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“Brigante pe’ ammore”, il rapper Tueff racconta il Sud ingannato e canta l’autonomia con l’ottimismo di chi ha cuore napoletano e anima cosmopolita

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Tueff, al secolo Federico Flugi, è un rapper napoletano. Con il suo ultimo progetto, “Brigante pe’ ammore”, affronta temi quali la questione meridionale, il brigantaggio e l’autonomia. Racconta la storia della nostra terra, ma non guarda al passato con nostalgia. Tueff guarda al futuro con ottimismo e fa la sua parte per cambiare le cose. Nel 2015 è stato selezionato per il Premio Tenco nella categoria disco in dialetto e nel 2018 è vincitore del contest “Materiale Resistente 2.0” del MEI. 

Tueff, quando si è avvicinato per la prima volta alla cultura hip hop?

Se dovessi indicare un momento preciso non saprei farlo, ricordo però che da ragazzino guardavo con mio fratello i film americani degli anni ottanta legati alla cultura hip hop, in cui si vedevano i primi breaker e i primi writer. Erano gli anni del boom della cultura hip hop ed io ne rimasi affascinato, ma non avrei mai immaginato che da grande avrei fatto rap. La scena hip hop americana è diversa dalla nostra, lì c’è un mercato dell’underground ed è anche abbastanza esteso. Qui da noi non c’è lo stesso mercato, quindi è molto complesso per chi come me decide di non snaturarsi, credo sia una scelta coraggiosa.

Le foto in questo servizio sono state fornite dall’ufficio stampa dell’artista. Quelle in bianco e nero sono state scattate da Pino Miraglia. Quella di Tueff in evidenza è invece di Riccardo Piccirillo.

 

 

 

A più riprese si è parlato di lei come del rapper della questione meridionale. E´ una definizione che condivide?

E´ una cosa che mi accompagna da diversi anni e in cui mi ritrovo. Racconto la vera storia della nostra terra, ma non guardo al passato in modo nostalgico, auspicare un ritorno della monarchia sarebbe anacronistico. Probabilmente l’Italia andava unita, ma in modo diverso, senza spargimenti di sangue. Il rap poi si rivolge ad un pubblico di giovani, ragazzi che forse non si mettono a leggere i libri di Antonio Ciano o di Pino Aprile. Magari però trovano qualche citazione nei miei brani e, incuriositi, si vanno ad informare. Se anche un solo ragazzo prende coscienza della nostra storia attraverso le mie canzoni, sono contento, ho raggiunto il mio scopo. 

Sono usciti da poco i primi due singoli di “Brigante pe’ammore”. Cosa può dirci di questo progetto?

E´ un progetto realizzato insieme a Gianni Mantice, le musiche sono le sue. Un progetto che parla di meridionalismo, brigantaggio ed autonomia. Quando due estati fa il Vesuvio è stato colpito dagli incendi, sono andato come volontario per contribuire allo spegnimento dei roghi. Sono stato a Villa Dora, a Terzigno, nelle terre appartenute al Brigante Pilone. In “Brigante pe’ammore” parlo proprio di lui. Quando ho scoperto che mi trovavo nella terra che era stata sua, ho provato un’emozione molto forte; decisi quindi che il videoclip sarebbe stato girato lì. Abbiamo girato fra Terzigno, paese che mi ha poi conferito la cittadinanza onoraria, e Gaeta, un omaggio allo scrittore meridionalista Antonio Ciano, che peraltro compare anche nel video.

Chi erano i briganti? 

La parola brigante nella lingua italiana ha sempre avuto un’accezione negativa: il brigante è il pericoloso fuorilegge, il malfattore. I briganti in realtà difesero la propria terra dall’invasore. Durante la Seconda guerra mondiale i tedeschi furono scacciati dai partigiani, potremmo affermare che i briganti siano stati i nostri partigiani, collocati però in un contesto storico differente e con un finale diverso. La gente di Bologna, Faenza, Genova e di altre zone del Nord, ha un forte legame con la Resistenza ed i partigiani, forse per questo mi apprezzano parecchio da quelle parti, si rivedono nei miei racconti. Non a caso, il premio che ho ricevuto dal MEI per il contest “Materiale Resistente 2.0”, era dedicato al ricordo di Bruno Neri, un partigiano giocatore del Torino. 

