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Esteri

Al via a New York la vaccinazione di massa in Usa

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Parte da New York la vaccinazione di massa contro il Covid negli Stati Uniti, la maggiore dai tempi della poliomielite nel 1950. La prima dose e’ stata somministrata in diretta tv a Sandra Lindsay, un’infermiera afroamericana di terapia intensiva del Long Island Jewish Medical Center nel Queens. “Spero che questo segni l’inizio della fine di un periodo molto doloroso della nostra storia”, ha detto Lindsay poco dopo la storica iniezione. Collegato in diretta il governatore di New York: il vaccino “e’ l’arma che ci fara’ vincere la guerra”, ha spiegato sorridente Andrew Cuomo invitando tutti a farsi somministrare il vaccino. “Funziona solo se tutti lo fanno. Tutti devono fare la loro parte”, ha aggiunto. Lo Stato e la citta’ di New York sono stati l’epicentro del Covid negli Stati Uniti fra marzo e aprile con oltre 35.000 morti e il fatto che la prima vaccinazione sia avvenuta nello Stato invia un segnale di cambio di passo, di una nuova pagina da scrivere. Dopo un’estate relativamente sotto controllo, il virus e’ tornato ora a galoppare nella Grande Mela richiedendo l’imposizione di nuove restrizioni, quali la chiusura delle sale interne dei ristoranti costretti a servire pranzi e cene solo all’aperto con temperature sotto le zero. E la situazione non e’ destinata a migliorare a breve nonostante il vaccino. Il sindaco Bill de Blasio lo ha detto a chiare lettere: “Bisogna prepararsi alla possibilita’ di una nuova chiusura totale”. Mentre New York fa i conti con una possibile chiusura, la corsa alla vaccinazione e’ iniziata, anche se solo una piccola fetta della popolazione potra’ riceverlo almeno all’inizio viste le limitate forniture disponibili. Gli esperti prevedono che saranno circa 100 milioni gli americani che saranno vaccinati entro febbraio o marzo, mentre il grande pubblico dovra’ attendere almeno fino alla primavera o l’estate. I primi a cui il vaccino e’ somministrato sono i medici e il personale in prima linea nella battaglia contro il Covid negli ospedali. Subito dopo spettera’ poi alle case di cura per anziani. Per i dipendenti della Casa Bianca i tempi saranno invece piu’ lunghi delle previsioni iniziali. Il tentativo di Donald Trump di equiparali al personale medico in prima linea e’ fallito, costringendo il presidente a fare marcia indietro e ammettere che “dovrebbero ricevere il vaccino un po’ piu’ tardi nel programma”. Non e’ chiaro cosa abbia fatto cambiare idea a Trump, che vedeva nella vaccinazione di massa alla Casa Bianca una modalita’ per rassicurare la popolazione sulla sicurezza del vaccino. Un’idea, quella del presidente, che pero’ si e’ scontrata con la realta’: se intorno al vaccino resta scetticismo, le perplessita’ sono ancora maggiori intorno alla vaccinazione di massa della Casa Bianca vista piu’ come un favore del presidente ai suoi che come modalita’ per rassicurare la gente. Piu’ a nord la campagna e’ partita anche in Canada: la prima dose e’ stata somministrata a Toronto, anche qui ad uno dei sanitari che lavorano in prima linea contro la pandemia.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esteri

Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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