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Attacco al bus del Boca, feriti 4 calciatori: salta la finale col River. Ecco che cosa è successo

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Anche Perez e Lemardo del Boca Juniors sono finiti in ospedale in un giornata di disordini a Buenos Aires culminata nell’assalto al bus con i calciatori. La finale di ritorno della Coppa Libertadores è stata in forse per molte ore, poi si è deciso di posticiparla a oggi alle 17 (le 21 in Itali).

All’esterno dello stadio Monumental, a partire dall’arrivo del bus che portava la squadra del Boca Junior, intorno alle 15.20 locali, a poco meno di due ore dall’inizio fissato della finalissima con il River Plate è scoppiato il caos. È stato un lunghissimo tira e molla tra il Boca, che chiedeva a gran voce il rinvio della gara, e la federazione sudamericana, che a tutti i costi ha spinto verso il regolare svolgimento della finale di ritorno della Coppa Libertadores.

 Un gruppo di delinquenti che aspettava di entrare nello stadio ha preso di mira il mezzo con un lancio fitto di pietre. Gli agenti non erano presenti in numero sufficiente per fermare i facinorosi, commenta El Clarin, e quando sono arrivati era ormai tardi. Per disperdere i tifosi la polizia ha poi fatto uso di gas lacrimogeni e il risultato è stato che i giocatori del Boca sono entrati negli spogliatoi con ferite da taglio per via dei vetri mandati in frantumi dalle pietre e con evidenti difficoltà di respirazione a causa dei gas.

Rodolfo D’Onofrio. Il presidente del River Plate (col giubbotto rosso) voleva che si giocasse subito la partita

I dirigenti del Boca hanno chiesto la sospensione della finale che sarebbe dovuta cominciare alle 17 (le 21 italiane). Sugli spalti dello stadio del River c’era già 50 mila spettatori, mentre molti altri sono stati bloccati senza poter entrare allo stadio. Alcuni medici che fanno capo alla confederazione sudamericana, la Conmebol, sono entrati negli spogliatoi dove si sono rifugiati i calciatori del Boca e da lì la decisione di rinviare di un’ ora (alle 22 italiane) la finale di ritorno della Coppa. I due presidenti Daniel Angelici (Boca) e Rodolfo D’Onofrio (River) si sono riuniti con i rappresentanti delle forze dell’ ordine e i vertici della Conmebol per prendere una decisione.

Il Boca insisteva per il rinvio sostenendo che quattro suoi calciatori erano stati feriti, in particolare Pablo Perez e Leonardo Jara, due titolari che ora non sarebbero stati in grado di scendere in campo.
Altri giocatori del Boca, ha fatto presente il club, sono rimasti intossicati a causa dei gas lacrimogeni utilizzati dalla polizia per disperdere i teppisti che avevano attaccato il bus dei gialloblù. Nello stadio Monumental era presente, e si trovava già in tribuna d’ onore al momento dell’ attacco al pullman del Boca, anche il presidente della Fifa Gianni Infantino che ha partecipato alle riunioni decisive per il posticipo della gara e, infine, per la decisione di rinviarla di un giorno. Una vergogna per il movimento calcistico in generale e per il calcio argentino.

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Hamas blocca il rilascio degli ostaggi, tregua in bilico

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La tensione a Gaza torna alle stelle perché il cessate il fuoco, che ha retto per tre settimane, rischia ora di saltare. La miccia è stata accesa da Hamas, che ha annunciato il rinvio del nuovo rilascio di ostaggi previsto per sabato accusando Israele di non aver rispettato pienamente gli accordi sottoscritti a metà gennaio. Immediata la condanna dello Stato ebraico, che ha denunciato una “violazione della tregua” da parte della fazione palestinese, mentre l’Idf ha ricevuto ordini di “prepararsi da ogni scenario” e Benyamin Netanyahu ha avviato consultazioni urgenti con l’establishment della Difesa. E’ appunto uno scenario di crisi, reso ancora più instabile dalle nuove dichiarazioni di Donald Trump sul futuro della Striscia: secondo il suo piano, è la novità annunciata dal presidente Usa, non è previsto il ritorno degli sfollati nell’enclave dopo la presa di possesso da parte degli Stati Uniti.

