginari stanno a sinistra».
Anche Fratelli d’Italia ha denunciato l’episodio, sottolineando che «le falsità fomentano l’odio».

Dal centrosinistra, Silvia Salis ha preso le distanze: «È un atto gravissimo. Noi siamo parte lesa e ci dissociamo completamente da questa azione irresponsabile».

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Caso Garlasco, la madre di Sempio tace e ha un malore

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Ha preferito non rispondere alle domande e ha anche avuto un malessere la madre di Andrea Sempio, convocata stamane dai Carabinieri di Milano nell’ambito della nuova indagine della Procura di Pavia in cui il figlio è per la terza volta indagato per l’omicidio di Chiara Poggi. E questo mentre oggi per Alberto Stasi, l’allora fidanzato della giovane condannato a 16 anni di carcere, è il primo giorno di semilibertà.

Questa mattina Daniela Ferrari, 65 anni, accompagnata dall’avvocato Angela Taccia (nella foto), che difende il figlio assieme al collega Massimo Lovati, si è presentata alle 10 in punto negli uffici milanesi del Comando Provinciale dell’arma per essere ascoltata per la terza volta dal giorno del delitto di Chiara, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007. Uffici che ha lasciato circa mezz’ora dopo, in quanto ha ascoltato il consiglio dei due legali: alla prima domanda si è “avvalsa” e alla seconda ha accusato un malore. Tant’è che all’uscita dalla caserma, visibilmente “scossa” e facendosi largo tra una schiera di telecamere e microfoni, si è infilata in un taxi senza proferire parola.

“Questa convocazione non mi è piaciuta. Se i pm vogliono sentire la signora, che la convochino loro in Procura a Pavia”, ha affermato Lovati esprimendo il disappunto per il modo in cui si sta conducendo l’inchiesta. E’ stato lui a consigliare alla madre di Sempio di “astenersi” dal rispondere. Avrebbe dovuto spiegare ancora a che ora, il giorno del delitto, è uscita di casa e per quali commissioni e a che ora è rientrata. Avrebbe dovuto ricostruire di nuovo, a distanza di quasi 18 anni, gli spostamenti del figlio e raccontare pure la vicenda dello scontrino del parcheggio di Vigevano che il giovane, su suggerimento dei genitori, decise di tenere.

E poi, tra l’altro, le sarebbe stato chiesto di fornire chiarimenti in merito a un ‘fuorionda’ reso pubblico dalla trasmissione de Le Iene su come Andrea sarebbe venuto a conoscenza di alcuni atti dell’indagine del 2017 che si è chiusa con un’archiviazione. Intanto per Stasi oggi è stato il primo giorno di semilibertà, beneficio concesso dal Tribunale di Sorveglianza nelle scorse settimane e che è in un certo senso l’anticamera dell’affidamento in prova ai servizi sociali e quindi della libertà. Come ogni mattina il 41enne è uscito dal carcere di Bollate per andare in ufficio, ha potuto, poi, dedicarsi ad alcune attività private. Tutto questo in base alle prescrizioni approvare dalla magistratura e che gli consentono di rientrare nell’istituto di pena alle porte di Milano dopo cena ma soprattutto di proseguire lungo un percorso di reinserimento sociale.

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