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Economia

Boom dimissioni, nei primi 6 mesi via oltre un milione

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 Cambiare azienda in un periodo nel quale il mercato del lavoro e’ molto vivace o scegliere di rinunciare al posto per intraprendere un nuovo percorso di vita dopo aver riflettuto su come il Covid ha cambiato l’esistenza di tutti: il fenomeno delle grandi dimissioni, a giudicare dai dati appena pubblicati dall’Inps, sembra essere arrivato anche in Italia con oltre un milione di lettere di rinuncia del proprio posto di lavoro e un aumento del 31,7% rispetto allo stesso periodo del 2021 (erano 820 mila). Il dato e’ consistente anche se si guarda solo alle dimissioni da contratto a tempo indeterminato, con 624.047 lettere e un aumento del 22,18% sullo stesso periodo del 2021. E la situazione non cambia se si guarda anche al periodo precedente la pandemia, con dimissioni che nel 2019 in sei mesi non raggiungevano le 800 mila unita’ tra tutte le tipologie di contratto. A trainare questo boom la tensione positiva che c’e’ nel mercato del lavoro con le attivazioni di contratto che, secondo l’Osservatorio Inps sul precariato, nel primo semestre del 2022 sono state 4.269.179 a fronte di 3.322.373 cessazioni: nel complesso un saldo positivo che ha superato i 946 mila contratti. Per molti lavoratori, soprattutto giovani, laureati e specializzati, e’ stato possibile scegliere di cambiare azienda per migliorare la propria posizione o in generale i tempi di vita e di lavoro. Ma per altri la decisione avra’ tenuto conto di una diversa visione del mondo o semplicemente di stipendi troppo bassi a fronte di un’inflazione che aumenta. “Il livello raggiunto – sottolinea l’Inps a proposito delle dimissioni da contratti stabili – sottende il completo recupero delle dimissioni mancate del 2020, quando tutto il mercato del lavoro era stato investito dalla riduzione della mobilita’ connessa alle conseguenze dell’emergenza sanitaria”. Nei primi sei mesi sono aumentati anche i licenziamenti economici, quasi raddoppiati dai 135.115 del primo semestre 2021 a 266.640 nello stesso periodo del 2022. Il confronto con il 2021 risente del fatto che nei primi sei mesi era ancora in vigore il blocco dei licenziamenti per fare fronte alla crisi economica scatenata dalla pandemia. Il dato e’ evidente nei licenziamenti di natura economica da contratto a tempo indeterminato che sono passati da 83.809 a 186.420 (+122,43%). Nel complesso si registra un buon andamento dei rapporti di lavoro con un saldo positivo nel semestre di 946 mila unita’ nel complesso per tutte le tipologie e di 255.341 unita’ (assunzioni, piu’ trasformazioni meno cessazioni) per i contratti a tempo indeterminato, di molto superiore a quella registrata nei primi sei mesi del 2021(erano 113.042). Le assunzioni nel complesso aumentano del 26% ma quelle a tempo indeterminato registrano un +36%. Le trasformazioni da contratto temporaneo a stabile sono state 377mila con un aumento del 74%. Il saldo annualizzato, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi che identifica la differenza tra le posizioni di lavoro in essere alla fine del mese di giugno rispetto al valore analogo alla medesima data dell’anno precedente, e’ pari a 682.000 posizioni di lavoro. In particolare, per il tempo indeterminato la variazione positiva risulta pari a 247.000 unita’ mentre per l’insieme delle altre tipologie contrattuali la variazione complessiva e’ pari a 436.000 unita’, con un ruolo rilevante dei rapporti a termine. Intanto l’Anpal ha fatto sapere che sono oltre 175 mila i partecipanti al programma Garanzia di occupabilita’ dei lavoratori (GOL) presi in carico dai Centri per l’impiego, il 58% del target dei 300 mila da raggiungere entro il 2022 . Nel complesso l’obiettivo e’ di raggiungere tre milioni di persone entro il 2025. Il target di quest’anno secondo l’Anpal dovrebbe essere raggiunto entro i primi giorni di ottobre mentre entro fine anno si potrebbero coinvolgere tra i 650 mila e i 700 mila beneficiari.