Sabato prossimo, 15 febbraio, sarebbe dovuto scattare il sesto scambio di prigionieri tra Hamas e Israele, nell’ambito della prima fase della tregua, ma l’ala militare della fazione palestinese ha comunicato che tutto “è rinviato fino a nuovo avviso, in attesa che gli occupanti adempiano ai loro obblighi”. Una dichiarazione vaga, che tuttavia è sembrata tradire la scarsa fiducia di Hamas sulla volontà israeliana di portare avanti i negoziati per arrivare ad una completa cessazione delle ostilità. Il governo israeliano ha invece accusato Hamas di voler far saltare tutto, e dopo l’annuncio dello stop alla liberazione degli ostaggi sono scattate le consultazioni al più alto livello per valutare i prossimi passi, mentre l’esercito è tornato a schierarsi in “stato di massima allerta”, con la possibilità quindi di tornare a combattere.

Mentre centinaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv per invocare il ritorno a casa di tutti i rapiti. Allo stesso tempo, anche all’interno dello Stato ebraico non mancano le voci di chi crede che Netanyahu abbia tutto l’interesse a sabotare la tregua. Per non mostrarsi debole di fronte all’ultradestra, che non a caso ha colto l’occasione dello strappo di Hamas per rilanciare il proprio mantra: “Tornare alla guerra, assaltare Gaza e distruggere Hamas”, le parole incendiare utilizzare dall’ex ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, dimessosi proprio in seguito all’accordo di cessate il fuoco. Hamas, a proposito del congelamento dello scambio di prigionieri, ha puntato il dito anche contro Trump e il suo piano per Gaza. Il presidente americano, che nei giorni scorsi aveva annunciato l’intenzione di voler prendere il controllo della Striscia per trasformarla di fatto in un grande resort, durante un’intervista alla Fox è stato ancora più esplicito. Il suo impegno è addirittura quello diventare “proprietario” di Gaza, per pianificare uno “sviluppo immobiliare per il futuro” di questo “bellissimo pezzo di terra”.

Quanto ai suoi attuali abitanti, l’inquilino della Casa Bianca ha immaginato di realizzare fino a sei nuove e “belle comunità, lontane da dove si trovano adesso” i palestinesi, in zone “dove non c’è tutto questo pericolo”. Delle residenze talmente belle che, è l’idea di Trump, i gazawi non avrebbero nessun motivo di lasciare. “Avrebbero alloggi migliori di adesso, quindi no, non avrebbero il diritto di tornare” a Gaza, è stata la sua risposta alla domanda del giornalista. Netanyahu ha accolto il piano Trump definendolo una “visione nuova e rivoluzionaria per il giorno dopo Hamas” a Gaza, ma tutto il mondo arabo (e anche l’Ue) l’ha rigettato a più riprese. A partire da Egitto e Giordania, che sarebbero i Paesi candidati ad accogliere i circa due milioni di abitanti della Striscia.

Il presidente americano, tuttavia, si è detto fiducioso di poterli convincere, sfruttando la sua solita leva: “Diamo loro miliardi e miliardi di dollari all’anno” in aiuti militari, “penso che potrei fare un accordo con loro”, la sua previsione. Nel frattempo il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty è volato a Washington dove ha incontrato l’omologo Marco Rubio, anche se nessuno dei due ha parlato con i media. E domani è atteso un colloquio tra Trump e il re giordano Abdallah II. Sul piano americano per Gaza, invece, non si sbilancia la Russia. “Dovremmo aspettare di conoscere alcuni dettagli per sapere se stiamo parlando di un piano d’azione coerente”, ha fatto sapere il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ricordando che ai palestinesi “è stata promessa” in sede Onu “una soluzione statale al problema del Medio Oriente”.

