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Coronavirus, ecco gli 8 trattamenti usati in Cina per sconfiggere il Covid 19

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Di seguito sono riportati alcuni dei farmaci e delle terapie che hanno dimostrato di avere il potenziale per sconfiggere il nuovo coronavirus (COVID-19) e che hanno terminato o sono ancora in fase di sperimentazione clinica in Cina. Sono farmaci che hanno aiutato il paese ad uscire dalla grave emergenza sanitaria in cui era precipitato.

Ovviamente l’altro farmaco, quello in assoluto più efficace, sono state le misure di distanziamento sociale. In Cina però hanno avuto una accoglienza diversa da parte dei cinesi. Per tre settimane circa 60 milioni di persone sono rimaste sigillate in casa. C’era l’esercito in strada. E qualcuno che ha fatto il furbo è stato neutralizzato con metodi cinesi.

In ogni caso ecco i farmaci usati e la loro sperimentazione.

FAVIPIRAVIR Il favipiravir, farmaco antinfluenzale approvato per l’uso clinico in Giappone nel 2014, ha ridotto i tempi per portare i pazienti ad analisi negative e non ha mostrato reazioni avverse evidenti in una sperimentazione clinica conclusa a Shenzhen, nella provincia meridionale del Guangdong. Anche un’altra sperimentazione condotta a Wuhan, l’epicentro della pandemia, ha dimostrato che l’effetto terapeutico del favipiravir e’ decisamente migliore di quanto rilevato per il gruppo di controllo. Una societa’ farmaceutica cinese ha ricevuto l’autorizzazione dall’Amministrazione Nazionale per i Prodotti Medici per la produzione di massa del farmaco e per garantirne una fornitura stabile.

LOROCHINA FOSFATO La clorochina fosfato, un farmaco utilizzato per trattare o prevenire la malaria e per trattare le malattie autoimmuni, e’ stata utilizzata nel trattamento di 285 pazienti gravemente malati di COVID-19 in un ospedale di Wuhan senza che finora siano state trovate reazioni avverse evidenti. Nell’ultima versione delle linee guida per il trattamento, la clorochina fosfato e’ stata consigliata per i pazienti COVID-19 di eta’ compresa tra i 18 e i 65 anni. La quantita’ indicata per i pazienti oltre i 50 chili e’ di 500 mg per dose, due volte al giorno per sette giorni. Le linee guida rilevano anche che non dovrebbero assumere clorochina fosfato nove gruppi di pazienti, tra cui le donne in gravidanza e i pazienti affetti da malattie croniche al cuore, al fegato e ai reni.

TOCILIZUMAB L’ultima versione delle linee guida suggerisce l’uso del tocilizumab, noto con il nome commerciale Actemra, in pazienti con un livello crescente di IL-6 e con lesioni estese in entrambi i polmoni o sintomi gravi. Dal momento che molti pazienti gravi e critici di COVID-19 sono stati trovati con un livello piu’ alto di IL-6 nel sangue, l’aumento del livello di IL-6 e’ stato indicato come un segnale di avvertimento che la situazione del paziente possa eventualmente deteriorarsi. Il farmaco e’ in fase di sperimentazione clinica in 14 ospedali di Wuhan. Fino al 5 marzo un totale di 272 pazienti gravi sono stati trattati con tocilizumab.

PLASMA DI CONVALESCENZA Il plasma di convalescenza, ottenuto dal plasma raccolto dai pazienti guariti da COVID-19, contiene un gran numero di anticorpi protettivi. Al 28 febbraio, 245 pazienti affetti da COVID-19 hanno ricevuto la terapia e 91 casi hanno mostrato un miglioramento degli indicatori clinici e dei sintomi. Secondo le autorita’ sanitarie, la terapia a base di plasma si e’ dimostrata sicura ed efficace.

MEDICINA TRADIZIONALE CINESE La medicina tradizionale cinese si e’ dimostrata efficace nel trattamento dei pazienti affetti da COVID-19. Secondo gli esperti medici, con questi trattamenti si sono alleviati i sintomi della febbre o della tosse in pazienti con sintomi lievi. Per i pazienti gravemente malati, la medicina tradizionale cinese ha contribuito ad alleviare i sintomi e a ripristinare la saturazione dell’ossigeno nel sangue, evitando che le loro condizioni diventassero critiche. Il 6 febbraio scorso il decotto Qingfei Paidu e’ stato raccomandato alle istituzioni mediche di tutto il Paese.

REMDESIVIR Il remdesivir, sviluppato contro le infezioni da Ebola dalla societa’ farmaceutica americana Gilead Sciences, ha mostrato a livello cellulare un’attivita’ antivirale abbastanza buona contro il nuovo coronavirus. Cao Bin, un esperto di malattie dell’apparato respiratorio che sta guidando il programma remdesivir, ha detto che due sperimentazioni per il remdesivir stanno procedendo regolarmente e che la Cina condividera’ i dati con la comunita’ internazionale dopo il completamento del programma.

SPERIMENTAZIONE DI CELLULE STAMINALI Diverse ricerche e sperimentazioni sull’applicazione di cellule staminali per il trattamento dei pazienti affetti da COVID-19 sono state effettuate nel Paese, che comprendono un farmaco a base di cellule staminali che e’ stato approvato per la sperimentazione clinica e una terapia con cellule staminali mesenchimali. La terapia e’ stata utilizzata per trattare 64 pazienti in condizioni gravi e critiche, dimostrandosi efficace nel ridurre le reazioni infiammatorie gravi causate da COVID-19, oltre a ridurre le lesioni polmonari e la fibrosi polmonare nei pazienti. La Societa’ Cinese per la Biologia Cellulare e l’Associazione Medica Cinese hanno diffuso congiuntamente delle linee guida per standardizzare la ricerca clinica e l’applicazione della terapia con cellule staminali contro COVID-19.

PURIFICAZIONE DEL SANGUE La tecnologia di purificazione artificiale del fegato e del sangue e’ stata utilizzata per il trattamento di pazienti gravemente malati. I pazienti che hanno ricevuto questo trattamento hanno visto livelli ridotti di fattori infiammatori e miglioramenti nell’imaging del torace. Il tempo trascorso con l’assistenza di ventilatori e’ stato ridotto in media di 7,7 giorni e anche il tempo necessario per il monitoraggio in terapia intensiva e’ stato ridotto.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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