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Corona Virus

Covid: 1 giovane su 2 davanti agli schermi per oltre 8 ore al giorno

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E’ aumentato a dismisura, soprattutto tra i piu’ piccoli, il tempo trascorso davanti agli schermi, per molti unica “finestra sul mondo”. E, nonostante i device siano stati utilizzati soprattutto per restare in contatto con gli amici e con il mondo esterno, bambini e adolescenti si sono sentiti lo stesso isolati, stressati e tristi. Questo in sintesi il loro racconto dei mesi passati in ‘isolamento’, cosi’ come emerge da un sondaggio condotto da Societa’ Italiana di Pediatria, Polizia di Stato e Skuola.net su un campione di 10 mila studenti – di cui 6.500 ragazzi tra 15 e 18 anni e 3.500 tra 9 e 14 anni – costituito per il 65% da ragazze e per il 35% da ragazzi, rappresentativo di tutto il territorio nazionale. Obiettivo dell’indagine e’ indagare il rapporto con le nuove tecnologie in tempo di pandemia, ma anche far emergere dalla voce dei diretti interessati le emozioni e le abitudini di vita in questo periodo cosi’ particolare e provante. Il sondaggio e’ stato condotto a marzo 2021 e i risultati sono stati messi a confronto con una ricerca analoga, condotta sempre da SIP, Polizia di Stato e Skuola.net a ottobre 2019, ossia prima che bambini e adolescenti italiani conoscessero la lunga fase di confinamento dovuta al virus SARS CoV-2. Il primo dato riguarda il tempo trascorso sui dispositivi tecnologici: 1 ragazzo su 2 trascorre oltre 8 ore al giorno davanti a uno schermo. Ben il 54% del campione dichiara di usare i media device per piu’ di tre ore al giorno, oltre al tempo trascorso in DAD (il 50% nella fascia 9-14 anni, il 57% in quella 15-18 anni). Nel 2019, questa percentuale era pari al 41% ma, a ben vedere, l’aumento ha riguardato soprattutto i giovanissimi, ossia i 9-14enni. Passa, infatti, dal 32 al 50% – dunque da una proporzione di 1 su 3 a un rapporto di 1 su 2 – la quota di bambini e preadolescenti che trascorre sui device piu’ di tre ore al giorno oltre alle attivita’ scolastiche. Se a queste ore si sommano quelle impegnate in DAD, circa 5 al giorno, e’ facile “tirare le somme”: 1 intervistato su 2 passa almeno 8 ore al giorno davanti a un dispositivo. E questo nella migliore delle ipotesi, ossia che le ore extrascolastiche trascorse su smartphone e tablet non siano piu’ di tre. Un tempo che, inoltre, tende a crescere ulteriormente con l’eta’. Al di fuori della didattica, i dispositivi vengono usati prevalentemente per comunicare con gli amici (36%), usare i social (24%), guardare video o film (21%), giocare ai videogame (11%), solo marginalmente per fare ricerche (8%). Rispetto ai dati del 2019, passa dal 24 al 36% la quota di coloro che usano la tecnologia per comunicare con gli amici e si riduce dal 19 all’8% la quota di quelli che usano le risorse digitali per fare ricerche o approfondire argomenti di interesse. Le relazioni nello spazio digitale non bastano: l’80% vive emozioni negative. In mancanza della scuola e di altri ritrovi abituali come palestre, piscine, laboratori teatrali, la tecnologia, come era prevedibile, si afferma come strumento di “sopravvivenza”, unica strada per costruire o mantenere relazioni umane, seppur mediate. Ma gli schermi non bastano a simulare la realta’. Cosi’, il 25% degli intervistati dichiara di sentirsi piu’ isolato e avverte la mancanza di una relazione in presenza, il 24% si sente piu’ stressato, il 18% piu’ triste, il 14% dichiara di aver paura per i propri familiari e per il proprio futuro, appena il 6% afferma che i rapporti interpersonali sono migliorati grazie alla tecnologia. Soltanto il 13% dichiara di non aver sperimentato nessuna delle emozioni appena elencate. E mentre i piu’ grandicelli (15-18 anni) si sentono maggiormente stressati (27% contro 18%) e preoccupati (15% contro 11%), i piu’ piccoli (9-14 anni) si sentono un po’ piu’ isolati (28% contro 24%). Solo eccezionalmente la pandemia ha rappresentato l’occasione per consolidare relazioni familiari. Alla domanda “durante questi mesi cosa hai fatto di piu’?” il 37% risponde di aver visto piu’ serie tv, il 13% di aver giocato in rete con gli amici, il 12% ha giocato ai videogiochi da solo, soltanto l’11% ha letto piu’ libri, solo il 12% ha parlato di piu’ con la sua famiglia e appena il 3% dichiara di aver giocato piu’ del solito a giochi di societa’ con la famiglia. A fronte di questi dati, la Societa’ Italiana di Pediatria sottolinea i possibili risvolti negativi di stili di vita sbagliati sulla salute fisica e mentale di bambini e adolescenti e auspica il recupero al piu’ presto di abitudini piu’ salutari. Spiega Annamaria Staiano, Vicepresidente SIP: “La brusca sospensione di tutte le attivita’ sociali, incluse le attivita’ scolastiche e le attivita’ all’aperto si e’ associata, negli ultimi mesi, ad un cambiamento in negativo dello stile di vita. I dati sull’utilizzo dei dispositivi elettronici rappresentano un ulteriore pericoloso campanello d’allarme. Numerosi studi clinici hanno gia’ evidenziato quanto, rispetto al periodo precedente la pandemia, negli ultimi mesi si sia verificato un importante peggioramento delle abitudini alimentari, associato ad una significativa riduzione dell’attivita’ fisica. Tali comportamenti scorretti, ai quali si aggiunge l’aumento del tempo trascorso davanti agli schermi, incrementano notevolmente il rischio di sviluppare obesita’, che puo’ essere ormai considerata come una seconda pandemia, forse piu’ silenziosa, ma egualmente preoccupante se teniamo conto degli effetti negativi a lungo termine sulla salute dell’individuo. Sarebbe, pertanto, auspicabile – aggiunge la Vicepresidente SIP – incentivare l’attivita’ fisica e motoria all’aperto per contrastare la sedentarieta’ e favorire uno stile di vita sano.” Tra gli altri dati che devono preoccupare di piu’ vi e’ anche l’aumento dal 38 al 56%, in meno di due anni, dell’utilizzo del telefonino prima di andare a dormire (52% tra i piu’ piccoli, 59% tra i piu’ grandi). “Recenti ricerche confermano che l’uso dello smartphone nelle ore serali interferisce non solo con l’addormentamento, ma anche con la qualita’ del sonno”, aggiunge Elena Bozzola Segretario Nazionale SIP. “La deprivazione del sonno, tra l’altro, aumenta il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, disfunzioni metaboliche, diabete mentale; inoltre, una sua scarsa qualita’ puo’ comportare stanchezza, depressione, disturbi con l’alcol, disturbi ossessivo-compulsivi, abuso di sostanze, risultati scolastici scadenti”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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