E’ il nipote di un boss della ‘ndrangheta uno dei due diciassettenni indagati per la brutale aggressione avvenuta in piena notte a Roccabernarda, nel crotonese, ai danni di Francesco Coco, ex sindaco e sottufficiale in pensione dell’Arma, noto per le sue battaglie contro le cosche del territorio. Un agguato in modalita’ “arancia meccanica” realizzato con il favore del buio che ha lasciato la vittima, spina nel fianco della criminalita’ locale, a terra e con diverse ferite sul volto e sulla testa. Cocostava rientrando a casa quando due persone con il volto coperto, in attesa nel giardino dell’abitazione, lo hanno assalito alle spalle e massacrato a colpi di bastone prima di darsi alla fuga nelle campagne circostanti. L’ex sottufficiale, malgrado le ferite riportate, ha avuto la forza di chiamare la moglie che ha allertato i soccorsi. Sul posto sono intervenuti i sanitari del Suem 118 che dapprima lo hanno condotto in ospedale a Crotone da dove, poi, si e’ deciso il trasferimento nel reparto di Neurochirurgia del Pugliese Ciaccio di Catanzaro. Le condizioni dell’ex amministratore sono giudicate gravi ma non e’ in pericolo di vita. Parallelamente sono state avviate le indagini degli uomini del Reparto operativo – Nucleo investigativo dei carabinieri di Crotone e della Compagnia di Petilia Policastro che, con il coordinamento della Procura di Crotone e della Procura dei minorenni di Catanzaro, in poche ore sono risaliti ai due giovanissimi. A poca distanza dal luogo dell’agguato sono stati ritrovati alcuni indumenti abbandonati durante le fasi rocambolesche della fuga. Passate al setaccio anche le immagini della videosorveglianza pubblica e privata presente nell’area, i sospetti si sono concentrati sui due indagati nei confronti dei quali, pero’, non e’ stato ancora emesso alcun provvedimento giudiziario. Si continua a scavare per tentare di appurare le motivazioni alla base del pestaggio: al momento il movente di ‘ndrangheta, che pure e’ un dato oggettivo vista lo stretto legame di parentela di uno dei due minori indagati con un boss locale, non sarebbe direttamente collegato all’aggressione. I due, infatti, potrebbero avere agito per una sorta di spavalda vendetta personale. Non si escludono sviluppi nelle prossime ore. Francesco Coco, insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica, ha ricoperto la carica di sindaco di Roccabernarda dal 2002 al 2007, a capo di una lista di centrodestra. E’ stato anche consigliere provinciale dal 2020 al 2021. Negli anni e’ stato al centro di una vera e propria escalation di episodi intimidatori. Nel 2019 quando era consigliere comunale, gli e’ stata incendiata l’auto. L’anno precedente un incendio aveva distrutto la lavanderia gestita dalla moglie. Il suo impegno contro la criminalita’ organizzata, pero’, non e’ mai venuto meno. Nel 2018 si e’ anche incatenato davanti alla prefettura di Crotone per protestare e chiedere interventi contro lo strapotere della criminalita’ organizzata. L’amministrazione comunale di Roccabernarda ha manifestato vicinanza e solidarieta’ a Coco. “Siamo vicini con la mente e con il cuore – ha affermato il sindaco Luigi Foresta – al nostro concittadino. Atti del genere sono vergognosi, inauditi e incidono negativamente sulla tranquillita’ di una intera popolazione”.
Un nuovo terremoto istituzionale potrebbe abbattersi su Torre Annunziata, a meno di un anno dalla fine del commissariamento imposto dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose della precedente amministrazione. Un dossier della Guardia di Finanza, già trasmesso alla Prefettura di Napoli, propone lo scioglimento dell’attuale Consiglio comunale guidato dal sindaco Corrado Cuccurullo, invocando il ricorso all’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali, non come sanzione, ma come misura preventiva, in linea con la giurisprudenza consolidata e il parere del Consiglio di Stato.
Un’amministrazione nel mirino: tre informative e un’indagine per false dichiarazioni
Il dossier delle Fiamme Gialle non è isolato. Altri due rapporti informativi, uno dei Carabinieri e uno della Polizia municipale, completano il quadro di elementi già all’attenzione della Prefettura. Al centro, anche un’indagine giudiziaria per falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, che vede coinvolti tre consiglieri comunali e un ex assessore. I quattro avrebbero dichiarato falsamente l’assenza di cause di incompatibilità, pur avendo pendenze economiche con il Comune, condizione che avrebbe dovuto comportare l’incandidabilità e l’inconferibilità.
