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Cinema

“Bussano alla porta”, apocalisse, sacrificio e Bibbia

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Apocalisse, sacrificio e Bibbia, tra queste tre parole si sviluppa il film BUSSANO ALLA PORTA del visionario M. Night Shyamalan, in sala dal 2 febbraio con Universal. Basato sul bestseller americano di Paul Tremblay, LA CASA ALLA FINE DEL MONDO, racconta di una coppia gay, Andrew (Jonathan Groff) e Eric (Ben Aldridge), che, insieme alla figlia adottiva Wen, è in vacanza in uno chalet isolato nel bosco. A un certo punto la casa viene circondata da quattro sconosciuti armati: Leonard (Dave Bautista), Sabrina (Abby Quinn), Adrianne (Nikki Amuka-Bird) e Redmond (Ruper Grint). Questi quattro sconosciuti hanno una cosa in comune, sono perseguitati e tormentati da tempo da un’orribile profezia: il mondo è ormai alla fine. Per salvarlo il nucleo familiare composto da Andrew, Eric e la piccola Wen dovrà volontariamente sacrificare un suo membro. “Sono da sempre stato affascinato dalla religione – dice il regista del SESTO SENSO – e da figure bibliche come i quattro cavalieri dell’Apocalisse. In questo caso volevo dire non solo che tutti siamo importanti, ma anche che non possiamo fare a meno di scegliere, specie se la scelta riguarda l’intera umanità. Si può mai dire: ‘muoiano tutti, a me cosa importa?'”.

E poi aggiunge il regista di origine indiana facendo riferimento al Covid: “Il virus ci ha fatto capire quanto siamo fragili. Un esempio su tutti: in quel periodo ero molto preoccupato di infettarmi e contagiare i miei genitori. La vita dei miei cari era nelle mie mani. Eppure io ho vissuto il lockdown in una casa isolata, potevamo uscire, avevamo spazio. Ma, nonostante questo, il mondo ha rallentato e quando sentivo i miei suoceri tossire dicevo a me stesso: oddio è la fine!”. Sottolinea ancora il regista oggi a Roma all’incontro stampa: “Il Covid ci ha imposto di avere fiducia negli altri e ci fatto capire che non è giusto pensare solo a se stessi”.

Che rapporto ha con la fede il regista, sceneggiatore e produttore cinematografico indiano naturalizzato statunitense? “Già da ragazzino ho cominciato a interessarmi di religione, di fede. Tutti noi in fondo crediamo, ma questo vuol dire anche riconoscere il dolore, il rischio che si ha nel credere. Quando hai fede sei vulnerabile, non sei al sicuro. La trama del film pone infatti una domanda inquietante: Cosa faresti se dovessi scegliere se salvare la tua famiglia o l’umanità?'”. Una curiosità. La sceneggiatura del film, firmata da Steve Desmond e Michael Sherman, era da tempo nella famosa Blacklist che segnala i migliori script non prodotti ogni anno. La Blinding Edge Pictures di Shyamalan pensava di produrre il film, ma aveva molte difficoltà nel trovare il regista giusto. Così Shyamalan decise un giorno di farlo lui, sentendo una particolare sintonia con questa storia.

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Cinema

Morto a 65 anni l’attore americano Val Kilmer

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È morto all’età di 65 anni l’attore americano Val Kilmer. Lo rende noto la famiglia, citata dal New York Times. Il decesso è avvenuto a Los Angeles a causa delle complicazioni di una polmonite, ha spiegato la figlia Mercedes Kilmer. All’attore era stato diagnosticato un cancro alla gola nel 2014, da cui era riuscito a guarire. Tra le sue tante interpretazioni si ricordano in particolare quella Jim Morrison in ‘The Doors’ del 1991 di Oliver Stone, quella di Iceman in ‘Top Gun’ del 1986 di Tony Scott e quella di Bruce Wayne in ‘Batman forever’ del 1995 di Joel Schumacher.

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Cinema

Giovanni Bagnasco e “il mostro”: “Ho imparato a non essere vittima. La felicità è una responsabilità”

Nella serie L’arte della gioia è Ippolito, il “mostro” che conquista il cuore dello spettatore. Nella vita, Giovanni Bagnasco è un ragazzo di 25 anni con il volto segnato dalla sindrome di Treacher Collins e un’anima limpida che illumina ogni sua parola. In un’intervista al Corriere della Sera racconta la sua storia fatta di sfide, consapevolezza e rinascita.

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«Potrei scrivere un libro sugli sguardi. Da piccolo anche il non detto faceva male», racconta Giovanni Bagnasco. Il suo volto racconta una storia rara, segnata dalla sindrome di Treacher Collins, una malattia congenita che colpisce ossa e cartilagini del volto. Eppure, Giovanni ha imparato presto a distinguere tra due tipi di persone: «i cuori buoni e i cuori ciechi».

Cresciuto nella quiete di Chianciano Terme, tra campagna e spazi aperti, ha coltivato sogni artistici tra un lavoro da casellante e un corso di lingua dei segni mai concluso a causa del Covid. Fino all’improvviso incontro con il mondo del cinema, che lo ha accolto attraverso due provini superati: uno per Finalmente l’alba, l’altro con Valeria Golino per il ruolo di Ippolito.

“Il mostro” che racconta la forza interiore

«Il personaggio non è stupido, è solo stato isolato», gli dice Golino. E lui in quel ruolo riversa tutto: «la parte docile e quella vulcanica». Nessuna scuola di recitazione, ma la forza di una vita vissuta senza filtri. «Sul set, mentre giravo le scene più violente, pensavo ai momenti difficili vissuti», confessa.

E quando si parla d’aspetto, Giovanni è disarmante: «La parola ‘mostro’ non mi ferisce più, è solo una componente della mia vita». Da piccolo piangeva, si chiedeva “perché a me?”, ma oggi si è dato una risposta che lo guida: «Dovevo nascere così e basta. Fare la vittima non ti renderà felice».

L’amore, la musica, il futuro

Oggi è un attore emergente, ma anche un ragazzo che ha vissuto l’amore, che ha scritto testi rap, che ha lottato contro il dolore. «Ho ricevuto tanto e ho dato tanto», racconta. Sui social ci sta poco: solo per progetti artistici o per sostenere la onlus del suo chirurgo, la Smile House. «Da ragazzino, i social mi facevano male. Era una vita parallela».

La sua forza più grande è quella di saper vedere oltre: «Sembrerei più brutto se stessi sempre a disperarmi. Siamo tutti belli, se troviamo la nostra bellezza interiore».

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