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Politica

Alessandro Di Battista in campo al fianco di Di Maio: vinciamo assieme e perdiamo assieme

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C’è un “prima” e un “dopo” nella storia del M5S, ed è il 27 maggio 2019. La sconfitta è stata sonora alle europee. E il capo politico del Movimento sceglie di parlare al suo ministero. Dovrà “allargare” la cabina di comando in qualche modo. E, non a caso, Di Maio dopo aver parlato ai cronisti convoca al Mise lo stato maggiore del Movimento, incluso Alessandro Di Battista, tornato pienamente in campo. Non passano inosservate, infatti, le parole con cui Di Maio nega un suo commissariamento. “Ho sentito tutti i rappresentanti delle anime del M5S, Beppe Grillo, Davide Casaleggio, Alessandro Di Battista e Roberto Fico e nessuno mi ha chiesto le dimissioni”, scandisce il vicepremier. Dei quattro citati da Di Maio, mentre Grillo si affida ad una battuta (“Oggi Radio Maria e Canti gregoriani”) solo il “Dibba” si presenta nel pomeriggio al Mise, in una riunione di oltre tre ore alla quale partecipano Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, Paola Taverna, Gianluigi Paragone, Carlo Sibilia, Stefano Buffagni, Vincenzo Spadafora, il fedelissimo di Casaleggio. L’analisi del voto è impietosa, il rischio di una crisi d’identità, stretti tra la cavalcata della Lega e un Pd in recupero, concreto. Anzi, nei vertici c’è la convinzione che senza virata comunicativa di Di Maio delle ultime settimane, sarebbe potuto andare anche peggio. Non a caso Di Battista da un lato assicura che il governo va avanti ma dall’altro sottolinea come, nonostante la sconfitta, il comportamento del M5S non cambierà rispetto all’ultimo mese e mezzo. “Non è quello il responsabile del nostro crollo, se la Lega tira fuori una boutade dobbiamo dire che è una boutade e metterci di traverso”, sottolinea. Un nuovo appiattimento alla Lega, secondo i vertici, potrebbe insomma essere fatale al Movimento e allora meglio tenere il punto con l’alleato, rischiare il tutto per tutto ma mantenere il nocciolo duro dell’elettorato. Di Battista, prima di entrare al Mise, sembra escludere un “j’accuse” nei confronti di Di Maio. “Uniti abbiamo vinto e uniti abbiamo perso, per me non è una problematica di chi, ma di cosa e di come si fanno le cose”, spiega l’ex parlamentare mentre Buffagni assicura: “nessun processo a Di Maio”. Ma su blog la protesta per la sconfitta monta mentre la dissidente Paola Nugnes lancia la sua stoccata su Fb: “avrà pure parlato con tutte le anime ma non con lo Spirito Santo”. Mercoledì, nell’assemblea dei gruppi, Di Maio e’ chiamato ad evitare un vero e proprio processo. E il leader, il prima possibile, dovra’ ripristinare la presa sui territori e la collegialita’ nelle decisioni scemata negli ultimi mesi. “L’ascolto, la forza di cambiare, di allargare, di far partecipare, la meritocrazia” sono fondamentali, osserva non a caso Buffagni. E sui temi, osservano nel M5S, non sono ammessi dietrofront: e li’ che si cela l’identita’ perduta del Movimento.

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Procura impugna l’assoluzione di Salvini per Open Arms

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Arriva alla Cassazione il caso Open Arms che vede il leader della Lega Matteo Salvini imputato dei reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver negato, nel 2019, lo sbarco alla nave della ong spagnola e ai 147 migranti soccorsi in mare. Dopo l’assoluzione di dicembre scorso e il deposito delle motivazioni della sentenza, la Procura di Palermo ha scelto di ricorrere direttamente davanti ai supremi giudici, ‘saltando’ il giudizio di appello. La reazione del leader del Carroccio non si è fatta attendere. “Ho fatto più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo”, ha detto, non nascondendo “un po’ di sorpresa, un po’ di rabbia e di incazzatura se uno ritiene di non aver compiuto nessun reato”.

“Su Open Arms non c’è alcuno scontro tra politica e magistratura, e infatti ringrazio il tribunale di Palermo e sottoscrivo tutte le 268 pagine che motivano la mia totale assoluzione, arrivata dopo decine di udienze e anni di approfondimenti”, ha rilevato il ministro. E’ un processo, ha aggiunto, “che nasce in Parlamento, è un processo politico perché le Sinistre che erano in maggioranza ai tempi del Conte 2 decisero che bloccare gli sbarchi era un reato mentre non lo era né prima né dopo”. Ma cosa ha spinto i pm di Palermo alla prassi inusuale del ricorso diretto in Cassazione? Secondo la Procura, in ballo non c’è la ricostruzione dei fatti contestati a Salvini, tutti riconosciuti dal tribunale che l’ha scagionato, ma il ragionamento giuridico sostenuto dal collegio che, interpretando erroneamente leggi e convenzioni internazionali, per i pm, ha negato che in capo all’Italia gravasse l’onere di assegnare alla nave della ong spagnola il porto sicuro (Pos).

Un assunto che si basava su una sbagliata lettura delle norme, a dire della Procura, che ha fatto venir meno prima il reato di rifiuto di atti d’ufficio, poi, a cascata, quello di sequestro di persona. La questione, dunque, sarebbe tutta di diritto, per cui una valutazione nel merito, fatta in appello, sarebbe superflua. Da qui l’impugnazione davanti agli Ermellini chiamati a decidere sulle eventuali violazioni di legge. Nel ricorso (tecnicamente si chiama ‘per saltum’) i pm sostengono dunque che l’assoluzione sarebbe viziata da violazioni di leggi. “Il Tribunale di Palermo, – si legge nell’impugnazione – ha accolto pienamente le prospettazioni del Pubblico Ministero sulla complessiva ricostruzione dei fatti, divergendo dalla tesi accusatoria solo con riguardo all’individuazione e interpretazione della normativa applicabile alla fattispecie”.

