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Politica

Caos Mes, Meloni studia l’exit strategy per settembre

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Posticipare la discussione sul Mes in Parlamento a settembre. La strategia non può essere apertamente dichiarata, ma nella maggioranza è questa la linea che si cercherà di seguire nelle prossime settimane. A partire dalla conferenza dei capigruppo della Camera di mercoledì pomeriggio, quando il centrodestra proporrà di far slittare al prossimo mese l’approdo in Aula, previsto per il 30 giugno, sottolineando che la vigilia coinciderebbe con la trasferta di Giorgia Meloni a Bruxelles, e si rischierebbe di mettere in difficoltà il lavoro della premier. A luglio, però, il calendario sarà ingolfato di decreti, ad agosto non si discutono materie non urgenti, e quindi ecco come si potrebbe scavallare l’estate rinviando uno degli scogli che più ha creato problemi alla tenuta del governo, tormentato anche dal caso Santanchè.

La ministra del Turismo non ha modificato la sua agenda dopo le polemiche seguite alle inchieste sulle sue società. Nella Lega si professa totale indifferenza sulla vicenda, ma poi non fa grandi sconti e con il capogruppo Riccardo Molinari fa riferimento a un intervento di Santanchè in Parlamento per fare chiarezza. E su questa linea ovviamente si intensifica il pressing delle opposizioni.

L’unico chiarimento che conta, per ora, è quello avuto con Meloni, ma è evidente a tutte le parti coinvolte che un’evoluzione dell’indagine potrebbe cambiare lo scenario e determinare scelte drastiche. Insomma, il quadro è delicato. La tensione è altissima, dicono da più fronti del centrodestra. Ha lasciato scorie il giovedì di passione, con lo scontro sotterraneo fra Meloni e Matteo Salvini e il Consiglio dei ministri limitato all’esame delle leggi regionali, senza la premier. Se la riunione fosse andata in scena, si ragiona nella maggioranza, sarebbe stata lunga e ricca di scintille.

Resta da capire quanto tempo servirà per far decantare la situazione, diventata decisamente spinosa dopo la lettera del capo di gabinetto del Mef, Stefano Varone, sulla ratifica del Mes. Prima o poi quell’atto arriverà, è la convinzione diffusa nel governo, ma il percorso per giungere a un’inversione a U va gestito. FdI e Lega lo stanno facendo in maniera non del tutto allineata. Al partito della premier, che sta facendo i conti con la cruda realpolitik, serve tempo per inquadrare la ratifica in un contesto diverso. Serve una narrazione che cambi il quadro, il ragionamento ricorrente.

La Lega è di lotta e di governo dai tempi di Bossi, e anche ora è pronta alle barricate. “Non ritengo che ci sia bisogno di mettersi in mano a Fondi stranieri – la linea di Salvini – e a soggetti stranieri anche perché 600.000 italiani nei giorni scorsi hanno sottoscritto i buoni del Tesoro per più di 18 miliardi di euro”. Un oltranzismo ben impersonato dal senatore Claudio Borghi, che promette di non votare “mai una cosa del genere”, convinto che “altrettanto farà tutta la Lega, in coerenza con dodici anni di battaglie”. Un atteggiamento stigmatizzato in ambienti di FdI, dove circola il sospetto che Salvini “non giochi di squadra” e stia mettendo “in difficoltà Giorgia”.

Tra l’altro, in un momento in cui a livello internazionale ha appena preso forma la tregua con Parigi e sono in gioco alcune partite decisive sul tavolo europeo, dalla finalizzazione dell’accordo sui migranti al Pnrr. Dall’iter dell’Autonomia alle ultime nomine dei commissari di Inps e Inail, fino alla gestione della ricostruzione del post alluvione in Emilia Romagna, la lista degli snodi che hanno irritato la Lega non è breve. “Sono troppo famelici, anche sulle nomine”, si sfoga un leghista di lungo corso, secondo cui è l’atteggiamento dell’azionista di maggioranza della coalizione ad “esacerbare gli animi”. Una situazione, allarga le braccia, “già vista con i 5 Stelle…”.

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Politica

Atto di clemenza per onorare Papa Francesco: la politica torna a discutere di indulto e liberazione anticipata

Casini, Boschi, Serracchiani e altri parlamentari rilanciano l’appello di Papa Francesco: proposto l’indulto per l’ultimo anno di pena. Forza Italia apre, centrodestra diviso.

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Nel clima sospeso di queste giornate post-festive, scosse dalla solennità dei funerali di Papa Francesco, la politica italiana rispolvera un tema delicato e mai risolto: l’atto di clemenza verso i detenuti, nel nome del Pontefice scomparso. È stato Pier Ferdinando Casini, con un intervento sul Corriere della Sera, a riaprire il dibattito, rilanciando l’appello di Papa Francesco per una giustizia più umana, espresso simbolicamente all’apertura dell’Anno giubilare nel carcere di Rebibbia.

