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Almeno 22 morti nel sud del Libano, tregua a rischio

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Il sud del Libano ritorna ad infiammarsi, dopo due mesi di cessate il fuoco. Almeno 22 persone, è la denuncia del governo di Beirut, sono rimaste uccise sotto il fuoco israeliano mentre tentavano di rientrare nelle loro case. Lo Stato ebraico invece ha puntato il dito contro Hezbollah, che “incita i civili alla rivolta”, e contro l’esercito libanese, giudicato incapace di tenere a freno le milizie sciite. E la situazione è destinata a rimanere tesa, perché l’Idf per il momento non si ritirerà dall’area. Proprio oggi scadeva il termine in cui l’esercito israeliano avrebbe dovuto lasciare il sud del Libano al controllo dell’esercito di Beirut, al fianco della missione Onu di peecekeeping. Ma tutto questo non è accaduto, perché le parti finora si sono accusate a vicenda di non aver rispettato in pieno i termini dell’intesa sulla tregua, entrata in vigore lo scorso 27 novembre.

E così, invece che una giornata di svolta, è stata una giornata di sangue. La versione del ministero della Salute di Beirut è che le forze israeliane hanno aperto il fuoco sui “cittadini che stavano cercando di tornare nei loro villaggi che sono ancora sotto occupazione”. Il bilancio, 22 morti, tra cui sei donne e un soldato, e 124 feriti. L’Idf invece ha riferito che le sue truppe “hanno sparato colpi di avvertimento per rimuovere le minacce” in un’area in cui erano stati “identificati dei sospetti che si avvicinavano”, e che ci sono stati degli arresti. Al netto delle diverse ricostruzioni, migliaia di residenti si sono effettivamente messi in marcia verso le città e i villaggi d’origine, nonostante gli avvertimenti degli eserciti libanese e israeliano e dell’Unifil che la regione rimanesse pericolosa. Negli ultimi giorni, tra l’altro i media di Hezbollah avevano incoraggiato i civili a tornare nelle loro case, ed in alcune zone erano stati segnalati convogli che sventolavano la bandiera gialla e verde del Partito di Dio.

Nel breve periodo, la situazione al confine resterà quanto mai incerta. Israele resterà a presidio del confine non meno di un altro mese, perché ritiene che non ci siano ancora le garanzie di sicurezza per i 60.000 connazionali sfollati dalle comunità nel nord del Paese. Secondo Beirut, invece, è proprio il mancato ritiro dell’Idf che ostacola il completo dispiegamento nel sud dell’esercito libanese, al posto di Hezbollah. Il consolidamento della tregua è il primo grande test per il nuovo presidente libanese, Joseph Aoun, eletto lo scorso 9 gennaio dopo tre anni di paralisi politica nazionale. Il capo dello stato (ed ex capo dell’esercito), parlando della crisi con Israele, ha sottolineato che “la sovranità e l’integrità territoriale del Libano non sono negoziabili”, ed ha aggiunto che sta seguendo questo dossier “al massimo livello”. Nel frattempo il primo ministro ad interim, Najib Mikati, ha chiesto ai promotori dell’accordo di novembre, a partire da Stati Uniti e Francia, di premere sugli israeliani per un loro ritiro. Un appello accolto da Emmanuel Macron, che ha fatto tale richiesta direttamente a Netanyahu nel corso di una telefonata.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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