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Economia

Borse resistono a venti di guerra, petrolio sui massimi

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Usa e Iran mostrano i muscoli e spaventano le Borse, alzando la volatilita’ sul mercato e mettendo tensione alle quotazioni di petrolio e scatenando la corsa ai beni rifugio. Lo yen si e’ rafforzato, l’oro ha toccato il massimo in quattro mesi e il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni segna il calo maggiore delle ultime tre settimane. Nessun aiuto dai dati macro, deludenti quelli della produzione statunitense che ha chiuso il 2019 con la performance mensile piu’ debole dalla fine della recessione. Il mood rialzista con cui si era aperto l’anno, sulle attese per un accordo tra Usa e Cina e la notizia che la banca centrale cinese si era mossa per sostenere la sua economia, ha ricevuto una doccia fredda ma per gli analisti si e’ trattato di un temporaneo spavento. La maggior parte delle azioni in Asia e’ crollata, sebbene la Borsa in Giappone fosse chiusa per le festivita’ del Capodanno. Il panic selling pero’ dura poco, almeno in Europa, e la seduta riesce a chiudersi con un calo contenuto, addirittura in rialzo per Londra (+0,24%) e Zurigo (+0,8%). Invariata Parigi, Francoforte ha perso l’1,2%, Madrid lo 0,5%, Amsterdam lo 0,3%, Milano lo 0,5%. L’indice Stoxx Europe 600 e’ sceso dello 0,3%, un calo guidato da case automobilistiche e societa’ attive nel settore viaggi. L’aumento dei prezzi del greggio sulle tensioni geopolitiche ha pesato per esempio sulle compagnie aeree come Lufthansa (-6,5%) e Air France-KLM (-7,9%) mentre ha fatto bene ai titoli dell’energia. Tra le obbligazioni il rendimento del bund e’ sceso di 6 punti base a -0,28%, quello del Btp di 6 punti base all’1,34%, e quello del Bonos anch’esso di 6 punti base allo 0,38%. Le quotazioni dell’oro sono state spinte al rialzo a 1.543 dollari l’oncia (+1%) sui mercati asiatici, il livello piu’ alto degli ultimi quattro mesi. Nei momenti di incertezza e’ l’investimento piu’ sicuro ma e’ comunque rimasto al di sotto del massimo dei sei anni toccato in estate quando ci si trovava al culmine delle tensioni della guerra commerciale tra Usa e Cina. Le quotazioni del petrolio nel pomeriggio erano in forte rialzo a New York sui timori di venti di guerra tra Usa e Iran, con il greggio scambiato a 63,37 dollari al barile (+3,58%), sui massimi ma non lontano da quanto fosse scambiato il 30 dicembre. E questo forse e’ il motivo per cui i mercati sono riusciti a mantenere la calma. Tra gli analisti c’e’ chi osserva poi che con un dollaro piu’ economico si favoriscono gli scambi e si alleggerisce la pressione sul debito dei paesi emergenti. Insomma nel breve termine potrebbe addirittura essere auspicabile. La notizia shock del raid per uccidere Qassem Soleimani, e le ritorsioni minacciate dall’Ayatollah Ali Khamenei “ha fatto fare nel giro di 24 ore un giro di 180 gradi al sentiment degli investitori. E questo e’ il 2020 che ci aspettiamo – commenta Wei Li di Blackrock – stanno migliorando i fondamentali ma gli attacchi di volatilita’ saranno frequenti. E qualcuno potrebbe anche approfittarne per tuffarsi ad acquistare” conclude con cinismo. “E’ l’oro ad uscirne vincitore – commenta un analista di Societe Generale – i prezzi del petrolio sono schizzati, i rendimenti obbligazionari sono scesi e il rally azionario si e’ bloccato e nel mercato delle valute e’ lo yen il chiaro vincitore”. Bisognera’ comunque aspettare la settimana prossima per capire meglio le strategie degli investitori perche’ molti trader sono ancora in vacanza e “fino a meta’ gennaio – osserva un operatore – una certa illiquidita’ potrebbe causare reazioni un po’ eccessive e rendere difficili le analisi dei mercati”. Difficile immaginare che le minacce di una guerra tra Usa e Iran si concretizzino, un ‘cigno nero’ che per ora i mercati stanno tenendo a distanza.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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