A farsi portavoce di questa istanza anche il movimento radicale Nessuno Tocchi Caino, che ha proposto la liberazione anticipata per i detenuti con un solo anno di pena residua. Una proposta già sottoscritta da parlamentari di diversi schieramenti: Maria Elena Boschi (Italia Viva), Debora Serracchiani (Pd), Luana Zanella (Avs), Maurizio Lupi (Noi Moderati), fino ad arrivare a Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia al Senato.

“Un minimo di coerenza vorrebbe che la politica, commossa ai funerali del Pontefice, dia un segnale concreto, non solo retorico”, ha dichiarato Zanettin. A fargli eco, Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera: “Serve una misura straordinaria, non un perdono indiscriminato”.

Tuttavia, non mancano i contrasti: Fratelli d’Italia e Lega restano silenziosi o critici, ricordando le frizioni già esplose nel centrodestra quando, lo scorso anno, Forza Italia sembrava aprire alla proposta di Roberto Giachetti sulla liberazione anticipata. Apertura poi rientrata dopo le tensioni con gli alleati.

Intanto, al ministero della Giustizia, guidato da Carlo Nordio, il viceministro Francesco Paolo Sisto conferma che è allo studio un provvedimento sull’uso eccessivo della custodia cautelare, ma frena su condoni e amnistie: “È giusto dire che si esce dal carcere solo perché non c’è posto? No. Lo sfratto non è incline alla funzione rieducativa della pena”.

Il confronto resta acceso, ma l’eredità spirituale e sociale di Papa Francesco torna a farsi sentire anche nelle aule parlamentari, spingendo una parte della politica a immaginare un gesto di clemenza come segno di civiltà e memoria.

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Economia

I sindacati in piazza, ‘basta morti sul lavoro’

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Oltre mezzo milione di incidenti sul lavoro e più di mille morti l’anno. Tre al giorno: tragedie in cantieri, fabbriche, campi, a cui bisogna mettere fine. Cgil, Cisl e Uil (foto Imagoeconomica in evidenza) scendono in piazza per il Primo maggio all’insegna della sicurezza sul lavoro, ricordando le tante vittime e dicendo basta. Al governo, che mette sul tavolo altri 650 milioni per la sicurezza, chiedono misure più incisive in vista dell’incontro dell’8 maggio a Palazzo Chigi.

Servono risposte ‘adeguate’ o sarà mobilitazione, avverte il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. In attesa del confronto, la premier Giorgia Meloni rivendica l’azione dell’esecutivo in questi due anni e mezzo: oltre un milione di posti di lavoro in più e il numero degli occupati al massimo storico, più di 24 milioni e 300mila. Un impegno che, assicura, continua anche sul fronte della sicurezza. Ma sulle sue parole si riaccende lo scontro con la segretaria del Pd, Elly Schlein: ‘Continua a mentire sui numeri’, attacca la segretaria dem, rilanciando la necessità di una legge sul salario minimo. Nelle piazze riecheggiano anche i referendum dell’8 e 9 giugno. Schlein al corteo a Roma sfila accanto a Landini, che rilancia l’invito ad andare a votare, e conferma che il Pd sostiene tutti i 5 sì al referendum.

VIA SPARANO PRIMO MAGGIO FESTA DEI LAVORATORI CGIL CISL E UIL UNITI PER UN LAVORO SICURO BANDIERE CGIL UIL CISL (foto Imagoeconomica)

Mentre il leader M5s, Giuseppe Conte, su Fb scrive che il movimento ‘dirà 4 sì’ ai quesiti sul lavoro (resta fuori quello sulla cittadinanza che non aveva firmato). Il tema unitario resta quello della sicurezza e del contrasto agli incidenti sul lavoro. ‘Questa vergogna deve finire’, dice la segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, dal palco a Casteldaccia (Palermo), dove il 6 maggio dell’anno scorso cinque operai persero la vita, guardando alla convocazione dell’8 maggio per costruire una strategia nazionale e ‘un’alleanza’.

Da Montemurlo (Prato), il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ricorda invece Luana D’Orazio, morta lì quattro anni fa in una ditta tessile. E da lì torna a chiedere di istituire il reato di omicidio sul lavoro e una procura speciale. Alla giovane nel pomeriggio viene intitolata una strada, su iniziativa del comune. E alla mamma, Emma Marrazzo, arriva l’abbraccio anche della ministra del Lavoro, Marina Calderone, presente alla cerimonia: ‘Quello che le è accaduto è il peggior incubo’, le dice assicurando l’impegno a fare di più. Nel pomeriggio il concertone del Primo maggio a Roma – aperto da Leo Gassmann sulle note di ‘Bella Ciao’ – omaggia Papa Francesco: ‘La sicurezza sul lavoro è come l’aria che respiriamo, ci accorgiamo della sua importanza quando viene tragicamente a mancare ed è sempre troppo tardi’, le parole di Bergoglio che riecheggiano in una piazza San Giovanni stracolma.

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Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

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Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

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