Ci racconta il suo impegno civico a Terzigno che le è valso anche la cittadinanza onoraria?

A Terzigno mi ritrovai durante l’emergenza incendi di due anni fa a spalare e fare trincee per contenere le fiamme e in quell’occasione lavorai spalla a spalla col sindaco di Terzigno, Francesco Ranieri. Nacque in quella circostanza un rapporto di stima e di amicizia. Il sindaco decise poi di conferirmi la cittadinanza onoraria, un riconoscimento di cui era stato insignito, prima di me, il grande James Senese.

Sappiamo che ha un tatuaggio con la targa della Mehari di Giancarlo Siani.

Sì, ho tatuato sul polpaccio la targa della Mehari verde di Giancarlo. Solo in seguito ho conosciuto Paolo Siani, grazie alla giornalista Natascia Festa del Corriere del Mezzogiorno. Quella Mehari Paolo non la da a nessuno, a me l’ha prestata per girare il videoclip di “Ogni vota”, un mio pezzo in cui parlo di Giancarlo Siani. L’abbiamo avuto solo io e Marco Risi questo privilegio. Sedersi in quella Mehari sotto il cielo di Napoli è stata un’emozione indescrivibile. Sono ricordi che porterò con me per tutta la vita, molto di più dei premi e dei riconoscimenti.

Cosa sogna per Napoli?

Sogno che i napoletani prendano coscienza della propria storia, dei propri valori. Sogno più cultura, perché essa è il motore del cambiamento. Un popolo ignorante invece è più facile da controllare. Prima di prendercela con la politica, prendiamo coscienza di chi siamo, della nostra storia: la cultura può essere la chiave di volta. Io sono ottimista, ma se vogliamo un futuro migliore per la nostra terra, ciascuno deve fare la propria parte. Ci vogliono inoltre politici che siano persone di cuore, in grado di anteporre gli interessi della collettività ai propri. Questo dovrebbe essere il senso della politica, mettersi al servizio della comunità, ma oggi di persone così ce ne sono sempre di meno.

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Alessandra Amoroso torna a Napoli col pancione e il cuore pieno: “Tutto è per Penelope Maria”

Alessandra Amoroso torna a Napoli con il pancione per il firmacopie del nuovo album “Io non sarei”, dedicato alla figlia Penelope Maria.

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Napoli la ritrova così, radiosa, potente, incinta. Alessandra Amoroso arriva oggi alla Feltrinelli della stazione centrale, alle ore 18, per firmare le copie del suo nuovo disco “Io non sarei”, ma anche per partecipare al Villaggio della prevenzione al Porto. È un ritorno carico di emozione, dopo i live che l’hanno vista protagonista prima sul palco di Radio Kiss Kiss in piazza del Plebiscito, poi come ospite del maxi show di Gigi D’Alessio allo stadio Maradona e infine nel suo concertone a Caracalla, accompagnata da amici come Fiorella Mannoia, Annalisa, BigMama, Giorgio Panariello, Serena Brancale. Un evento che diventerà anche uno speciale televisivo su Canale 5.

Penelope Maria, figlia già presente

Tutto ruota attorno a Penelope Maria, la bambina che nascerà il prossimo 9 settembre, ma che Alessandra sente già parte di sé: «Sentirmela dentro mi dà un senso di grande benessere. Mi ha fatto capire chi sono davvero». E intanto, col pancione bene in vista, la cantante sgambetta sui tacchi 12, canta e balla: «Come una pazza!».

Gravidanza, palco e battaglie sociali

Ma Amoroso non dimentica l’altra faccia della maternità in Italia: «Le donne che decidono di diventare madri sono tutelate fino a un certo punto. Io ho una situazione privilegiata, ma non per tutte è così». Quando le si chiede se si aspetta qualcosa da Giorgia Meloni, risponde: «Non ho il suo numero, ma uso il mio palco per dare voce a chi non ne ha».