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Duello per OpenAi, Musk sfida Altman e offre 97 miliardi

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Scontro tra i titani Usa dell’intelligenza artificiale, Elon Musk e Sam Altman (foto Imagoeconomica in evidenza), entrambi nelle grazie di Donald Trump. Un consorzio di investitori guidato da Musk offre 97,4 miliardi di dollari per acquistare la non-profit che controlla OpenAI, aumentando la posta in gioco nella battaglia del patron di Tesla con Altman sulla società che sta dietro ChatGPT. L’avvocato di Musk, Marc Toberoff, ha detto di aver presentato lunedi’ l’offerta al cda di OpenAI e che il gruppo di investitori è pronto a eguagliare o superare qualsiasi offerta superiore alla propria. Una mossa che complica i piani attentamente elaborati da Altman per il futuro di OpenAI, tra cui la conversione in una società a scopo di lucro e la spesa fino a 500 miliardi di dollari in infrastrutture tramite la joint venture Stargate, ‘benedetta’ recentemente da Donald Trump alla Casa Bianca.

Lui e Musk stanno già sfidandosi in tribunale sulla direzione futura di OpenAI. “È tempo che OpenAI torni ad essere per sempre la forza open source e incentrata sulla sicurezza che era una volta”, ha affermato Musk in una dichiarazione fornita da Toberoff. “Faremo in modo che ciò accada”, ha aggiunto. Altman e Musk hanno co-fondato OpenAI nel 2015 come ‘charity’. Nel 2019, dopo che Musk ha lasciato l’azienda e Altman è diventato amministratore delegato, OpenAI ha creato una sussidiaria a scopo di lucro che è servita come mezzo per raccogliere denaro da Microsoft e altri investitori. Altman è in procinto di trasformare la sussidiaria in un’azienda tradizionale e di scorporare l’organizzazione non-profit, che deterrebbe azioni nella nuova organizzazione profit. Una delle questioni più spinose nella conversione è come verrà valutata l’organizzazione non-profit.

L’offerta di Musk pone un’asticella elevata e potrebbe significare che lui, o chiunque gestisca l’organizzazione non-profit, finirebbe con l’avere una quota ampia e potenzialmente di controllo nella nuova OpenAI. L’offerta è sostenuta dalla società di intelligenza artificiale di Musk xAI, che potrebbe fondersi con OpenAI in seguito a un accordo. Ha anche diversi investitori che lo sostengono, tra cui Valor Equity Partners, Baron Capital, Atreides Management, Vy Capital e 8VC, una società di venture capital guidata dal co-fondatore di Palantir Joe Lonsdale. Anche Ari Emanuel, Ceo della società di Hollywood Endeavor, sta sostenendo l’offerta tramite il suo fondo di investimento. Musk ha presentato una serie di denunce legali accusando OpenAI di aver tradito la sua missione non-profit originale creando un ramo a scopo di lucro e colludendo con il suo più grande investitore, Microsoft, per dominare lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

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Alle Cicladi la scossa più forte, del 5.3

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La rete sismologica dell’Istituto di Geodinamica dell’Osservatorio Nazionale di Atene ha registrato, oggi alle 22.16, il terremoto più forte finora registrato nelle Cicladi, con una magnitudo di 5.3 sulla scala Richter. L’epicentro del sisma è stato localizzato in mare, 14 chilometri a sud-sudovest di Amorgos. Lo riferisce l’agenzia greca Ana. Il Laboratorio di sismologia di Atene ha rilevato un totale di oltre 12.800 scosse nella zona tra Santorini e Amorgos dal 26 gennaio all’8 febbraio 2025. Solo il 9 febbraio sono stati registrati 102 movimenti sismici.

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