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Brexit, oggi i 27 paesi che restano “festegiano” il divorzio da Londra con Theresa May

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La minaccia del premier spagnolo Pedro Sánchez di far saltare il tavolo per via di Gibilterra si è arenata e l’accordo sulla Brexit si è sbloccato. E così al Consiglio Europeo straordinario di oggi i Ventisette capi di Stato e di Governo potranno dare il via libera politico ai due testi di accordo tra Londra e Ue faticosamente negoziati nei mesi scorsi. Uno, il trattato di recesso del Regno Unito dall’Unione, regola tutte le questioni spinose, dal confine tra Irlanda del Nord e Repubblica Irlandese, allo status dei cittadini Unione Europea e britannici, agli impegni finanziari; l’altro è la dichiarazione (non vincolante) sulle future relazioni dopo la Brexit del 29 marzo 2019 con la prospettiva di un vasto accordo di partenariato da concludere entro la fine del periodo di transizione, il 31 dicembre 2020. “Durante questi negoziati – scrive il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk nella lettera d’invito ai leader – nessuno voleva sconfiggere nessuno. Tutti stavamo cercando un accordo buono e giusto, ritengo che abbiamo trovato il migliore accordo possibile”. E, aggiunge, “sebbene nessuno abbia ragioni di esser felice per questo giorno, vorrei sottolineare che in questo momento critico l’Ue a 27 ha passato il test di unità e solidarietà”. Per il Consiglio è stata deliberatamente scelta una coreografia minore, per evitare che appaia come una “celebrazione”.

La Commissione Europea

Tutto si svolgerà tra le nove e trenta e mezzogiorno (nell’ultima mezz’ ora con la premier britannica Theresa May). La stessa May era a Bruxelles già ieri sera, per colloqui con il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker (poi andato a cena con Conte) e Tusk. Colloqui soprattutto per coordinare, dicono fonti diplomatiche, la “narrativa”, il modo di “vendere” l’ accordo all’ interno del Regno Unito, in vista del difficilissimo voto di Westminster. Un faccia a faccia di circa un’ora tra Theresa May e il presidente della Commissione Juncker, definito “costruttivo” dal portavoce  della Commissione Margaritis Schinas che in un tweet ha aggiunto: “Siamo sulla buona strada”. Ad annunciare la fine dello stallo, dopo 24 ore di triangolazione Bruxelles-Londra-Madrid, era stata una telefonata a metà pomeriggio tra Sánchez e Tusk e poi Juncker. “L’Europa e il Regno Unito – ha dichiarato lo spagnolo – hanno accettato le nostre richieste, e dunque la Spagna toglie il suo veto. La questione di Gibilterra è di capitale importanza per la Spagna”. A suscitare le ire iberiche era stato l’articolo 184 del Trattato di recesso, che secondo Madrid avrebbe implicato un automatismo dell’applicazione di un futuro accordo di partenariato Ue-Londra anche a Gibilterra, mentre la Spagna pretende l’ultima parola sulla Rocca. Madrid aveva chiesto di modificare il Trattato, ma nessuno voleva toccarlo, nel timore di aprire un Vaso di Pandora. Perplessità di vari Paesi non mancano, ad esempio la Francia ha imposto che nelle conclusioni del Consiglio si affermi che “ben prima della fine del periodo di transizione”, si dovrà trovare una soluzione sulla pesca in acque britanniche.
Alla fine tutto il negoziato è girato intorno a due dichiarazioni, una dei Ventisette, una di Londra, per rassicurare Madrid, arrivate a metà pomeriggio. Per Londra, l’ambasciatore presso l’Ue, Tim Barrow, assicura che l’articolo 184 “non impone obblighi sull’ambito di applicazione territoriale” dei futuri accordi. E nella dichiarazione dei Ventisette, si legge che dopo la Brexit “Gibilterra non sarà inclusa nell’ambito di applicazione di accordi tra l’Ue e il Regno Unito” pur restando possibili “accordi separati” con “l’assenso preliminare del Regno di Spagna”. Per avere valenza giuridica il Trattato di recesso dovrà ora essere approvato con un un voto formale a maggioranza qualificata (scontata) del Consiglio dei ministri Ue e poi del Parlamento Europeo. Per Londra, servirà il sì, difficilissimo, di Westminster. Che potrebbe fare carta straccia di tutto.

