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“Avvocato di strada”, a Napoli c’è uno sportello legale che da 13 anni difende gratis i diritti dei senza fissa dimora

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L’associazione onlus Avvocato di Strada nasce a Bologna nel 2001, in difesa delle persone senza fissa dimora, soggetti invisibili per lo Stato e le sue istituzioni. Oggi conta 55 sezioni in Italia, circa 1000 volontari e 3000 pratiche aperte ogni anno.

L’avvocato Francesco Priore, coordinatore della sede napoletana, ci racconta le sue battaglie in nome degli ultimi, perché, come recita il motto dell’associazione, “difendere i diritti degli ultimi significa difendere i diritti di tutti”.

Dottor Priore, come funziona “Avvocato di Strada”?

L’associazione nasce a Bologna, il modello poi viene esportato in tutta Italia. A Napoli arriva nel 2007. Il nostro sportello di assistenza legale è attivo tutti i mercoledì dalle 15 alle 17, in via Bernardo Tanucci 9, presso lo “Spazio docce” del Real Albergo dei Poveri. In un anno trattiamo circa cento casi. Ciò che ci distingue da altri sportelli legali è l’assoluta gratuità della prestazione: l’avvocato dedica all’attività parte del suo tempo senza percepire alcun compenso. Quando viene attivato il patrocino a spese dello Stato, la somma, una volta detratta l’incidenza fiscale, è devoluta all’associazione.

A chi prestano assistenza legale gli avvocati volontari?

Come previsto dal nostro statuto, abbiamo scelto di occuparci degli ultimi, dei senza fissa dimora. Per le persone poco abbienti c’è l’istituto del gratuito patrocinio, per loro no: non avendo la residenza sono privi di tutela giuridica. Molti non lo sanno, ma senza residenza si perdono una serie di diritti: diritto pieno all’assistenza sanitaria, diritto al voto, accesso allo stato sociale. Molti italiani, quando si ritrovano in questa condizione, si rendono conto di cosa significhi essere uno straniero senza permesso di soggiorno. Diventi invisibile. Senza residenza, non puoi rinnovare la carta d’identità. Si entra in un circolo vizioso ed uscirne non è affatto semplice.

Come si torna ad “esistere” di fronte allo Stato e alle istituzioni?

Bisogna riottenere un documento e per farlo bisogna avere una residenza. Accompagniamo fisicamente le persone in municipalità per ottenere l’iscrizione anagrafica. Qui bisogna affrontare le lungaggini e le inefficienze della burocrazia italiana. Un sistema inutilmente farraginoso. Se manca la persona incaricata, capita che altri impiegati non sappiano svolgere la procedura. Funziona così. Una legge nazionale prevede che i senza fissa dimora possano ottenere la residenza presso una strada fittizia. Anche Napoli ce l’aveva, si chiamava via Alfredo Renzi, un clochard morto al gelo tanti anni fa. Il nuovo dirigente da circa un anno s’è inventato una nuova procedura, la residenza di prossimità, che ha complicato le cose. Adesso si deve fornire un indirizzo di prossimità, ad esempio “piazza Dante, nei pressi del civico 21”. Un impiegato comunale deve allora caricare nella toponomastica questa dicitura, così tutta la procedura viene rallentata. Questo processo si può fare solo per mezzo dei servizi sociali, spesso carenti, o tramite associazioni accreditate come la nostra.

Chi è la persona senza fissa dimora?

Molto spesso, a dispetto di quello che si può pensare, è una persona con un percorso di vita ordinario, che però incappa in una serie di circostanze sfortunate. In primis la perdita del posto di lavoro, spesso contribuisce anche una separazione familiare. Lascia la casa. Molte volte finisce per strada senza neanche accorgersene… Pian piano rimane incastrato in questa dimensione, anche a causa dei meccanismi di esclusione e delle lungaggini della burocrazia.

Tante volte sono persone che hanno avuto qualche problema con la giustizia, rompono con la famiglia e, privi di punti di riferimento, finiscono ai margini della società. Ci sono anche tanti stranieri. Come fascia d’età, sono soprattutto persone adulte. I più giovani, sotto i 40 anni, di solito sono ragazzi con qualche disagio psichico. Le donne costituiscono una minoranza, circa il 30%. 

