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Cronache

Il grido di dolore di una donna anziana: mia figlia è in mano ad una setta alla quale ha dato già 316 mila euro

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Chiede alla magistratura di fare luce sul caso della figlia. Le informazioni recuperate  dai suoi avvocati sul web, finita nelle grinfie di una setta satanica che le avrebbe sottratto, finora, ben 316mila euro, sono scarne. La donna in questione è una mamma di  83 anni. La 38enne sembra abbia già abbia elargito la cifra monstre ad alcune delle sette sataniche del centro Italia. E questa donna anziana, per tramite dei suoi legali ha richiesto l’intervento della Procura di Napoli Nord. “Mia figlia ha urgente bisogno d’aiuto, sono certa che è vittima di sette sataniche alle quali ha elargito 316 mila euro“.

La denuncia è datata e gli atti sono passati per competenza territoriale alla procura di Perugia perchè è in Umbria che sarebbe radicata la setta. Nelle due pagine di denuncia dell’ottobre 2018, la anziana donna parla del precario stato di salute della figlia (“ha iniziato a bere e ha bisogno di una psicologa”) ma anche di tensioni, sempre più gravi, culminate con le minacce: “una sera mi ha mostrato una pistola raffigurata nel tablet in suo possesso e mi passò al telefono un soggetto di voce maschile che mi disse che se non pagavo l’avrebbero bruciata”. I soldi sono l’altra nota dolente: la 38enne si diceva afflitta da problemi economici malgrado il suo dignitoso lavoro. Le hanno anche pignorato parte dello stipendio. Difficolta’, diceva, riconducibili a problemi di salute. Ma, ricorda la madre, si era venduta tre garage in Sicilia, un’ abitazione di 5 vani e una villa, tra Catania e provincia, e un’altra villetta a Scalea. I soldi, in sostanza, non potevano mancare. Fu in una rara occasione in cui riusci’ a entrare nella stanza della figlia che scopri’ la fine che aveva il denaro: da un estratto conto capi’ che lo aveva versato attraverso quattro bonifici, per complessivi 316mila euro, a una donna (è la donna di cui i magistrati hanno le generalità), secondo la madre componente la setta che l’aveva assoggettata. Proprio per evitare che i beni della figlia potessero finire tutti nelle tasche di quella gente, insieme con la denuncia la donna – difesa dal penalista Giuseppe Siciliano – presentò infatti anche un’istanza di sequestro dei beni. Il legale della signora, l’avvocato Siciliano, con il consulente Eugenio Rapinese, è riuscito a estrapolare delle foto dal profilo Fb della figlia (adesso bloccato) che confermerebbero l’esistenza della setta: strane immagini, post preoccupanti e numerosi simboli satanici. Che cosa c’è di vero? Dovranno accertarlo i magistrati di Perugia.

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Il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi e le chat tra Chaouqui e monsignor Balda

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Documenti recentemente resi pubblici potrebbero aggiungere un nuovo capitolo al lungo e intricato mistero della sparizione di Emanuela Orlandi, la quindicenne figlia di un messo vaticano scomparsa nel 1983. Francesca Immacolata Chaouqui e il segretario della prefettura degli affari economici del Vaticano, Angel Vallejo Balda, entrambi membri della COSEA, la commissione istituita da Papa Francesco per riformare gli enti economici della Santa Sede, appaiono in una serie di chat risalenti a dieci anni fa.

In queste conversazioni, depositate presso la Procura di Roma e una commissione parlamentare che indaga sulla scomparsa di Orlandi, Chaouqui fa riferimento alla necessità di “far sparire quella cosa della Orlandi” e parla di una presunta gestione delle prove che potrebbero essere compromettenti per il Vaticano. “Brucia questa conversazione appena la leggi”, scrive Chaouqui in una delle chat, suggerendo anche di inviare copie di documenti relativi al caso Orlandi in Procura in forma anonima.

Le chat rivelano inoltre una certa tensione e preoccupazione per le possibili implicazioni delle informazioni in loro possesso, con Balda che risponde, sebbene con un italiano incerto, che il cardinale ha sottolineato l’importanza di usare “tutta la forza” in questa vicenda e che “il Papa è con noi”.

Questi scambi di messaggi sono stati resi noti da Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, tramite il suo avvocato Laura Sgrò. Durante un interrogatorio, Vallejo Balda ha negato di essere l’interlocutore in questi scambi, ma questa affermazione non è stata accolta con convinzione dal promotore di giustizia del Vaticano, Alessandro Diddi.

