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Cronache

Catacombe di San Gennaro, qui la Chiesa rischia di uccidere le speranze di riscatto dei giovani di Napoli

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Da 4 mila visitatori a oltre 100mila. Da luogo di culto cadente e scadente, tenuto male, abbandonato a se stesso a tesoro d’arte da far visitare,  meta di pellegrinaggio dei turisti che arrivano in città o che vengono a Napoli per scendere nelle catacombe. Da luogo di degrado e abbandono a luogo simbolo del riscatto di una generazione di napoletani che hanno deciso di riprendersi in mano il proprio destino. Nella storia delle Catacombe di San San Gennaro e San Gaudioso che Santa Romana Chiesa vorrebbe riprendersi o vorrebbe guadagnarci ci sono troppe cose non dette o che non conosce Papa Francesco. In quelle Catacombe di Napoli e dei napoletani i protagonisti sono ragazzi del rione Sanità, le loro storie nate alla luce del sole, lontani dal cuore nero della città. I protagonisti di questa storia che andiamo a raccontarvi sono ragazzi normali, napoletani veri,  non camorristi, abusivisti, spacciatori, parcheggiatori abusivi, intellettuali o pseudotali della cosiddetta  società civile napoletana che campa ossequiando la peggio politica che li abboffa e tacita con incarichi professionali.
Quella che raccontiamo è la storia della cooperativa La Paranza, la storia della meglio gioventù del  Rione Sanità che da quasi dieci anni gestiscono le Catacombe di San Gennaro e quelle di San Gaudioso. Quando la chiesa napoletana affidò a questi ragazzi cosiddetti difficili l’uso delle Catacombe per risistemarle e provare a renderle fruibili ai turisti, più che luoghi di culto erano lunghi di perdizione, dei “cessi” (perdonate il termine un po’ volgare ma è quello che rende meglio in  italiano) dove si incontravano più drogati (andavano a nascondersi per dividersi il bottino dall’ultima borsa scippata in centro o a iniettarsi l’ultimo schizzo di eroina nella vene) che turisti desiderosi di conoscere la storia di Napoli o vedere la bellezza di una città anche sotto terra.
Questi ragazzi si sono inventati due percorsi nella storia antica della città. Hanno ripulito le Catacombe spazzando tonnellate di monnezza, rimuovendo cianfrusaglie, bonificando da siringhe infette, pubblicizzando il luogo d’arte sui social, sulle guide, portando ovunque la loro esperienza. E questa esperienza in 10 anni ha consentito ai ragazzi de “La Paranza” di far entrare nelle Catacombe, dunque nel quartiere, più di 100 mila turisti. Chi è l’artefice (o colpevole) di questa straordinaria avventura di questi meravigliosi ragazzi della cooperativa La Paranza?  Don Antonio Loffredo, il parroco del rione Sanità. Il suo ministerio sacerdotale è da teologo della liberazione sudamericana nei quartieri della capitale del sud del Mediterraneo. Molti dimenticano la storia recente. Don Loffredo prese questi ragazzi giovanissimi del quartiere, già più o meno degli spostati, avviati ad una fulgida carriera delinquenziale, e li portò in chiesa, diede loro una alternativa ai vicoli del cuore nero della città. Li fece studiare,  comprendere la bellezza della vita e della loro città lontani dai luoghi del crimine. Li aiutò a mettere insieme una sorta di cooperativa di guide turistiche. Poi da cosa nasce cosa: seguirono  l’orchestra dei bambini Sanitansamble (modello Abreu,  usare la musica per togliere i bimbi dalle strade), laboratori artigianali, case d’accoglienza.