Quali successi avete ottenuto in questi anni?

Di recente, abbiamo fatto in modo che tante persone ottenessero il reddito di cittadinanza. Non era scontato, fra i requisiti vi era la residenza in Italia da due anni in modo continuativo. Ho seguito diversi casi di senza fissa dimora, abbiamo fatto la residenza virtuale e la pratica è andata a buon fine. Sono persone che, come mi raccontano, ogni tanto recuperano una trentina d’euro e se ne vanno a dormire per una notte in una pensione. Col reddito potranno farlo più spesso.   Altre volte abbiamo affrontato casi di pensioni bloccate da mesi e – con l’istituto della residenza virtuale – abbiamo recuperato gli arretrati. 

Che rapporto instaura con i suoi “clienti”?

Noi abbiamo un appuntamento fisso, il mercoledì pomeriggio al Real Albergo dei Poveri, proprio in quel luogo pensato dal monarca Carlo III per aiutare le persone più sfortunate della città. Io ci vado sempre con piacere e spesso si creano rapporti di amicizia. Molti di loro, in fin dei conti, vogliono solo essere ascoltati. Magari non hanno una questione legale da risolvere, però mi chiedono dei consigli, si intrattengono a parlare.

Francesco Priore. Avvocato di strada

L’avvocato Francesco Priore. Coordinatore della sede napoletana di “Avvocato di Strada”

Cosa prova ad aiutare gli ultimi, quelle persone lasciate indietro dalla società?

Ti senti utile. Nel concreto hai fatto una cosa piccola che diventa però qualcosa di enorme per la vita quotidiana di quella persona. Penso che anche nell’altruismo ci sia una forma velata di egoismo: non facciamo quello che facciamo senza ricevere nulla in cambio. La gratificazione ricevuta è enorme, una sensazione bellissima; di recente un signore mi ha ringraziato perché l’avevo aiutato ad uscire dall’anonimato. Inoltre, confrontarmi con problematiche così serie, mi aiuta a dare il giusto peso ai miei problemi. Ne approfitto per lanciare un appello: se ci sono giovani laureati in legge o avvocati interessati al progetto, fatevi avanti! Qui a Napoli siamo pochi volontari e c’è tanto lavoro da fare. La sensazione che si prova nell’aiutare qualcuno in difficoltà vi ripagherà di tutti gli sforzi.

“Avvocato di Strada”, in Italia ci sono 55 sportelli in altrettante città per difendere i diritti di chi non ha nulla

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In carcere tesoriere Messina Denaro, avvocato e massone

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Matteo Messina Denaro e la sua amante, Laura Bonafede, lo chiamavano Solimano, come Solimano il Magnifico, il sultano che ha guidato l’impero ottomano per quattro decenni. E, almeno nell’ultimo periodo, non gli risparmiavano critiche rimproverandogli di essere venuto meno ai patti. “Ci ha distrutto”, scriveva la Bonafede in un pizzino fatto avere al boss. Eppure, Antonio Messina, 79 anni, avvocato, massone in sonno con una sfilza di precedenti, per un ventennio aveva fatto affari con tutta la mafia trapanese e sovvenzionato la lussuosa latitanza del padrino di Castelvetrano coltivando le relazioni pericolose che oggi gli sono costate l’arresto per associazione mafiosa.

Già condannato per narcotraffico, concorso esterno in associazione mafiosa, subornazione di teste e per il sequestro di Luigi Corleo, suocero dell’esattore mafioso Nino Salvo, Messina sarebbe stato formalmente affiliato a Cosa nostra, come da lui stesso ammesso in un’intercettazione, su proposta del boss Leoluca Bagarella e avrebbe frequentato e fatto affari con gli esponenti mafiosi più importanti del trapanese dell’ultimo ventennio come Domenico Scimonelli, Giovanni Vassallo, Franco Luppino, Jonn Calogero Luppino. Legami tutti finalizzati ad acquisire attività economiche da utilizzare anche per garantire a Matteo Messina Denaro il denaro necessario alla sua clandestinità.

