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Bocciata ancora la May, sulla Brexit lo spettro no deal

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Un incubo fuori controllo. La Brexit sprofonda definitivamente nel regno dell’ignoto, consuma le ultime illusioni d’un via libera del Parlamento britannico all’accordo di divorzio di Theresa May, innesca le prime tensioni di piazza e spalanca le porte a un orizzonte nebuloso nel quale tutto o quasi diventa possibile: fra voci di elezioni anticipate, affannosi tentativi di riesumazione di piani B per un’uscita soft, ambizioni di rivincita referendaria, speranze di rinvio lungo da chiedere a Bruxelles, ma anche spettri sempre piu’ concreti d’un no deal dato ormai per “probabile”. Alla premier Tory non e’ stato sufficiente mettere sul piatto la sua testa e la sua poltrona di qui a qualche mese; ne’ offrire alla Camera dei Comuni di scorporare e rivedere piu’ avanti la dichiarazione politica sulle relazioni future con Bruxelles. Il no al suo accordo e’ stato confermato dai deputati anche nella versione da “ultima chance” sottoposta oggi.

A favore, dopo le due precedenti bocciature a valanga, stavolta si sono pronunciati in 286, contro 344: ossia 58 in piu’. Non e’ stato il bagno di sangue di gennaio, quando il governo di Sua Maesta’ aveva rimediato la peggiore disfatta parlamentare della storia con uno scarto umiliante di 203 voti. Ma non e’ stato neppure il testa a testa che qualche ministro pronosticava: i no sono arrivati anche da 34 conservatori (quasi tutti brexiteer ultra’) e dai 10 alleati unionisti nordirlandesi, non compensati da una decina scarsa fra laburisti ed ex laburisti dissidenti eletti in collegi pro Leave. E comunque poco importa. La sconfitta resta sconfitta e questa volta non sembra avere davvero rimedio: se non altro perche’ fa decadere ipso facto il rinvio al 22 maggio che il Consiglio europeo aveva concesso a patto che l’intesa fosse approvata entro oggi. E lascia Londra di fronte alla scadenza secca del 12 aprile, ossia del mini rinvio (rispetto al termine originario del 29 marzo) entro cui la premier o chi per lei dovra’ decidere se optare per il temutissimo addio senz’accordo (no deal) o ripresentarsi con il cappello in mano e uno straccio di nuova strategia convincente per cercare di ottenere l’unanimita’ dei 27 su un’estensione lunga fino a due anni: destinata peraltro a obbligare nel caso il Regno Unito al paradosso inevitabile di dover partecipare alle elezioni europee di maggio a tre anni dal referendum pro Brexit. Un labirinto da cui non si vede l’uscita, come Theresa May e’ la prima a riconoscere. Definendo “gravi”, a cose fatte, “le implicazioni della scelta” di Westminster, accennando ai veti incrociati che finora hanno bloccato anche qualsiasi alternativa e parlando di situazione ormai “al limite”: senza autocritica e senza annunciare le dimissioni (non subito almeno), e facendo aleggiare lo sbocco delle elezioni anticipate.

La prima donna inglese. Theresa May con la Regina

 

Sbocco che del resto in molti prevedono e che lo stesso leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn invoca come unica soluzione laddove la premier non fosse disposta ad accettare pubblicamente il suo piano come “morto”. Corbyn si aggrappa peraltro ancora all’idea di ridare “il controllo al Parlamento”, fallita due giorni fa, ma che potrebbe essere riportata a galla lunedi’ nei ‘voti indicativi’ di ballottaggio fra i piani B trasversali andati piu’ vicini alla maggioranza: con in pole position quello per una Brexit soft (con permanenza nell’unione doganale); e di rincalzo quello piu’ contrastato di un secondo referendum confermativo. Nel frattempo, comunque, l’orologio continua a correre. E Bruxelles si prepara al peggio convocando un vertice straordinario per il 10 aprile, come annuncia Donald Tusk. Il presidente del Consiglio europeo lascia aperto uno spiraglio a May per presentarsi con un piano nuovo, ma “ora il no deal e’ lo scenario piu’ probabile”, ammettono fonti della Commissione. Uno scenario che lascia “sconvolti” la Confindustria e gran parte del business d’oltremanica, deprimendo la sterlina. Ma che alcuni ministri dell’ala dura del governo May non esitano a intimare a una premier ridotta in ginocchio. Incoraggiati da una piazza che persino nel cuore pro Remain di Londra – invaso sabato scorso dal milione di sostenitori d’un referendum bis – si colora improvvisamente, al grido di ‘Brexit now’, con le bandiere di decine di migliaia di manifestanti anti-Ue. Estrema destra inglese inclusa. Avanguardia di un popolo piu’ sotterraneo, e talora minaccioso, ma che non appare destinato a scomparire dalla urne, qualunque cosa accada.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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