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Putin boccia l’ultimatum, Trump vuole andare a Istanbul

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Nessuna tregua di 30 giorni in Ucraina. Vladimir Putin ha respinto al mittente l’ultimatum “inaccettabile” lanciato sabato da Kiev dai leader dei Volenterosi – sostenuti da Donald Trump – di un cessate il fuoco di un mese, pena l’inasprimento delle sanzioni. “Non è questo il modo di parlare alla Russia”, ha tagliato corto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il presidente americano è tuttavia convinto che “un buon risultato” possa arrivare dai primi colloqui diretti tra russi e ucraini dal 2022, in programma il 15 maggio a Istanbul, ai quali non esclude di partecipare lui stesso, inserendo una tappa in Turchia al suo viaggio in Medio Oriente: “Ci sto pensando”, ha spiegato Trump prima di imbarcarsi per l’Arabia Saudita, convinto che a Istanbul ci saranno sia Putin che Volodymyr Zelensky.

Ma il solo ad aver confermato finora la sua partecipazione, sfidando lo zar a raggiungerlo, è stato il leader ucraino che ha sentito per la prima volta Papa Leone XIV, in una telefonata definita “molto calorosa e davvero significativa”. Zelensky lo ha quindi invitato “a compiere una visita apostolica in Ucraina”: “Porterebbe vera speranza al nostro popolo”, ha sottolineato il presidente, dopo aver invitato più volte a Kiev, ma invano, Papa Francesco. Zelensky ha poi informato il nuovo Pontefice “dell’accordo tra l’Ucraina e i partner, secondo cui dovrebbe iniziare un cessate il fuoco completo e incondizionato per almeno 30 giorni” e ha confermato “la disponibilità a ulteriori negoziati in qualsiasi formato, compresi i negoziati diretti”.

“L’Ucraina – ha assicurato a Leone XIV – vuole porre fine a questa guerra e sta facendo tutto il possibile per questo. Aspettiamo che la Russia adotti misure adeguate”. A cominciare dai negoziati di Istanbul che, per il leader ucraino, “potrebbero contribuire a porre fine alla guerra”. “Non sottovalutate” l’incontro di “giovedì in Turchia, ha il potenziale di un buon incontro”, ha detto anche Trump. “Non doveva tenersi, ma ho insistito perché si facesse”, ha quindi ribadito, annunciando di valutare “di fare un volo” per Istanbul. “Non so dove sarò giovedì, ho tanti incontri. Ma c’è una possibilità” che ci vada, “se riterrò che le cose possano andare avanti”. Immediata la reazione positiva di Zelensky che tenta di mettere all’angolo Putin agli occhi del presidente americano: “Ho sostenuto Trump nell’idea di colloqui diretti con Putin. Ho espresso apertamente la mia disponibilità a incontrarlo. Io sarò in Turchia. Spero che i russi non si sottraggano all’incontro”, ha dichiarato via social.

“E naturalmente, tutti noi in Ucraina apprezzeremmo se Trump potesse essere presente a questo incontro in Turchia. È l’idea giusta”, ha sottolineato, ribadendo di aver anche sostenuto la proposta del presidente americano “di un cessate il fuoco completo e incondizionato”, al contrario del Cremlino. Che attraverso Peskov ha ricordato che è stato lo stesso Putin a proporre negoziati diretti tra Mosca e Kiev, ma con l’obiettivo di raggiungere “una soluzione pacifica di lungo periodo”, non una tregua temporanea. “Il linguaggio degli ultimatum non è accettabile per la Russia, non è appropriato, non si può parlare alla Russia in questo modo”, ha quindi affermato Peskov, riferendosi alle dichiarazioni dei leader dei Volenterosi che avevano dato tempo a Mosca fino a lunedì sera per accettare o meno il cessate il fuoco.