“Personaggio assolutamente versatile e poliedrico, uno dei maggiori protagonisti (in negativo) di questo processo. Da un lato svolge l’attività professionale di avvocato, patrocinando mafiosi e delinquenti comuni (tra i quali proprio quel Rosario Spatola che poi diverrà il suo principale accusatore); dall’altro risulta attivo in vari campi del crimine e coltiva rapporti con esponenti di primo piano della delinquenza organizzata”, scrisse di lui già anni fa, la corte d’assise di Trapani. Ma a un certo punto l’idillio con Messina Denaro era venuto meno. “Che Solimano tenesse tanto al denaro l’ho sempre capito, gli piace spendere e fare soldi facili ma mai avrei potuto pensare che arrivasse a tanto. Quando dici che gliela farai pagare, che non ti fermi, ti posso dire che ne sono certa, ti conosco anche sotto questo aspetto”, scriveva la Bonafede in un pizzino trovato dopo l’arresto del padrino. Ed è stata proprio la donna a svelare agli investigatori, nel corso di singolari dichiarazioni spontanee rese al suo processo, che dietro al nomignolo si celasse l’avvocato.

Dal tenore del biglietto “si comprendeva che, evidentemente, – scrivono i pm nella richiesta di arresto di Messina – entrambi avevano già in passato ricevuto denaro da Solimano, ma l’avidità, l’ingordigia del Messina e il suo mancato rispetto di precedenti accordi o prassi (da leggersi univocamente nei termini di un precedente sovvenzionamento della latitanza di Matteo Messina Denaro e della famiglia di Campobello di Mazara) si erano verificati anche in passato. Dalle indagini che hanno portato al suo arresto è emerso che Messina aveva cercato di mettere le mani anche su un bene confiscato alla mafia e che avrebbe avuto un ruolo primario nella gestione della “cassa” della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, alimentata anche dai proventi di una delle aziende gestite da Cosa nostra: l’oleificio “Fontane d’Oro s.a.s.” del boss Franco Luppino.

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Mozzarella di bufala, quanti errori nel consumo: italiani solo quarti tra i più attenti in Europa

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Si avvicina la bella stagione, e con essa anche le gite fuori porta del Primo Maggio, spesso celebrate con un picnic all’aria aperta. Ma c’è un dato sorprendente che riguarda uno dei simboli della gastronomia italiana: il 68% dei consumatori commette errori nel consumare la Mozzarella di Bufala Campana Dop. Lo rivela un’indagine realizzata da Fattorie Garofalo, primo produttore mondiale del celebre latticino, su un campione di 1.200 consumatori europei nei principali aeroporti e stazioni italiane.

Tra gli errori più comuni, tagliare la mozzarella a fette come fosse un formaggio qualsiasi, gesto che compromette l’equilibrio tra la sapidità della crosta esterna e la dolcezza del cuore. Altri sbagli diffusi? Consumare il prodotto appena tirato fuori dal frigorifero, senza lasciarlo tornare a temperatura ambiente, oppure immergerlo in acqua del rubinetto, alterandone salinità e struttura.

Anche negli abbinamenti si notano cadute di stile gastronomico: vini troppo tannici o pane troppo saporito, che sovrastano la delicatezza della mozzarella. C’è poi chi esagera con condimenti, erbe e spezie, snaturando la semplicità e purezza che rendono unica la Bufala Campana Dop.

Secondo Fattorie Garofalo, l’ideale sarebbe consumarla con le mani, e se proprio è necessario tagliarla, usare coltelli in ceramica a lama liscia per non strapparla e rispettarne la fibra naturale.

L’indagine, realizzata in vista della partecipazione alla fiera TuttoFood 2025 (in programma dal 5 all’8 maggio a Milano), ha anche stilato la classifica dei popoli europei più attenti al consumo corretto della mozzarella:

  1. Tedeschi – meticolosi e informati

  2. Spagnoli – attenti alla temperatura e sobri negli abbinamenti

  3. Francesi – abili nell’inserirla in piatti freddi e raffinati

  4. Italiani – penalizzati da superficialità e disattenzione

  5. Belgi – ancora inesperti ma in crescita

Un dato che fa riflettere: gli italiani, patria della mozzarella di bufala, non brillano nella corretta valorizzazione del proprio prodotto d’eccellenza, dando per scontato ciò che richiede invece attenzione e rispetto.