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Economia

Giovanni Petrella nuovo presidente di Banca Sella Holding

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Maurizio Sella passa il testimone della presidenza di Banca Sella Holding al preside della facoltà di Scienze Bancarie della Cattolica Giovanni Petrella (foto Imagoeconomica in evidenza) e mantiene la presidenza di Banca Sella e Banca Sella Patrimoni. Lo si legge in una nota diffusa a seguito dell’assemblea annuale di Banca Sella Holding, nel corso della quale Maurizio Sella ha affermato che “è il momento giusto per cambiare la presidenza della capogruppo, senza far venire meno il mio contributo alla crescita e alla governance, presente e futura del gruppo”. A guidare la capogruppo è stato confermato Pietro Sella, al vertice di Banca Sella Holding dal 2004.

I cambiamenti apportati – spiega Banca Sella Holding – si inseriscono “nel solco della tradizione e della lunga storia imprenditoriale della famiglia Sella, che ha sempre privilegiato l’interesse dell’azienda e la capacità di innovare e crescere in modo solido e duraturo”. In quest’ottica si inserisce la decisione presa “con “spirito lungimirante” da Maurizio Sella, che ha compiuto 83 anni. Sella ha ritenuto infatti che fosse arrivato il “momento giusto” per cambiare la presidenza di Banca Sella Holding, “senza naturalmente far venire meno il lavoro, la visione, la competenza, l’esperienza e la passione umana e imprenditoriale, nonché il suo apporto all’impresa e alla governance presente e futura del gruppo”.

“Su sua proposta – viene spiegato – egli è stato quindi nominato vicepresidente della capogruppo Banca Sella Holding, mantenendo la presidenza di Banca Sella e di Banca Patrimoni Sella, dove è stato rieletto nei giorni scorsi”. Quanto al presidente Giovanni Petrella il gruppo ne sottolinea la “grande competenza”, la “conoscenza approfondita del gruppo” e la “piena condivisione dei suoi valori fondanti e identitari”. Petrella siede nel consiglio d’amministrazione di Banca Sella Holding dal 2012, è membro del comitato rischi, che ha presieduto per 6 anni, e dal 2016 è presidente di Sella Sgr. Ad affiancare Giovanni Petrella e Maurizio Sella siedono nel Cda della Holding Eva D’Onofrio, Andrea Lanciani, Giuseppe Marino, Laura Nieri, Alessandro Rinaldi, Ernesto Rizzetti, Cristina Santucci, Caterina Sella, Pietro Sella e Sebastiano Sella.

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Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

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Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

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Economia

Campi Flegrei, il Consiglio dei Ministri approva misure urgenti: sospesi tributi, mutui e versamenti fino al 31 agosto

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Il Consiglio dei Ministri ha approvato una serie di misure urgenti per far fronte agli ulteriori effetti dei recenti fenomeni bradisismici che continuano a interessare l’area dei Campi Flegrei, nel Napoletano. Le decisioni sono contenute nella seconda parte di un decreto che introduce interventi di natura economica e fiscale per sostenere cittadini e imprese colpiti dall’emergenza.

Sospensione di tributi e contributi

Tra i provvedimenti più rilevanti è prevista la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari e contributiviin scadenza dal 13 marzo 2025 al 31 agosto 2025. Il governo ha deciso di alleggerire la pressione fiscale per chi vive e opera in un’area messa duramente alla prova dai continui episodi di sollevamento del suolo.

Stop anche alle ritenute e alle addizionali

Nello stesso periodo sono sospesi i termini dei versamenti delle ritenute alla fonte e delle trattenute relative alle addizionali regionale e comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche. Una misura che punta ad alleggerire ulteriormente il carico economico per lavoratori e famiglie residenti nella zona.

Mutui e finanziamenti bloccati senza sanzioni

Il decreto prevede inoltre la sospensione del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti di qualsiasi genere erogati dalle banche, sempre dal 13 marzo al 31 agosto 2025, senza applicazione di sanzioni o interessi. Si tratta di una misura fondamentale per evitare che il peso degli impegni finanziari aggravi la già delicata condizione di numerose famiglie.

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