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Accordo nucleare Iran ma la Russia chiede garanzie

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L’accordo sul nucleare iraniano a Vienna, dato per imminente, si avvicina al punto critico: a certificarne il clima di favore (ma che potrebbe preludere essere al suo collasso) oggi la visita a Teheran del segretario generale dell’Aiea, Rafael Grossi, che in una conferenza stampa congiunta con il capo del progetto atomico iraniano, Mohammed Eslami, ha salutato il passaggio dalla diffidenza a una collaborazione “pragmatica” e, ha chiosato Eslami, “non politica”. Questo poco prima che da Mosca arrivasse come una doccia fredda una frase del ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, che in una conferenza stampa dedicata in prevalenza all’Ucraina, fa sapere che il si’ a un futuro accordo sul nucleare iraniano che ripristini quello del 2015 e’ condizionato: Mosca – ha detto il capo della diplomazia russa – vuole da parte degli Stati Uniti che non ci saranno sanzioni che le impediscano in futuro di stabilire rapporti economici e commerciali pieni con Teheran. “Abbiamo chiesto ai nostri colleghi statunitensi che ci forniscano garanzie scritte, almeno al livello del Segretario di Stato, che il processo messo in piedi dagli Usa (le sanzioni, ndr) non leda in alcun modo il nostro diritto a un commercio, a investimenti e a una cooperazione economica e tecnico-militare con l’Iran” ha detto Lavrov. La Russia, sotto pesanti e crescenti sanzioni internazionali per l’invasione dell’Ucraina, potrebbe piazzarsi come un macigno sulla strada dell’accordo, essendo Mosca una delle quattro potenze del gruppo cosiddetto 4+1, con Regno Unito, Cina, Francia e Germania (gli Stati Uniti, che sono usciti dagli accordi del 2015, partecipano indirettamente), che stanno negoziando con Teheran a Vienna. Ma intanto Eslami e Grossi hanno assicurato oggi che prima di giugno l’Aiea e Teheran si scambieranno i documenti sensibili sugli ultimi nodi che ancora restano da sciogliere: in particolare la spiegazione di Teheran sulla natura delle tracce di uranio rinvenute in un sito non dichiarato, che Teheran afferma pero’ risalire a oltre un decennio fa: un chiarimento su quello e su altri siti iraniani al quale Grossi in questi giorni ha ribadito di non voler rinunciare per nessuna ragione, essendo una questione che corre parallela all’intesa internazionale. Sul tavolo – variabile russa a parte – i macigni iniziali sembravano diventati sassolini, seppure non facili da rompere: alle chiarificazione da parte dell’Aiea, Teheran ha opposto la richiesta garanzie sulla rimozione della totalita’ delle sanzioni che gravano sulla sua economia, la “garanzia scritta” all’interno del corpus del futuro trattato che nessun capo di stato possa unilateralmente gettare l’intesa alle ortiche, come fece Donald Trump nel 2018. Ma intanto, in quasi quattro anni nei quali l’intesa sul nucleare del 2015 e’ rimasta appeso a un filo senza l’America, la Repubblica islamica – stando alle stime dell’Aiea – ha accumulato uranio arricchito in quantita’ 15 volte superiore a quanto sancito dall’accordo. E poi c’e’ la netta, pervicace opposizione di Israele ad una nuova intesa, vista come una licenza a continuare a lavorare segretamente a bombe nucleari. Una contrarieta’ ribadita oggi dal premier Naftali Bennett. Sarebbe difficile immaginare che un ritorno cosi’ importante a un trattato cosi’ esauriente sia possibile senza che l’Iran sia in pieno accordo su queste importante garanzie”, ha dichiarato Grossi, mentre il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, ha fatto sapere di essere “pronto a volare a Vienna” per mettere la sua firma “quando le parti occidentali avranno accettato le nostre rimanenti linee rosse”. Le prossime ore saranno quindi quelle che decideranno se i nodi sono sciolti o arrivano al pettine, facendo collassare la possibilita’ di un accordo, sullo sfondo della guerra ai confini dell’Occidente.