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La scelta di Becciu: io innocente ma non sarò in conclave

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Il cardinale Angelo Becciu il prossimo 7 maggio non entrerà in conclave. La sua comunicazione ufficiale, dopo le indiscrezioni della giornata di ieri, è arrivata questa mattina: “Avendo a cuore il bene della Chiesa, che ho servito e continuerò a servire con fedeltà e amore, nonché per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave, ho deciso di obbedire come ho sempre fatto alla volontà di Papa Francesco di non entrare in conclave pur rimanendo convinto della mia innocenza”. Poche righe per ribadire la sua posizione, ovvero che è innocente, ma anche per fare quel passo indietro che non solo i suoi avversari, ma all’ultimo momento anche i cardinali a lui più vicini, gli avevano chiesto, per evitare voti e spaccature. Secondo quanto si apprende la decisione è rimasta aperta fino alla tarda serata di ieri. Poi il cardinale ha deciso di mettere lui stesso fine alla vicenda conclave.

Questo non chiude tuttavia lo strascico di polemiche e indiscrezioni che ha sempre accompagnato la vicenda giudiziaria del cardinale sardo. Il programma le Iene di Mediaset in scaletta ha un audio teso a dimostrare il “complotto”, come lo definisce il fratello Mario che rilancia sui suoi profili social l’annuncio della nuova puntata. Ed è questa solo la prima uscita, a poche ore dall’annuncio dello stesso cardinale sulla sua non partecipazione al conclave. Già il quotidiano Il Domani aveva pubblicato le chat, che erano state omissate dai magistrati vaticani, tra la lobbista Francesca Immacolata Chaouqui e la sodale di mons. Alberto Perlasca, Genoveffa Ciferri, nelle quali Chaouqui anticipava i dettagli dell’inchiesta e degli interrogatori.

Era metà aprile e Becciu commentava: “Sin dal primo momento ho parlato di una macchinazione ai miei danni: un’indagine costruita a tavolino su falsità, che cinque anni fa ha ingiustamente devastato la mia vita e mi ha esposto a una gogna di proporzioni mondiali. Ora, finalmente, spero che il tempo dell’inganno sia giunto al termine”. Questa sera a Le Iene anche audio inediti sempre nel filone, spinto dai legali del cardinale, che vuole dimostrare che il maxi-processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede era inquinato dall’inizio. Ma il Papa nei giorni del ricovero al Gemelli comunque aveva deciso che il cardinale Becciu non doveva entrare in conclave e aveva siglato con un ‘F’ la disposizione in tal senso, mostrata in questi giorni al cardinale da Pietro Parolin. Becciu per tutto il pomeriggio di ieri sarebbe stato chiuso con i suoi avvocati che, secondo quanto si apprende, ponevano dubbi sul fatto che quell’appunto del Papa bastasse sotto il profilo del diritto canonico a tenere Becciu fuori dall’elezione del nuovo Papa. Poi è prevalsa la decisione di farsi da parte, comunicata ufficialmente appunto stamattina, anche perché gli stessi cardinali più vicini lo avrebbero consigliato in questo senso

. Il voto rischiava di spaccare il collegio prima ancora di entrare nella Sistina per il conclave. Questa mattina, all’ingresso della congregazione generale, trapelava una certa insofferenza da parte dei cardinali per il perdurare di questa situazione. “Dovete chiedere a lui”, ha risposto il cardinale argentino Angel Sixto Rossi, ai giornalisti che chiedevano lumi sul caso, considerato che in quel momento non era arrivata ancora una nota ufficiale. “Di Becciu non possiamo parlare”, diceva il cardinale di Baghdad, Raphael Sako. Mentre il cardinale austriaco Cristoph Schoenborn dribblava i cronisti con una battuta: “Avete visto che bel tempo c’è oggi?”.

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