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Coronavirus: le rianimazioni al Nord sono al collasso, si teme per il Sud

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E’ ormai una lotta contro il tempo. I reparti di Terapia intensiva al Nord, soprattutto in Lombardia, sono al collasso e per recuperare posti preziosi si sta procedendo, in queste ore, a trasferire ove possibile i pazienti ricoverati non affetti da Covid-19 in altre strutture anche fuori dalla Regione. I contagi, e di conseguenza anche i casi piu’ gravi che necessitano di essere intubati nelle Rianimazioni – pari a circa il 10% del totale – aumentano infatti di giorno in giorno ed il sistema, avvertono i medici, non potra’ reggere ancora a lungo. Se il Settentrione e’ allo stremo, con qualche eccezione, il Sud Italia si prepara invece ad affrontare un prevedibile e sostenuto aumento dei contagi. Con un monito: “Il Meridione non reggerebbe al trend attuale dei casi con necessita’ di ricovero in Terapia intensiva”. La situazione piu’ grave e’ in Lombardia, che registra il maggior numero di contagi e decessi.

Al momento, nella Regione sono 497 i posti in Terapia intensiva per i pazienti con Covid-19 ma “stiamo provando a recuperarne altri”, afferma l’assessore al Welfare Giulio Gallera. I posti nelle Rianimazioni occupati da questi pazienti, il 28 febbraio “erano 57, adesso sono 399, il 700% in piu’ e cosa succedera’ fra dieci giorni?”, si chiede l’assessore. Parla di “situazione satura” anche il presidente dell’Ordine dei medici di Lodi, Massimo Vajani. Ed una denuncia forte arriva dal suo omologo di Bergamo, Guido Marinoni: “Qui la situazione e’ drammatica. Le terapie intensiva – racconta – sono piene; si riesce ancora a ricoverare i pazienti piu’ gravi con insufficienza respiratoria, ma molti con polmonite bilaterale vengono rinviati al domicilio per essere seguiti dai medici di base e al momento sono circa 2mila. Su vari di questi pazienti non si riesce pero’ a eseguire il tampone, che viene destinato in primis ai ricoverati, nonostante possano essere potenzialmente positivi. E la cosa grave e’ che i medici di base che devono curarli spesso non hanno ancora a disposizione i dispositivi di protezione”. Attualmente, “nella bergamasca ci sono 4 medici ricoverati e 40 in quarantena”. Intanto si cerca, laddove possibile, di mantenere liberi i posti in Rianimazione: pazienti dell’ospedale di Cremona sono stati portati con l’elicottero militare in terapia intensiva a Sondalo, in Valtellina. Altri 4 pazienti sono in trasferimento in queste ore dai reparti della Lombardia e ieri ne sono stati trasferiti altri 13. Migliore e’ invece la situazione del Veneto: “Abbiamo ancora una tenuta ragionevole per la terapia intensiva”, ha detto il presidente Luca Zaia.

Il Paese, attualmente, appare diviso in due ed in questi giorni il Sud – dove i contagi sono in minor numero – si prepara facendo tesoro dell’esperienza del Nord, pur consapevole che l’onda d’urto di uno ‘tsunami’ di nuovi casi sarebbe difficilmente sostenibile. “Stiamo preparando i nuovi posti letto di terapia intensiva, nelle ultime 36 ore abbiamo gia’ attrezzato 50 posti aggiuntivi”, ha annunciato il presidente della Campania Vincenzo De Luca. E i timori sono anche per le migliaia di arrivi da Milano dopo l’annuncio della ‘chiusura’ della Lombardia: sono circa 2mila quelli stimati solo in Puglia. Ormai, afferma il presidente dell’Ordine dei medici di Bari e presidente della Federazione degli Ordini dei medici Filippo Anelli, “il danno e’ stato fatto ma chi e’ fuggito al Sud deve essere consapevole che puo’ mettere a rischio chi gli sta vicino e deve segnalarsi”. In Puglia ci sono 240 posti di Terapia intensiva a fronte di 37 contagi: “Ci stiamo preparando, ma si teme l’emergenza”, afferma Anelli. Un grido d’allarme arriva principalmente dalla Calabria: “Nessuna iniziativa organica e’ stata ancora assunta – afferma il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni, in una lettera al ministro della Salute – per dotare tutti gli operatori sanitari dei necessari dispositivi di protezione e nessuna iniziativa e’ stata assunta per riorganizzare le strutture e l’accesso alle stesse per evitare assembramenti e contatti tra pazienti”. L’emergenza sta pesando pure sui malati oncologici: e’ “meglio rinviare i trattamenti di chemioterapia in ospedale e le visite di controllo, se non per casi urgenti”, e’ l’allerta della Associazione di Oncologia Medica (Aiom), mentre i presidenti dei geriatri delle societa’ Sigg e Sigot chiedono di estendere anche ai reparti di geriatria l’impiego della ventilazione non invasiva, perche’ “non ci puo’ essere una Rupe Tarpea, dove gli anziani saranno lasciati al loro destino”

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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