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Parigi, al via il processo ai “nonnetti rapinatori” che derubarono Kim Kardashian

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È iniziato ieri, davanti al tribunale di Parigi, il processo contro i dieci imputati – nove uomini e una donna – accusati della clamorosa rapina ai danni di Kim Kardashian, avvenuta nell’autunno del 2016. Il principale indiziato, Aomar, 68 anni, si è presentato in aula con passo incerto e bastone alla mano, fedele al suo profilo di “papy braqueur”, come i media francesi hanno soprannominato la banda: i nonnetti rapinatori.

I protagonisti della rapina

Aomar, nato nel 1956 in Algeria, è un veterano del crimine, autore dei primi furti già a 14 anni. A presentargli i complici era stata la compagna Christiane Glotin, detta Cathy, oggi 78enne, che gli fece incontrare “Pierrot il grosso”, 80 anni, altra vecchia conoscenza del mondo criminale francese.

Tra gli altri protagonisti c’è Yunice Abbas, 71 anni, che tentò una fuga rocambolesca in bicicletta portando con sé una borsa che credeva piena di armi, ma che invece conteneva gioielli e perfino il cellulare di Kim Kardashian, da cui avrebbe ricevuto una chiamata della cantante Tracy Chapman.

Spicca anche Didier “occhi blu” Dubreucq, 69 anni, con 23 anni di prigione alle spalle, che avrebbe partecipato direttamente all’irruzione nella suite della star americana.

La notte del colpo milionario

La rapina avvenne la notte del 3 ottobre 2016, in una suite di lusso nascosta in rue Tronchet, vicino alla Madeleine. Kim Kardashian, sola nella stanza, fu sorpresa da due uomini travestiti da poliziotti. Le strapparono il cellulare e, sotto minaccia, la costrinsero a consegnare l’anello di fidanzamento, un diamante da quasi 19 carati, regalo del marito Kanye West, valutato circa quattro milioni di dollari. La star fu legata, imbavagliata e rinchiusa nel bagno, mentre i rapinatori fuggivano con il bottino, comprendente anche contanti, gioielli e orologi di lusso.

La banda fu individuata grazie alle tracce di Dna lasciate nella suite.

Una rapina da fumetto

Sull’incredibile vicenda sono già stati pubblicati fumetti e libri, alcuni scritti dagli stessi imputati, che hanno contribuito ad alimentare il mito dell’«impresa dei nonnetti». Kim Kardashian è attesa in aula per testimoniare il prossimo 13 maggio.

 

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Elezioni in Canada, liberali di Carney vincono legislative e preparano la guerra a Trump

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Secondo le proiezioni dei media locali, è il Partito liberale di Mark Carney a vincere le elezioni legislative canadesi. I risultati preliminari del voto non permettono però di stabilire se il premier guiderà un governo di maggioranza o di minoranza.

Il primo ministro si avvierebbe quindi a portare i Liberali verso un nuovo mandato, dopo aver convinto gli elettori che la sua esperienza nella gestione delle crisi economiche lo rende pronto ad affrontare le mire del presidente americano Donald Trump. L’emittente pubblica Cbc e Ctv News hanno entrambe previsto che il Partito liberale formerà il prossimo governo canadese. Solo pochi mesi fa la strada per il ritorno al potere dei conservatori guidati da Pierre Poilievre sembrava spianata, dopo dieci anni sotto la guida di Justin Trudeau. Ma il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e la sua offensiva senza precedenti contro il Canada, con dazi e minacce di annessione, hanno cambiato la situazione.

Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

A Ottawa, dove i liberali si sono radunati per la notte delle elezioni, l’annuncio di questi primi risultati ha provocato un applauso e grida di entusiasmo. “Sono felicissimo, è ancora presto ma sono fiducioso che riusciremo ad avere la maggioranza”, David Lametti, ex ministro della Giustizia. La guerra commerciale di Trump e le minacce di annettere il Canada, rinnovate in un post sui social media il giorno delle elezioni, hanno indignato i canadesi e hanno reso i rapporti con gli Stati Uniti un tema chiave della campagna elettorale.

Carney, che non aveva mai ricoperto una carica elettiva e aveva sostituito Trudeau come premier solo il mese scorso, ha basato la sua campagna su un messaggio anti-Trump. In precedenza ha ricoperto la carica di governatore della banca centrale sia nel Regno Unito che in Canada e ha convinto gli elettori che la sua esperienza finanziaria globale lo rende pronto a guidare il Paese attraverso una guerra commerciale. Ha promesso di espandere le relazioni commerciali con l’estero per ridurre la dipendenza del Canada dagli Stati Uniti.