“Io non sarei”: un disco e un’identità

Nel suo nuovo album, prodotto da Zef, Alessandra racconta il suo percorso umano prima ancora che musicale: «Agli inizi mi sentivo inadeguata. Mi giudicavo e mi boicottavo. Poi ho imparato ad abbracciarmi. Mi sono detta: Sandrina, datti una pacca sulle spalle!»

Il passaggio a Sanremo 2024 è stato uno spartiacque, duro ma utile: «L’odio sui social mi ha colpita, non ero pronta. Ma mi ha fatto crescere. Oggi ringrazio anche chi mi ha criticato».

Verso il futuro: musica, scrittura e un sogno gospel

Alessandra si sente coerente e fedele a se stessa: «Non ho mai fatto compromessi. La malizia è negli occhi di chi guarda, non nei miei». E rivela anche una nuova passione: «Mi piace scrivere i testi, vorrei pubblicare un secondo disco, magari gospel. Ho ancora tante cose da dire».

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Vasco Rossi, l’ultima certezza: il Komandante accende Napoli con due sold out al Maradona

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Napoli ha celebrato un rito che resiste al tempo, l’ultima certezza generazionale: Vasco Rossi. Davanti allo stadio Diego Armando Maradona, tende e ragazzi accampati da giorni testimoniano una devozione che travalica età, stili e generazioni. Il Komandante torna nella sua città dell’anima con due concerti consecutivi, oggi e domani, 94.000 spettatori già con il biglietto in tasca da oltre un anno. Due serate che si preannunciano memorabili, nell’abbraccio di uno stadio che lui stesso definisce «un’esplosione di gioia».

“Vita spericolata” è un manifesto collettivo

L’apertura del concerto è affidata a “Vita spericolata”, il brano-manifesto di una filosofia che Vasco oggi reinterpreta al plurale: «Siamo una vita spericolata». Un modo per abbracciare il suo pubblico, quello storico e quello nuovo, fatto di figli e nipoti di chi negli anni Ottanta lo seguiva già nei palazzetti e negli stadi. Tra sorrisi, pancioni scoperti e striscioni pieni d’amore – come il celebre «Prima Vasco e poi nasco» – la folla di Fuorigrotta si conferma un esercito affettuoso, pronto a cantare ogni parola a memoria.

Il saluto a Napoli e l’omaggio a Pino Daniele

«A Napoli respiro, ahhh», ha confessato Vasco, postando sui social un saluto sentito e poetico: «Questo stadio e Maradona sempre nel cuore… A Napoli mi lega l’affetto della gente, il calore delle persone e la loro generosità. Per dirla con il Poeta: Napule è mille colori». Un omaggio dovuto anche a Pino Daniele, l’amico scomparso ma sempre presente nel cuore del Blasco e di tutto il pubblico partenopeo.

Un concerto tra luce, memoria e messaggi forti

Vasco, oggi 73 anni, non si atteggia a giovane, ma parla ai giovani con la memoria viva di chi è stato giovane davvero. Sul palco condanna le guerre, il riarmo, la strage di Gaza, e definisce il suo show «un concerto di luce, in un mondo pieno di odio e violenza». Un messaggio semplice, diretto, lontano da ogni retorica: la sua musica è celebrazione della vita, anche quando urla rabbia e dolore.

I brani, il sound, la band

La scaletta mescola classici senza tempoSiamo solo noi, Sally, Rewind, Albachiara – con perle più rare come E il tempo crea eroi (1976). La band, guidata dal fedelissimo Vince Pastano, suona compatta, rock e potente, ma capace di accogliere ballad orchestrate con synth e archi da romanticismo anni ’80. C’è spazio anche per brani più recenti come Siamo qui e per inni carichi di significato come Gli spari sopra e Buoni o cattivi.