Catacombe di San Gennaro. Una guida che spiega la storia del luogo

Questi ragazzi de La Paranza hanno creduto alla chiesa, hanno creduto al loro parroco. Questi ragazzi, grazie al loro parroco, hanno dato vita ad una impresa sociale che non arricchisce nessuno ma ha portato ricchezza in un quartiere del centro di Napoli che è la vera periferia abbandonata (dallo Stato) della città. Questa impresa sociale dà pane e companatico a 40 e passa famiglie, porta oltre 100mila persone ogni anno in un quartiere dove chiunque beneficia di queste presenze. Dieci anni fa il rione Sanità era un fortino della camorra, un bunker inespugnabile, una enclave del crimine. Oggi la camorra c’è ancora (lo Stato non è capace di sradicarla) ma ci sono anche esercizi commerciali che lavorano, pizzerie, ristoranti, Bed and Breakfast e altre forme di accoglienza, negozi di souvenir.  C’è una economia che gira perchè l’hanno creata, l’hanno vivificata questi ragazzi. Insomma oggi c’è qualcosa che hanno creato questi ragazzi delle catacombe di San Gennaro e San Gaudioso  senza aver mai percepito un centesimo di euro di sovvenzione pubblica ma grazie all’impegno loro e di una onlus come l’Altranapoli.

Catacombe. Giovanni guide che aiutano i turisti

 

Chi può uccidere questa meravigliosa esperienza di riscatto sociale, di impegno concreto della Chiesa in periferia? Lo può commettere il Vaticano questo crimine, la Chiesa di Roma, che attraverso il Pontificio Consiglio per la Cultura, diretto dal Cardinale Gianfranco Ravasi, il 50 per cento degli incassi sulla vendita dei biglietti delle Catacombe. In astratto, per carità di Dio, non è una pretesa assurda. Non lo è. Anche perchè i luoghi che oggi sono usati come musei diffusi sotto terra sono di proprietà del Vaticano. Ma possibile che Ravasi non sappia che cosa è la cooperativa la Paranza? Possibile che nessuno gli abbia spiegato chi ha speso fino a 6 milioni di euro per ripulire quei luoghi di culto, renderli fruibili, organizzare una impresa sociale, tenere in piedi mille attività collaterali della chiesa locale e contestualmente assicurarsi che chi lavorava fosse pagato e potesse vivere con dignità? Oggi in quei luoghi del rione Sanità c’è un’impresa sociale che dà lavoro a giovani, che si autofinanzia, che tolti gli stipendi minimi per vivere investe tutto in miglioramenti, riqualificazione e promozione sui mercati turistici di quei luoghi. I 100 mila e passa turisti che hanno staccato un biglietto nel 2017, e quelli in più che lo faranno quest’anno non sono arrivati a caso nelle Catacombe, non ci ritornano e portano altre persone per puro caso. Il successo di quei luoghi un tempo simbolo di degrado è dei ragazzi della Paranza, che andrebbero aiutati, incentivati, accompagnati, non cacciati. Senza di loro le  catacombe sarebbero un luogo di tortura non di bellezza. Sono stati i ragazzi della Paranza che hanno pulito le vie d’accesso, reso fruibili le catacombe abbattendo le barriere architettoniche,  recuperato  opere d’arte, vigilato su tutto. Le pretese del Vaticano del 50 per cento degli incassi dei biglietti significa che i ragazzi della paranza non ce la farebbero nemmeno a pagarsi gli stipendi. Significa condannarli a morte civile. Significa farli tornare a dieci anni fa, quando la scelta nel rione Sanità era la strada o inventarsi un lavoro. Quei ragazzi scelsero. Scelsero la chiesa, scelsero di inventarsi un lavoro. A luglio 2019 scade il comodato d’uso e deve essere rinnovato. Non è un caso che Ravasi sia arrivato a Napoli dal Cardinale Crescenzio Sepe proprio in questi giorni. Certo è che se cambiano gli accordi (o se addirittura il Vaticano chiedesse centinaia di migliaia di euro di arretrati) La Paranza entra inevitabilmente in una crisi irreversibile. E la Paranza, ammesso che qualcuno non lo abbia capito, è il volano della riqualificazione sociale e morale del rione Sanità. Un rione che oramai, da qualche anno a questa parte,  vive anche grazie alle Catacombe. Perché grazie a quello che i turisti vanno a vedere sotto terra, in superficie c’è un mondo intero che vive di turismo e di incassi da turisti.