Riaggiornandosi per un nuovo round di colloqui al termine della scadenza, come annunciato da Macron. Riuniti a Londra i ministri degli Esteri europei, tra cui Antonio Tajani, in formato Weimer+ allargato all’Ucraina hanno espresso la volontà di mantenere la pressione su Mosca e il loro “scetticismo” sulla reale volontà di Putin di “volere la pace”, anche alla luce degli ultimi attacchi notturni sull’Ucraina con “108 droni”, di cui uno ha fatto una vittima a Sumy. “Non sono messaggi che vanno nella giusta direzione”, ha commentato il capo della Farnesina.

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Zelensky: “Sarò in Turchia per i colloqui. Spero ci siano anche i russi e Trump”

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha confermato la sua presenza ai colloqui previsti per giovedì in Turchia, lanciando un appello affinché vi partecipino anche la delegazione russa e l’ex presidente americano Donald Trump. L’annuncio è arrivato direttamente dal leader ucraino attraverso un messaggio pubblicato sul suo canale Telegram.

«Sarò in Turchia. Spero che i russi non si sottraggano all’incontro. E naturalmente, tutti noi in Ucraina apprezzeremmo se il presidente Trump potesse essere presente», ha dichiarato Zelensky. L’iniziativa si colloca all’interno di un nuovo tentativo di rilanciare il dialogo per porre fine alla guerra con la Russia, con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan pronto a svolgere un ruolo di mediazione.

Zelensky ha anche espresso sostegno esplicito all’idea di Donald Trump di un cessate il fuoco completo e incondizionato come base per riavviare la diplomazia. «Ho appena sentito la dichiarazione del presidente Trump. Parole molto importanti. Ho sostenuto la sua idea di un cessate il fuoco abbastanza lungo da gettare le basi per la diplomazia. E lo vogliamo. Siamo pronti a mantenere una tregua da parte nostra», ha aggiunto.

Nel concludere il suo messaggio, Zelensky ha ringraziato Erdogan per l’impegno a ospitare un summit di alto livello: «Il presidente Erdogan può davvero ospitare un incontro di altissimo livello. Grazie a tutti coloro che stanno aiutando».

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Il Qatar dona a Trump un nuovo lussuoso Air Force One

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Un Boeing 747-8 extra lusso in dono a Donald Trump, da usare come nuovo Air Force One. Il prezioso regalo, il più costoso mai ricevuto, arriva dalla famiglia reale del Qatar per la gioia del tycoon, da anni frustrato dal ‘suo’ aereo presidenziale ormai troppo datato e da una Boeing incapace di sostituirlo in tempi rapidi. L’annuncio ufficiale – riporta Abc – arriverà la settimana prossima, durante la tappa in Qatar del viaggio del presidente americano in Medio Oriente.

Il velivolo, che Trump ha avuto modo di vedere con i suoi occhi in febbraio mentre era parcheggiato al West Palm Beach International Airport, è talmente lussuoso da essere stato soprannominato un “palazzo reale volante”. E’ in grado quindi di soddisfare l’appetito per il lusso del presidente e di placare la sua insoddisfazione per non essere ancora riuscito, dopo anni di tentativi, ad avere un nuovo aereo presidenziale. Trump lo ha commissionato a Boeing nel 2018 e lo scorso anno la società aveva stimato la consegna nel 2029, quando il tycoon sarebbe già fuori dalla Casa Bianca. Dopo polemiche e pressioni la consegna era stata anticipata al 2027, ma nonostante questo Trump aveva chiesto al first Buddy Elon Musk di prendere in mano il dossier e accelerare i tempi.

L’atteso regalo del Qatar risolve ora il problema, pur esponendo l’amministrazione a critiche, considerato che l’aereo è fra i regali più costosi mai ricevuti da un governo straniero. Il Dipartimento di Giustizia e i legali della Casa Bianca hanno però assicurato che è “legalmente ammissibile”, a patto che la sua proprietà sia trasferita alla biblioteca presidenziale di Trump prima della sua uscita dalla Casa Bianca. L’aereo sarà sottoposto a modifiche per rispondere ai requisiti militari richiesti per ogni velivolo usato per il trasporto di un presidente americano. Modifiche che, comunque, dovrebbero consentire di rispettare i tempi dettati dal presidente, ovvero avere un nuovo aereo nel 2025.

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