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Contagi Covid stabili, 17 morti e 1869 contagiati: gli stadi restano chiusi

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Non ci sara’ alcuna riapertura degli eventi sportivi al pubblico. Ampiamente prevista, arriva la bocciatura del Comitato tecnico scientifico alle linee guida approvate dalla Conferenza delle Regioni che puntavano a portare la capienza degli stadi e degli impianti al 25% del totale. Una decisione, quella degli esperti, in linea con quanto ribadito in questi giorni dal ministro della Salute Roberto Speranza – “bisogna puntare sulle cose essenziali, la priorita’ sono le scuole e non gli stadi” – e, soprattutto, conseguente all’andamento della curva epidemica tornata a valori che non si registravano dall’inizio di maggio, quando pero’ il paese era ancora chiuso e la diffusione del virus non era ancora cosi’ capillare in tutte le regioni. Tanto che il governo va verso la proroga dello stato d’emergenza anche se il premier Giuseppe Conte ribadisce: “escludo un nuovo lockdown, se si svilupperanno dei cluster interverremo in modo circoscritto”. “Sulla base degli attuali indici epidemiologici ed in coerenza con quanto piu’ volte raccomandato, non esistono, al momento, le condizioni per consentire negli eventi all’aperto e al chiuso la partecipazione degli spettatori” dice dunque il Cts al termine della riunione che era inizialmente prevista per martedi’ e che e’ stata invece anticipata ad oggi su richiesta del ministro. Il perche’ non si possano aprire gli stadi e’ semplice. Gli eventi sportivi, di qualsiasi serie, “rappresentano la massima espressione di criticita’ per la trasmissione del virus”. E non solo. Prima di poter ipotizzare una riapertura, dicono gli esperti del governo, bisognera’ attendere la meta’ di ottobre, quando si avra’ chiaro “l’impatto sulla curva epidemica” della riapertura delle scuole e degli uffici pubblici. Solo allora la proposta delle regioni “potra’ essere riconsiderata”. Si continuera’ quindi ad assistere agli eventi sportivi con le norme attualmente in vigore, vale a dire mille spettatori all’aperto e 200 al chiuso, prenotazione e preassegnazione del posto a sedere, rispetto del distanziamento, igiene e uso delle mascherine. Linea della massima prudenza dunque, ribadita anche da Conte al festival dell’Economia di Trento. “Dobbiamo incrociare le dita, non siamo fuori dalla pandemia. Siamo in condizioni difficili ma se riusciremo a rispettare le regole, a gestirla con la prudenza necessaria, ne usciremo quanto prima”. Il monitoraggio settimanale del ministero della Salute, d’altronde, ha certificato la crescita dei contagi per l’ottava settimana consecutiva e i dati quotidiani attestano una curva del virus che si e’ stabilita ormai da qualche giorno sui valori di fine aprile. Il primo maggio – con il paese ancora chiuso – l’incremento dei contagi fu di 1.965 in 24 ore, oggi e’ di 1.869, una cinquantina meno di venerdi’ ma con 3mila tamponi in meno (104.387 contro 107.269) per un totale dall’inizio dell’emergenza di 308.104 contagiati. Leggermente in calo rispetto a ieri il numero delle vittime – 17 contro 20 – mentre gli attualmente positivi sono saliti a 48.593 con un incremento rispetto a ieri di 875 persone. Aumentano invece leggermente sia i pazienti in terapia intensiva, che ora sono 247, tre piu’ di venerdi’, e quelli nei reparti ordinari, nove in piu’ che portano il totale a 2.737. Con questi numeri – e anzi con l’ulteriore incremento che si registrera’ nelle prossime settimane dovuto alla riapertura delle scuole – si andra’ quasi certamente ad una proroga dello stato d’emergenza, anche se non c’e’ ancora intesa sulla durata. Il governo dovrebbe decidere la prossima settimana, in modo da avere anche il tempo di coinvolgere il Parlamento. Gli esperti hanno da tempo suggerito di portare la scadenza al 31 gennaio, ad un anno esatto dal primo decreto. Allo stato l’ipotesi piu’ accreditata e’ che si arrivi a quella data ma con una serie di proroghe e non con un unico provvedimento. “Adesso e’ il momento di un’analisi scientifica e non ideologica – ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – in funzione di quello che l’Istituto superiore di sanita’ ci dira’ il Governo si regolera’ di conseguenza”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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