Irregolarità e pressioni: nomine sospette, assunzioni anomale e sgomberi ostacolati
Il dossier non si limita all’aspetto penale, ma evidenzia una lunga serie di scelte discutibili sotto il profilo dell’opportunità amministrativa. Tra le criticità:
La volontà dell’amministrazione di far passare la processione della Madonna della Neve in zone sconsigliate dalle forze dell’ordine, perché frequentate da soggetti legati a clan camorristici, poi fortunatamente annullata.
La frequentazione irregolare degli uffici comunali da parte di persone non autorizzate, alcune delle quali successivamente assunte nello staff del sindaco. Tre soggetti avrebbero lavorato per mesi senza titolo, occupando postazioni e partecipando a riunioni. Tra questi, anche una persona sentimentalmente legata alla figlia di un’esponente del clan Gallo-Cavalieri.
Pressioni da parte di esponenti dell’amministrazione per ritardare alcuni sgomberi che interessavano famiglie vicine o imparentate con consorterie criminali.
Ombre sul consiglio comunale: legami con la criminalità organizzata
Un altro passaggio del dossier ricorda come diversi consiglieri comunali risultino legati a clan camorristici, secondo quanto già emerso nella precedente relazione della commissione d’accesso che aveva portato allo scioglimento del 2022. In tale contesto, l’ipotesi di una nuova commissione d’accesso appare sempre più concreta.
Il silenzio del sindaco
Il sindaco Corrado Cuccurullo, nonostante sia stato interpellato dai giornalisti, ha scelto per ora di non commentarele rivelazioni contenute nei dossier. Un silenzio che pesa, mentre la Prefettura valuta se avviare ufficialmente la procedura per un nuovo scioglimento.
Roberto Saviano (le foto sono di Imagoeconomica)torna a parlare. Lo fa in una lunga e intensa intervista rilasciata al Corriere della Sera, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro L’amore mio non muore (Einaudi). Dall’esperienza ai funerali di Papa Francesco alla memoria dolorosa della sua zia scomparsa, dal prezzo pagato per la scrittura alla condanna della solitudine, Saviano racconta senza filtri la sua vita da recluso, il senso di colpa, il peso degli attacchi e l’ossessione per la verità.
“Ho partecipato ai funerali di Francesco, come a quelli di Wojtyla. Ma lì c’era la camorra a vendere i panini”
La sua presenza in Vaticano ha destato curiosità. Ma Saviano spiega: «Ero stato anche ai funerali di Wojtyla, da cronista. Seguivo la vendita dei panini, organizzata dal clan». E sottolinea quanto la figura di Francesco, a differenza delle autorità presenti, abbia voluto essere toccata dagli ultimi.
“Mi sento in colpa. La mia famiglia ha pagato tutto. Io ho scelto, loro hanno solo perso”
Saviano ammette il dolore più intimo: la scomparsa recente della zia, vissuta in solitudine. «Ho la sensazione di aver sbagliato tutto», confessa. «I miei genitori si sono sradicati da Caserta per proteggermi. Io ho fatto carriera, loro hanno solo pagato».
E ancora: «Pensavo di cambiare la realtà con i libri, di accendere una luce. Ma ho solo generato isolamento».
“Il simbolo è di pietra. Non puoi sbagliare, non puoi contraddirti. Non sei più uomo, ma solo rappresentazione”
La condizione di scrittore-simbolo lo opprime: «Esisto per quello che rappresento, non per quello che sono». E il suo ruolo pubblico – protetto, attaccato, giudicato – ha inciso su tutto: amicizie, amore, libertà. «Quando vuoi bene a qualcuno, quella persona deve restare fuori dalla gabbia in cui tu sei chiuso. Nessun amore sopravvive così».
“Ho pensato di farla finita. Ma il corpo ha reagito. E ho capito che la fine non era quella”
Parla anche di pensieri estremi: «Ho pensato al suicidio. Volevo mettere il punto. Poi, guardandomi allo specchio, ho capito che non era quella la soluzione». E oggi convive con crisi di panico, insonnia, ansia. «Alle 5 del mattino non respiro. E mi chiedo: dove vado adesso?».
“Rushdie è vivo solo perché l’attentatore non sapeva usare il coltello. Ma almeno ora nessuno può dire che la minaccia era inventata”
L’amicizia con Salman Rushdie è per Saviano un nodo emotivo forte. L’attacco subito dallo scrittore anglo-indiano ha svelato la verità del pericolo: «È vivo per miracolo, e ora nessuno può più dire che la fatwa era un’esagerazione. Lui almeno ha avuto una liberazione. Io no: sono ancora dentro».
