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Coronavirus, okay per gli sport individuali ma Spadafora gela il calcio: poi vedremo

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Da maggio lo sport italiano fermato dalla pandemia puo’ cominciare il riscaldamento per la ripartenza. Da lunedi’ 4 potranno riprendere gli allenamenti degli atleti professionisti o di interesse nazionale che praticano sport individuali, mentre per gli sport di squadra, in particolare il calcio, bisognera’ aspettare. Il premier Conte, nell’annunciare la novita’ del dpcm, ha parlato del 18 maggio per gli sport di squadra. Ma date certe per la serie A non ce ne sono. “Il 18 maggio? vedremo, bisognera’ che siano adottati i protocolli di sicurezza”, avverte il ministro dello sport, Vincenzo Spadafora, a ‘Che tempo che fa’ chiarendo quanto illustrato poco prima dal premier Giuseppe Conte nella conferenza stampa sulla Fase 2.

“Non abbiamo ancora deciso per la ripartenza del campionato di calcio – aveva detto Conte -. Anche io da appassionato di calcio all’inizio ritenevo strano che il campionato si fermasse, ma l’emergenza ci ha detto questo. Ora non so se potra’ terminare: lavoriamo per un percorso di sicurezza, se arriveremo a questo vogliamo garantire tutte le condizioni di massima sicurezza, perche’ siamo molto appassionati di sport, vogliamo bene ai nostri beniamini e vogliamo preservarli”. Nuoto e tennis, quindi, cominceranno prima del calcio, che avra’ ancora un po’ di tempo per scogliere gli ultimi dubbi sanitari e legali. Sul primo punto ha insistito il ministro, ricordando che il protocollo di sicurezza per gli allenamenti presentato dalla Figc “non e’ stato ritenuto sufficiente e validato ieri sera dal Comitato tecnico scientifico. Servono approfondimenti necessari che andranno fatti in questi giorni e solo dopo potremo decidere”. Spadafora ha anche respinto le accuse di non voler far ripartire il campionato: “Nessuno vuole dare lo stop, ma dobbiamo arrivare con tutte le disposizioni e i controlli di sicurezza, in una situazione complicata. Nulla e’ scontato”. Una posizione per certi versi attesa, ma che ha comunque spiazzato quanti tra i presidenti e i dirigenti della Lega contavano di poter far allenare almeno individualmente i calciatori: ora in Figc si aspetta di capire i rilievi sul protocollo, per le eventuali modifiche al piu’ presto. Cosa succedera’ a quel punto? La Serie A contava molto sul protocollo sugli allenamenti stilato dalla Commissione medico scientifica della Federcalcio, ma restano dubbi aperti, evidenziati anche dai medici delle societa’, e non e’ da meno l’aspetto legale, perche’ un club, secondo i giuslavoristi, potrebbe essere chiamato a rispondere sul piano civile, ma anche su quello penale in caso di contagi tra i giocatori e pochi altri tesserati coinvolti nel progetto ripartenza.

La convinzione dei presidenti e che anche partendo il 18 la stagione possa chiudersi regolarmente, l’idea play off emerge e scompare come un fiume carsico ma non piace alla maggioranza dei club. In serie C, Ghirelli ha convocato una conference call dei medici, dopo che alcuni avevano protestato per non esser stati consultati: si verifichera’ fattibilita’ e adattamenti del protocollo. Sul fronte tifosi, secondo un sondaggio, condotto da IZI con Comin & Partners, la maggioranza degli italiani (il 64%) sarebbe contraria alla ripresa dei campionati professionistici, soprattutto per motivi sanitari D’altra parte il pendolo del si’ e del no riguarda tutto il calcio europeo. L’Olanda ha deciso di fermarsi, il Belgio che doveva farlo prima ha ancora rinviato la scelta, la Germania aspetta il 30 il verdetto dell’esecutivo per riprendere il campionato magari gia’ il 9 maggio, con il presidente onorario del Bayern, Uli Hoeness, che invita a non avere fretta, pur essendo convinto che sia meglio riprendere: “Non e’ ammissibile che si perda anche una sola vita per una settimana o due di divertimento: nessuno potrebbe farsi carico di una simile responsabilita’”.

Liverpool – Borussia quando c’era la folla allo stadio

Piu’ diretto il ceo del Borussia Dortmund, Hans Joachim Watzke, secondo il quale “o si riprende a giocare, o la Bundesliga sara’ prosciugata. E allora il calcio tedesco non sara’ piu’ nella forma che conoscevamo finora”. In Spagna c’e’ grande cautela e il ministro della sanita’ di Madrid dichiara che promettere un ritorno del campionato prima dell’estate “sarebbe imprudente”. Salvador Illa non si sbilancia nemmeno sul progetto della Liga che intende testare tutti i giocatori per riprendere gli allenamenti e poi le partite, ferme dal 12 marzo. Esultano intanto gli altri sport, anche se solo il testo del decreto chiarira’ se ad esempio il ciclismo e’ considerato sport singolo o di squadra. Lo conferma i ct del ciclismo, Davide Cassani, che aspettava con ansia il via libera del governo alla ripresa degli allenamenti individuali: “E’ un passo che mi trova completamente d’accordo, la situazione sembra in miglioramento – afferma -.. Noi ciclisti saremo responsabili: siamo stati tra i primi a fermarci e alla ripresa seguiremo le regole, d’altronde siamo abituati ad allenarci da soli. Avremo sempre la mascherina in tasca da usare se ci fermeremo e manterremo una distanza di 20 o 30 metri dagli altri”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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