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Corona Virus

Coronavirus, gioire perchè sono morti “solo” 681 pazienti: il contagio rallenta ma è sempre un bagno di sangue

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Gioire perché sono morti solo 681 nostri concittadini. Sentirsi quasi rinfrancati del fatto che oggi Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, ci dice che oggi il virus covid 19 ha ucciso solo 681 nostri cari più fragili. Non i quasi mille quotidiani di una settimana fa. No, “solo 681” morti.

E tra questi morti c’è anche sostituto commissario di Polizia Giorgio Guastamacchia, poliziotto della scorta del premier Giuseppe Conte.

Succede anche questo quando ogni giorno per motivi professionali devi registare i dati del contagio, i morti, gli ospedalizzati, quelli che si curano a casa o che muoiono a casa, e dunque sfuggono alla conta ufficiale dei morti. Sono però dati “largamente incoraggianti” come dice il professor  Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore della Sanità. E tra questi dati incoraggianti ce n’è un altro che va citato: i terapia intensiva si sono liberati 74 posti. Vuole dire che ci sono 74 posti che possono essere eventualmente usati per altri pazienti che hanno bisogno di un ventilatore polmonare per restare aggrappato a questa vita. Una settimana fa ogni giorno occorrevano almeno 120 posti in più per pazienti che non ce l’avrebbero fatta a vivere. Oggi in Italia, paese in guerra con questo subdolo nemico invisibile, ci sono 29.010 italiani ricoverati con sintomi più o meno grave che combattono. Ci sono quasi 4mila persone in terapia intensiva, sono in condizioni molto difficili, ma ben curati possono uscire e tornare gradualmente alla loro vita normale. Ci sono  55.270 italiani contagiati dal virus ma in isolamento senza sintomi o lievi sintomi a casa loro. Con tutte le precauzioni per non infettare i loro congiunti. La Lombardia, nel corso di questo mese di drammatica crisi sanitaria che cominciamo a metterci alle spalle, ha trasferito 114 pazienti dalle sue terapie intensive. Di questi 40 sono pazienti con altre patologie che nulla hanno a che vedere con l’incubo coronavirus. La Germania ha accolto a braccia aperte 38 italiani nelle sue terapie intensive. Il numero pazienti in terapia intensiva diminuisce di 74 ed è un notizia importante perchè consente ai nostri ospedali di respirare. È dato anche questo che induce a speranze. Sono 20.996 le persone guarite in Italia dopo aver contratto il coronavirus, 1.238 in più di ieri. Anche questo è un dato eccellente nella lotto al virus. Perchè mostra un trend. L’aumento dei guariti ieri era stato di 1.480. Davanti a questo dati drammatici che vengono raccontati nel consueto punto stampa nella sala crisi della Protezione civile nazionale, è bene che nessun pensi che la guerra è vinta. Non è così. Questo dati dicono che il contagio rallenta. Che se continuano a mantenere e a far rispettare le norme sul distanziamento sociale, è probabile che il contagio si possa infine fermare e dunque comincia a far scendere il numero delle persone contagiate e aumentare poi esponenzialmente registrare il numero di pazienti che guariscono. Questo è l’obiettivo. Dunque il richiamo a tutti è al rispetto delle norme. “Bisogna avere dei comportamenti di alto senso di responsabilità individuale” ha detto il presidente del consiglio superiore di Sanità Locatelli, ribadendo l’appello di Angelo Borrelli.

 

  • Sono 15.362 i morti dopo aver contratto il Coronavirus, con un aumento rispetto a ieri di 681. Venerdì l’aumento era stato di 766.
  • Sono 20.996 le persone guarite in Italia dopo aver contratto il Coronavirus, 1.238 in più di ieri. Il dato è stato reso noto dalla Protezione Civile. Ieri l’aumento dei guariti era stato di 1.480.
  • Sono complessivamente 88.274 i malati di Coronavirus in Italia, con un incremento rispetto a ieri di 2.886. Venerdi’ l’incremento era stato di 2.339. Il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – è di 124.632.

 

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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