“Vorrei sparire. Cambiare nome. Prendere un camion e guidare lontano. Ma so che non posso”
L’idea della fuga è ricorrente: «Vorrei una nuova identità, un’altra vita. Ho preso la patente per il camion. Sogno di fare come Erri De Luca, partire per una missione umanitaria». Ma aggiunge con amarezza: «Non ne uscirò mai. Sono un bersaglio».
ROBERTO SAVIANO
“In Italia, se non muori, ti dicono che il pericolo non era reale. La scorta diventa uno stigma, non una protezione”
Saviano riflette sull’ossessione per la scorta: «In Italia, se non ti uccidono, allora vuol dire che hai esagerato». Racconta l’episodio surreale di una signora che lo accusa in aeroporto di aver mentito sul pericolo perché era da solo.
“Con Gomorra ho illuminato l’ombra. Ora racconto Rossella, uccisa dall’amore e dalla ’ndrangheta”
Il suo nuovo libro ricostruisce la storia di Rossella Casini, ragazza fiorentina scomparsa nel 1981 perché si era innamorata del figlio di un boss. Una tragedia sommersa, raccontata con sguardo letterario e civile. «Una Giovanna d’Arco ingenua e lucida. Il suo corpo non è mai stato trovato. La sua colpa: amare dissidenti».
“Michela Murgia mi ha insegnato la libertà nei legami. E mi ha donato vita. Ora mi manca anche l’amore”
Commuove il ricordo dell’amicizia con Michela Murgia: «Mi ha insegnato a tagliare i lacci ai sentimenti». E confessa: «Mi manca l’amore. Ma come si ama, se vivi da prigioniero? L’amore ha bisogno di leggerezza. Io sono pesante, ormai».
La destituzione di madre Aline Pereira Ghammachi, 41 anni, la più giovane badessa d’Italia, è arrivata come un fulmine a ciel sereno lo scorso 21 aprile 2025, gettando nel caos il monastero cistercense dei Santi Gervasio e Protasio di San Giacomo di Veglia, alle porte di Treviso. Un provvedimento inatteso del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, che ha commissariato il monastero nonostante le ispezioni precedenti avessero escluso anomalie. Il caso è esploso dopo che undici consorelle hanno abbandonato il convento in segno di solidarietà con la badessa rimossa.
«Mi hanno cacciata all’improvviso, senza spiegarmi il motivo»
Intervistata dal Corriere della Sera, madre Aline ha raccontato la sua versione dei fatti, parlando per la prima volta dopo la destituzione: «Il giorno di Pasquetta mi è stata comunicata la rimozione. Una cosa inaspettata. Non mi è stato chiarito il motivo del commissariamento. Mi è stato riferito solo che due anni fa sarebbe stata inviata una lettera a Papa Francesco che mi accusava di maltrattamenti. Ma quella vicenda era stata archiviata». Secondo la religiosa, a sostenere l’assenza di irregolarità era stata anche l’ispettrice madre Ester Stucchi, in una relazione che avrebbe confermato la regolarità della vita comunitaria.
Undici suore via con lei: «Pregherò per riaccoglierle»
Madre Aline racconta che l’ambiente in monastero era diventato pesante: «Il clima era insopportabile. Per questo abbiamo deciso di andar via. Undici suore hanno lasciato il convento una dopo l’altra. Alcune si sono presentate dai carabinieri per evitare allarmi. Viviamo separate, ma il mio sogno è quello di poterle accogliere tutte in un nuovo luogo, se Dio me lo permetterà».
Le accuse dell’Ordine: «Falsità e affermazioni diffamatorie»
La religiosa ha poi risposto con fermezza a chi la descrive come una figura divisiva, forse troppo moderna: «Mi sono laureata in Economia e Commercio, ho riorganizzato le attività del convento. Qualcuno parla d’invidia. L’abate Lepori avrebbe detto che sono “troppo giovane e bella per essere badessa”. Io prego soltanto perché emerga la verità».
E ancora: «Mi preoccupo per il monastero, che ha spese importanti e tante attività sociali: accoglievamo persone sole, donne in difficoltà. Avevamo un orto, una serra per l’aloe, facevamo miele, vino biologico. Non so cosa ne sarà adesso».
Infine, conclude: «L’Ordine ha diffuso falsità e affermazioni lesive della mia dignità. D’ora in avanti parleranno i miei avvocati. Ma tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per il bene del monastero».