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Elezioni in Canada, ecco chi è il primo ministro Mark Carney: l’uomo delle crisi

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Ha guidato due banche centrali ma non era mai stato eletto. Il primo ministro canadese Mark Carney, che ha vinto le elezioni generali di lunedi’, e’ abituato a navigare nella tempesta. Con la vittoria del suo partito alle elezioni legislative, dovra’ rapidamente mettersi alla prova contro Donald Trump. Una sfida che dice di poter vincere: “Sono piu’ utile nei momenti di crisi.

Non sono molto bravo in tempo di pace”, ha detto di recente, in tono divertito, a un piccolo pubblico in un bar dell’Ontario. In poche settimane, questo sessantenne novizio della politica e’ riuscito a convincere i canadesi che la sua competenza in materia economica e finanziaria lo rende l’uomo giusto per guidare il paese immerso in una crisi senza precedenti. In effetti, la recessione minaccia questa nazione del G7, la nona economia piu’ grande del mondo, dopo l’imposizione dei dazi doganali da parte di Trump, che continua a ripetere che il destino del Canada e’ quello di diventare uno stato americano.

Nato a Fort Smith, nell’estremo nord, ma cresciuto a Edmonton, in questo West canadese piuttosto rurale e conservatore, Mark Carney e’ padre di quattro figlie e appassionato di hockey. Ha studiato ad Harvard e Oxford, prima di fare fortuna come banchiere d’investimento presso Goldman Sachs, a New York, Londra, Tokyo e Toronto. Nel 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria globale, e’ stato nominato governatore della Banca del Canada dal primo ministro conservatore Stephen Harper. Cinque anni dopo, e’ stato scelto dal primo ministro britannico David Cameron per dirigere la Banca d’Inghilterra, diventando il primo straniero a dirigere l’istituto. Poco dopo, si trovera’ di fronte alle turbolenze causate dal voto sulla Brexit. Un compito svolto con “convinzione, rigore e intelligenza”, secondo l’allora Cancelliere dello Scacchiere britannico, Sajid Javid.

Da anni circolavano voci sul suo ingresso in politica. Ma e’ stato solo all’inizio di gennaio, dopo le dimissioni di Justin Trudeau, di cui era stato consigliere economico, che ha deciso di buttarsi nell’arena. Dopo aver conquistato il Partito Liberale all’inizio di marzo, e’ diventato primo ministro e ha indetto le elezioni in seguito, dicendo che aveva bisogno di un “mandato forte” per affrontare le minacce di Trump, che ha cercato di “spezzare” il Canada.

Una vera e propria scommessa per questo ex portiere di hockey che non aveva mai fatto campagna elettorale e che ha preso le redini di un partito al suo punto piu’ basso nei sondaggi, appesantito dall’impopolarita’ di Justin Trudeau alla fine del suo mandato. E molti analisti hanno messo in dubbio la sua capacita’ di ribaltare la situazione su molti canadesi, mentre molti canadesi hanno incolpato i liberali per l’alta inflazione e la crisi immobiliare nel paese. Poco carismatico, in contrasto con l’immagine sgargiante di Justin Trudeau nei suoi primi giorni, sembra che siano proprio la sua serieta’ e il suo curriculum ad aver finalmente convinto la maggioranza dei canadesi.

“E’ un po’ un tecnocrate noioso, che soppesa ogni parola che dice”, dice Daniel Be’land della McGill University di Montreal. Ma anche “uno specialista in politiche pubbliche che padroneggia molto bene i suoi dossier”. “Questo profilo e’ rassicurante e soddisfa le aspettative dei canadesi per gestire questa crisi”, aggiunge Genevie’ve Tellier. Il suo principale avversario durante la campagna, il conservatore Pierre Poilievre, lo ha descritto come un membro dell'”e’lite che non capisce cosa sta passando la gente comune”, ha detto Lori Turnbull, professoressa alla Dalhousie University. Resta un argomento che sembra fargli perdere la flemma: la questione dei suoi beni. Secondo Bloomberg, a dicembre aveva stock option per un valore di diversi milioni di dollari. E i suoi rari scambi di tensione con i giornalisti durante la campagna elettorale riguardavano questa fortuna personale.

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