Vasco, simbolo popolare che non smette di parlare a tutti

Celebrato ieri come cattivo maestro, oggi come un guru, Vasco resta l’ultimo artista capace di riunire l’Italia musicale e sociale in uno stadio. Per chi era sotto quel palco, o accampato in tenda, è stato più di un concerto: è stato l’ennesima conferma che certe emozioni non invecchiano mai.

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Cremonini: mi metto in gioco, ho ancora tanto da dire

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“Sono un artista che ancora si mette in gioco, che non è seduto sugli allori, che scommette e che prova a inventare. Ho ancora tanto da dire. Ho ancora fame” commenta Cesare Cremonini a poche ore dal primo dei due concerti a San Siro con cui entra nel vivo il ‘Cremonini Live25’, il tour del cantante bolognese, cominciato a Lignano la scorsa settimana con la data zero, che ha registrato il completo sold out. Un lungo percorso – che durerà “due anni e mezzo” visto che sono già stati annunciati quattro live per la prossima estate alle terme di Caracalla, all’Ippodromo La Maura di Milano, all’arena del Visarno a Firenze e a Imola -, che mette al centro il suo ultimo album Alaska Baby, simbolo “di una trasformazione personale molto importante”. Ogni strada e ogni incrocio del lungo viaggio che ha intrapreso e portato fino all’Alaska è diventata una canzone. Quelle nuove che suonerà Cremonini a San Siro sono otto, mai così tante: “Vuol dire che in questo disco c’è stato un volta pagina”.

Lo spettacolo è pensato come un viaggio che si spinge fino alle aurore boreali che saranno riprodotte attraverso dei laser potentissimi. La band sarà quella di sempre, con il ritorno alla batteria di Andrea Fontana. Anche lo stesso Cremonini si cimenterà con un nuovo strumento. Qualche anno fa, mentre era in un ristorante a Maratea, rimase affascinato dal suono di una fisarmonica. Un musicista stava suonando Morricone e poi la sua ‘Vorrei’. Fu amore a prima vista e “dal giorno dopo ho iniziato a prendere lezioni” con Salvatore Cauteruccio. Cremonini si definisce un cantante che ha ancora paura di sbagliare: “Dover studiare per uno show è una cosa che mi piace. Vocalmente amo questo tour, perché è difficile. E io amo le cose difficili”. Per prepararsi è stato sulle Dolomiti, con una dieta ‘no sugar, no social e no alcol’, i “miei tre veleni” e adesso “sono in grande forma fisica e mentale”.

Il concerto durerà più di due ore e mezza e ci saranno grandi ospiti a partire da Elisa e da Luca Carboni, con cui Cremonini ha inciso la fortunatissima ‘San Luca’. Carboni sarà a Milano, a Roma e nella sua Bologna: “Parteciperà a più live possibili. Sarà particolare per lui venire a San Siro e non vedo l’ora che salga sul palco”. Per entrambi è fondamentale il legame con la loro Bologna: “Mi emoziona l’idea che Luca torni al Dall’Ara per due sere di fila”.

Perché se è vero che “non esistono eredi di artisti inimitabili come Lucio Dalla”, Cremonini ha sempre pensato che la sua storia dovesse essere “in continuità” con la tradizione musicale bolognese, “un valore più importante delle cose che potrei guadagnare durante la carriera. Sono un traghetto che porta avanti questa tradizione”. Una volta a Roma, poi, “mi piacerebbe ricreare un trio con Carboni e Jovanotti, che sarà all’Olimpico per la mia ultima data”. I sold out “mi hanno responsabilizzato” con numeri “non scontati” e per questo è tanta la voglia di restituire qualcosa: “Voglio che il mio pubblico sappia che sono ancora affamato, che sono ancora inquieto – conclude Cremonini -. Non sono nelle condizioni di fare i concerti per fare cassa. E non è ancora arrivato il momento di fare nei live dei meravigliosi e festanti karaoke. Sono un artista dell’oggi, ancora impegnato nel suo lavoro e nella ricerca”.

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