“Queste catacombe non sono solo un monumento, ma una via per far scoprire l’intero quartiere. Hanno una funzione sociale e di questo dovrebbe tener conto il Vaticano”, ragiona Ernesto Albanese, presidente dell’Altranapoli, la Onlus che ha investito oltre 6 milioni di euro (perlopiù donazioni di napoletani che vivono lontano da Napoli) per il quartiere Sanità investendo tutto sui ragazzi della Paranza. Solo che l’Altranapoli investiva quando nessuno ci credeva, investe oggi quando tutti si fanno vedere in passerella, investirà domani se la chiesa scapperà e tradirà la sua missione. A Papa Francesco nelle prossime ore arriverà una petizione per chiedere al Vaticano di non distruggere questo bel capitolo di cattolicesimo sociale, le buone pratiche della Chiesa nelle periferie. Una petizione dove ci sono già 30mila firme. E tra queste pesano le firme di soprintendenti come Luciano Garella e Massimo Osanna e l’ex ministro Massimo Bray.

L’incontro tra Papa Francesco e i ragazzi della Paranza nel febbraio del 2014: siete il motore dello sviluppo delle parti più devoli delle nostre comunità

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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Rifiuta nutrizione artificiale,”ok a suicidio assistito”

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Si è sbloccato l’iter per l’accesso al suicidio medicalmente assistito della 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. “E’ la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”, afferma l’associazione Luca Coscioni a cui si era rivolta tempo fa la donna e che ne aveva reso noto il caso un mese fa. L’Azienda sanitaria, spiega oggi l’associazione, “ha comunicato il suo parere favorevole: la donna possiede tutti e 4 i requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 (Cappato/Dj Fabo) per poter accedere legalmente al suicidio medicalmente assistito in Italia. Da oggi se confermerà la sua volontà, potrà procedere a porre fine alle sue sofferenze. La Commissione medica della azienda sanitaria ora aspetta di sapere le modalità di esecuzione e il medico scelto dalla donna, in modo da assicurare ‘il rispetto della dignità della persona’”. La donna aveva inviato la richiesta di verifica delle sue condizioni il 20 marzo e a causa del diniego opposto aveva diffidato l’Asl, il successivo 29 giugno, alla revisione della relazione finale con particolare riferimento alla sussistenza del requisito del trattamento di sostegno vitale, essendo totalmente dipendente dall’assistenza di terze persone e avendo rifiutato la nutrizione artificiale con la Peg ritenendola un accanimento terapeutico.

Ora la revisione del parere della Asl “è avvenuta – rileva l’associazione – alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale 135 del 2024 che ha esteso l’interpretazione del concetto di ‘trattamento di sostegno vitale'”: fino a quest’ultima sentenza l’Azienda sanitaria “non riconosceva la presenza di questo requisito, in quanto equiparava il rifiuto della nutrizione artificiale all’assenza del ‘trattamento di sostegno vitale'”. I giudici della Consulta però “hanno chiarito che ‘non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali'”. “È la prima applicazione diretta della sentenza 135” della Consulta “che interpreta in modo estensivo e non discriminatorio il requisito del trattamento di sostegno vitale – dichiara l’avvocato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Coscioni, difensore e coordinatrice del collegio legale della 54enne -. La signora dopo mesi di attesa e sofferenze, con il rischio di morire in modo atroce per soffocamento anche solo bevendo, potrà decidere con il medico di fiducia quando procedere, comunicando all’Azienda sanitaria tempi e modalità di autosomministrazione del farmaco al fine di ricevere assistenza e quanto necessario. Le decisioni della Consulta, che hanno valore di legge, colmano il vuoto in materia dettando le procedure da seguire per chi vuole procedere con il suicidio medicalmente assistito”.

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