Nell’impugnazione i pm citano poi la decisione delle Sezioni Unite Civili della Cassazione del 18 febbraio 2025 che ha condannato il ministero dell’Interno per un caso analogo, quello della nave Diciotti, a cui pure fu negato lo sbarco. Anche allora, a causa del mancato rilascio del Pos che il ministero dell’Interno riteneva dovuto da altri Stati, l’imbarcazione rimase in acque territoriali, nei pressi di Catania, e i naufraghi non poterono raggiungere, per più giorni, la terraferma. “Nella pronuncia – scrive la Procura – si è sostanzialmente affermato che il negato sbarco, lungi dall’essere giustificabile alla luce delle procedure previste in tema di search and rescuе, non solo si pone in contrasto con la chiara normativa internazionale sul soccorso in mare che, comunque, si fonda sul generale e cogente obbligo di soccorso e sul dovere di collaborazione solidarietà tra Stati, ma soprattutto viola l’art. 13 della Costituzione e le altre norme sovranazionali che tutelano il medesimo bene giuridico”.

“Di conseguenza, si è affermato – continuano – che i migranti subirono indubbiamente un’arbitraria privazione della libertà personale e che, anzi, la decisione di merito, che non si era confrontata con tali disposizioni di rango superiore, doveva ritenersi priva di una vera e propria motivazione”.

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Politica

Alla Camera riparte l’iter della legge sulle lobby

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La Camera ci riprova. E dopo diversi tentativi nella passate legislature rimette mano a una legge nazionale di regolamentazione delle lobby. Un’accelerazione già prevista prima che scoppiasse il caso milanese che ne rende però, forse, ancora più evidente la necessità. Dopo un’indagine conoscitiva di un paio di anni in commissione Affari Costituzionali e con un documento finale approvato all’unanimità il presidente, Nazario Pagano, ha messo a punto un testo sulla base di quanto emerso e che ora verrà esaminato. “Abbiamo scelto di procedere prima con l’indagine conoscitiva – evidenzia Pagano (FI) che è anche relatore del testo – perché era l’unico mezzo per fare in modo che questo testo avesse caratteristiche di natura istituzionale: il fatto che finora la regolamentazione fosse stata proposta da singoli gruppi ne ha condizionato l’esito, io l’ho voluta firmare in qualità di presidente della commissione all’esito di uno studio approfondito con la partecipazione di tanti costituzionalisti, mi sembra una novità importante”.

Il testo “non è assolutamente blindato”, sottolinea Pagano che auspica che possa arrivare in Aula “in autunno”. E’ una norma “che ci chiede l’Europa – osserva – e che reputo assolutamente necessaria. Studi accademici dimostrano, tra l’altro, l’impatto positivo anche sul Pil di una attività di questo tipo ben strutturata”. “Il clima è positivo, ci vuole condivisione e buona volontà”, aggiunge. La proposta punta a disciplinare le modalità di interazione tra i rappresentanti di interessi e il decisore pubblico, stabilendo norme e princìpi per garantire la trasparenza, la tracciabilità e l’accessibilità delle attività di rappresentanza di interessi. Viene istituito un registro pubblico dei rappresentanti di interessi con obblighi di rendicontazione e condotta.

Il registro sarà al CNEL presso il quale viene istituito un comitato di sorveglianza con 10 componenti (il presidente, 3 interni e 6 estratti a sorte tra 30 candidati) che si rinnova ogni due anni. Il comitato vigila e sanziona in base agli obblighi previsti per chi è iscritto nel registro. Circa 130 gli emendamenti depositati dai gruppi alla scadenza del termine, una manciata quelli di maggioranza. Tra gli altri, uno che puntualizza la non applicazione della legge delle organizzazioni sindacali “dei lavoratori – si specifica – e datoriali”. Il centrodestra chiede anche di non escludere dalla possibilità di iscriversi nel registro per gli iscritti all’albo dei giornalisti e per coloro che esercitano funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso enti pubblici economici e società partecipate. Niente gettone infine – secondo un emendamento di FdI – per chi svolge attività all’interno del Comitato di sorveglianza sulla trasparenza dei processi decisionali pubblici.

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Politica

Stellantis, Patriciello: investimento in Marocco discutibile, si pensi a Termoli

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“In un momento in cui l’economia europea ha difficoltà e il settore dell’automotive è in piena crisi, l’investimento di oltre 1 miliardo di euro in Marocco da parte di Stellantis appare quanto mai discutibile. Mi auguro che gli investimenti promessi nell’impianto di Termoli siano rispettati e non risentano di questa scelta aziendale”. Così, Aldo Patriciello, europarlamentare e componente della Commissione Industria del Parlamento europeo a proposito dell’espansione dell’impianto di Kenitra in Marocco che consentirà al gruppo automobilistico torinese di portare la produzione ad almeno un milione di auto all’anno con l’assunzione di 3.100 dipendenti e un investimento di 1,2 miliardi di euro. “Fa un certo effetto – dichiara Patriciello – sapere che Stellantis assumerà oltre tremila lavoratori in Marocco quando qui a Termoli ha negoziato l’uscita incentivata di 200 operai entro fine settembre. Certo, le due cose non sono direttamente collegate. Ma credo sia normale mantenere alto il livello di attenzione sugli investimenti promessi per lo stabilimento molisano. Non si tratta di mero campanilismo, sia chiaro, quanto piuttosto di mantenere alti i livelli di occupazione e di competitività di un settore che è strategico non solo per il territorio ma l’intero sistema-Paese”.

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