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Covid, l’Italia ha meno paura e ora riapre tutto gradualmente: 4 regioni tornano gialle

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Curve Covid stabili. Verso l'estate senza mascherine

In miglioramento i numeri dell’epidemia da Covid-19 in Italia, a partire dall’indice di trasmissibilita’ Rt pari a 0,77, mai cosi’ basso dal giugno dello scorso anno, e un’incidenza di casi per 100mila abitanti che crolla da 962 a 672. Tanto che a giorni si preannuncia una road map per le riaperture. Lo annuncia proprio il presidente del Consiglio Mario Draghi: “Voglio uscire al piu’ presto possibile, quindi anche limitare le restrizioni. Non abbiamo una road map specifica ma e’ questione di giorni in modo da eliminare ogni incertezza. E’ importante per le famiglie e le imprese” afferma in una conferenza stampa dopo il Cdm. Intanto Abruzzo, Marche, Piemonte e Valle d’Aosta passano dall’arancione al giallo, secondo la nuova ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza in vigore da lunedi’. E lo stesso ministro sottolinea: “Stiamo piegando la curva del contagio. C’e’ stata una riduzione dei casi, dobbiamo stare con i piedi per terra ma siamo in una fase diversa”. Si lavora a limare il Green pass, dice il sottosegretario alla Salute Costa, anche se forse ci potrebbe essere una proroga dell’obbligo al vaccino per gli over-50. Sul tavolo anche la questione delle capienze, con gli stadi che potrebbero essere al 100% gia’ prima del 31 marzo per la partita della Nazionale, a Palermo il 24 marzo, mentre prosegue il dibattito sulle mascherine al chiuso. Un richiamo arriva, pero’, dal presidente dell’Istituto Superiore di Sanita’, Silvio Brusaferro, resta importante la quota di italiani che non hanno ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino, avverte. Secondo il bollettino del commissario all’emergenza, Francesco Figliuolo, infatti, sono 5 milioni al di sopra dei 5 anni le persone che non hanno ancora ricevuto alcuna dose di vaccino, quelli over 50 sono invece 1,3 milioni, anche se in leggero miglioramento rispetto alla settimana scorsa. L’Italia, sul fronte dell’andamento della curva, dice Brusaferro, “e’ fra paesi con decrescita significativa e una riduzione dei casi in tutte le fasce d’eta’”. I numeri, avverte il direttore della prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza “rimangono piuttosto elevati e per questo serve mantenere comportamenti ispirati alla prudenza” anche se l’incidenza e’ in miglioramento” e c’e’ una tendenza “graduale ma continua” della decongestione degli ospedali. Un andamento che viene rafforzato anche dai numeri del bollettino quotidiano del ministero della Salute con le terapie intensive che scendono sotto quota mille con 987, in diminuzione di 50 rispetto a ieri, e i nuovi contagi che continuano a registrare un calo, 53.662 nelle ultime 24 ore contro i 57.890 di ieri. Lieve flessione anche per i decessi anche se il numero delle vittime resta alto con 314 in 24 ore (ieri erano state 320). E che la pressione sugli ospedali sta migliorando lo rileva il monitoraggio settimanale dell’Iss, con l’occupazione delle rianimazioni che scende dal 13,4% al 10,4% e dei reparti dal 26,5 al 22,2 per cento. E l’allentamento del misure potrebbe partire dal green pass. “L’abolizione del Green pass e’ un’ipotesi su cui stiamo ragionando, dice il sottosegretario Costa sottolineando che “i dati positivi ormai da parecchi giorni mettono in evidenza anche un allentamento della pressione sui nostri ospedali e questo e’ certamente l’elemento piu’ positivo oltre che la riduzione dei contagi”. E, prosegue Costa, con la fine dello stato di emergenza il 31 marzo, “sicuramente iniziera’ una fase nuova che sara’ messa in evidenza da un allentamento delle misure restrittive” mentre “non si puo’ escludere una proroga per l’obbligo vaccinale dopo il 15 giugno per gli over 50”. E sulle mascherine al chiuso: “Stiamo riflettendo. Ma l’obiettivo e’ terminare le terze dosi per non vanificare gli sforzi fatti”. Ma sulle riaperture serve prudenza. “Non deve passare il messaggio di un liberi tutti, ma di gradualita’ e prudenza nelle riaperture”, dice Franco Locatelli, coordinatore del Cts e presidente del Consiglio superiore di Sanita’, che mette ancora l’accento sulla necessita’ di spingere sulla vaccinazione per chi e’ riluttante e a recuperare le prestazioni ospedaliere saltate.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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