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Camorra e neomelodici, parlano i pentiti: riciclano i soldi della droga e sono i cantori dei boss della camorra

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Dichiarazioni di collaboratori di giustizia che raccontano il mondo musicale dei neomelodici napoletani. L’industria discografica. I profitti delle feste di piazza. Come attraverso i testi delle canzoni questi “artisti”   veicolerebbero messaggi camorristici, rendono omaggio alle donne della camorra o ai boss o ancora alla “paranza” del clan, le batterie criminali, gli squadroni della morte usati per regolare i conti. O anche l’elogio dei latitanti che sfuggono alle “guardi” o anche gli “insulti”  agli infami, i pentiti, quelli che noi chiamiamo collaboratori di giustizia.  E ci sono tanto collaboratori di giustizia che hanno spiegato ai magistrati antimafia di Napoli (e Palermo) come un certo filone di questi neo melodici abbia un ruolo non solo come cantori delle gesta dei camorristi. In alcuni casi i neomelodici sono parte integrante del clan, sono “intranei”. Le  dichiarazioni di un pentito,  Ciro Niglio, oggi 27 anni, ne sono un esempio illuminante. Niglio era un ragazzo inserito nella organizzazione militare della cosca Cuccaro, zona occidentale di Napoli. Una delle più agguerrite e feroci organizzazioni mafiose della città. Ed è stato uno di quei pentiti che ha consentito di fare luce anche sui rapporti tra neo melodici e camorra. Il pentito ha raccontato le infiltrazioni della cosca mafiosa dei Cuccaro nella festa dei Gigli di Barra. “Nella festa del 2010 Ciro Abrunzo (detto ‘o Cinese, ammazzato a Barra nel 2012, ndr) ‘regalò’ il cantante Alessio al giglio Insuperabile. Il cantante corrispondeva solitamente una quota del suo cachet al clan degli scissionisti. Ricordo che nel 2010 Alessio (un artista che ha cantato anche nella fiction Sky Gomorra) e ‘Babà (è un altro neo melodico) cantarono una canzone dedicata alla madre e alla sorella di Angelo Cuccaro”. In un processo di camorra un cantante neo melodico fu accusato di istigazione ai reati di camorra. Il suo nome d’arte era Nello Liberti, cantava ‘O capoclan, in un videoclip che era l’elogio del padrino di camorra. Quella canzone e quel video poi fu disconosciuto con scuse dall’autore. Ma resta nella rete.

Cantanti e Camorra. Una scena del film “un boss in salotto”

Il pentito Niglio spiega quanta importanza il clan Cuccaro annette alla festa religiosa dei Gigli come momento di manifestazione del loro potere sul territorio.

“Il giglio, oltre che strumento di estorsioni, veniva utilizzato anche per inviare messaggi alla popolazione o ad altri clan. Ricordo che in alcune occasioni venivano utilizzate canzoni per far sapere di alleanze tra clan (per esempio nel 2010 si cantò dell’alleanza tra il clan Cuccaro e gli scissionisti di Secondigliano) o di contrasti tra di loro (per esempio nel 2007  un altro neo melodico inneggiò contro gli il clan Aprea)”.

In pratica alcuni di questi neomelodici più che cantare canzoni d’amore manderebbero messaggi di minacce o veicolerebbero altri tipi di informazione. A volte anche usando delle stazioni radio a disposizione della camorra. Anche questo un filone interessante per magistrati antimafia.

I cantanti neo melodici, e tra questi Alessio,  originario di Ponticelli, quartiere operaio (una volta) della zona occidentale di Napoli, dove i malavitosi chiamano la loro piazza di spaccio “la piazza dei cantanti” deve parte del suo successo ad un manager, Carmine Sarno, detto ‘o topolino. Fratello del boss pentito Ciro Sarno. Questo Alessio, evidentemente, non c’entra nulla con la camorra, nel senso che non è stato incriminato in inchieste dell’antimafia. La sua colpa, ammesso che sia sua, è quella di fare in cantante in un certo contesto dove musica e camorra sono un binomio di ferro. Un binomio che spesso ha guadagnato gli onori della cronaca in Campania.  Un altro collaboratore di giustizia che parla dei neo melodici è Luca Menna, pentito del clan Amato-Pagano di Secondigliano o gli Spagnoli (hanno interessi in Spagna), gli scissionisti  del clan Di Lauro.

Cantanti e Camorra. I messaggi pubblici dei clan sui muri nei testi delle canzoni

In un processo su una serie di omicidi per la faida a nord di Napoli racconta anche il filone dei neo melodici. Menna parla di “sistema è utilizzato da tutti i clan della camorra, compreso il nostro clan Amato-Pagano, che investe nei cantanti neomelodici; ossia gli fanno regali in soldi, li invitano alle feste di piazza che il clan organizza nei quartieri controllati, sino a pagargli la registrazione dei cd. Quando diventano famosi al clan torna una percentuale sugli incassi totali del cantante”. Detta così sembra che tutti i cantanti neo melodici sono compromessi con la camorra.

È evidente che questo è un racconto parziale. Che molti di questi artisti sono persone perbene e che tantissimi hanno anche avuto un discreto o ottimo successo nazionale. Il sillogismo neomelodici-camorra è evidentemente sbagliato, ma si prova a raccontare come alcuni filoni di questa corrente canora è stata ed è infestata dal cancro della camorra.

Il pentito Luca Menna non parla genericamente di cantanti ma fa nomi e cognomi, precisa e dettaglia gli accordi imprenditoriali tra cartelli criminali, spiega come vengono usati i cantanti, come si inseriscono nel contesto criminale camorristico. E come anche l’uso di questi cantanti ha talvolta scatenato conflitti militari tra clan avversari. Anche Luca Menna, come Ciro Niglio, spiega come gli impresari al soldo della camorra creano questi artisti, li fanno entrare in circuiti opachi e li usano per riciclare soldi.

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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