Le rivelazioni contenute nelle chat sollevano questioni significative sulla gestione delle informazioni relative alla scomparsa di Emanuela Orlandi da parte di figure chiave all’interno del Vaticano e sulla possibile esistenza di una strategia per proteggere l’immagine della Santa Sede. La discussione sui metodi di pagamento per i servizi di georadar utilizzati per esaminare una tomba e le direttive apparentemente ricevute dal Papa evidenziano ulteriori complessità nella gestione del caso.

Questi nuovi elementi intensificano il dibattito e la speculazione pubblica su uno dei più persistenti e dolorosi misteri italiani, mettendo in luce la lotta interna tra la trasparenza desiderata da alcuni e gli sforzi di altri per mantenere segreti potenzialmente destabilizzanti. Con queste rivelazioni, la richiesta di verità da parte della famiglia Orlandi e dei sostenitori sembra destinata a intensificarsi, mentre il Vaticano potrebbe trovarsi sotto nuova pressione per fare luce sulla vicenda.

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La lite tra Iovino e Fedez e il pestaggio in strada del personal trainer dagli ultrà del Milan

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La scena milanese è stata scossa da eventi violenti nel corso del weekend tra il 21 e il 22 aprile, culminati in una violenta aggressione che ha visto coinvolto il personal trainer dei vip, Cristiano Iovino. La notte ha iniziato a prendere una piega inquietante con una rissa nel famoso locale “The Club” di Brera, dove Iovino e il rapper Federico Leonardo Lucia, noto come Fedez, sono stati protagonisti di uno scontro acceso, apparentemente scatenato da un apprezzamento non gradito verso una ragazza presente con il cantante.

Pochi dettagli sono emersi sulle dinamiche esatte della rissa, ma le telecamere di sicurezza e le testimonianze della security del locale hanno confermato la gravità dell’incidente, descritto come una scena da film con lanci di bicchieri e vetri rotti. Nonostante i tentativi di smentita via social da parte dell’amico di Fedez, Jack Vanore, la situazione è rapidamente degenerata.

Ore dopo la rissa in discoteca, i guardiani di un palazzo di via Traiano hanno assistito a una scena ancora più violenta: un gruppo di 8-9 individui vestiti di nero e scesi da un van ha brutalmente attaccato Iovino in strada. Nonostante le ferite, il personal trainer ha rifiutato il trasporto in ospedale, limitandosi a ricevere cure sul posto, e ha espresso la sua intenzione di non sporgere denuncia, complicando così le possibilità di indagine ufficiale.

L’attenzione della Procura di Milano si è accesa su questi eventi, considerando la possibilità di un agguato su commissione e ulteriori implicazioni. Gli investigatori stanno esaminando le connessioni tra la rissa in discoteca e l’aggressione in strada, con particolare attenzione ai collegamenti con alcuni ultrà del Milan, già noti per episodi di violenza. Questi stessi ultrà, secondo alcune fonti, erano presenti durante la rissa al “The Club” e potrebbero essere gli stessi coinvolti in un violento pestaggio a inizio aprile a Motta Visconti.

In un tentativo di chiarire la situazione, Iovino ha cercato di organizzare un incontro conciliatorio con Fedez, mentre si mormora di un suo possibile appello agli ultrà biancocelesti di Roma per supporto, dato il gemellaggio esistente con i tifosi interisti. La situazione resta fluida e piena di tensioni, con la Procura che attende sviluppi e una potenziale querela da parte di Iovino per procedere con indagini più approfondite.

Questi eventi sollevano serie questioni sulla sicurezza nelle notti milanesi e sulla pericolosa intersezione tra celebrità, sport e criminalità, riflettendo una cultura di violenza che sembra troppo spesso sfuggire di mano.

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Il giorno di Toti, ma il governatore non risponde al gip

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L’interrogatorio di garanzia di Giovanni Toti, ai domiciliari per corruzione ambientale, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e promesse elettorali, dura solo mezz’ora: il governatore arriva al palazzo di giustizia di Genova alle 14:09, con un’auto con i vetri oscurati che entra direttamente nel garage, e ne esce alle 14:35. Un brevissimo incontro con la gip Paola Faggioni e con uno dei magistrati che coordina l’inchiesta che ha terremotato la politica ligure, portando Toti ai domiciliari assieme all’ imprenditore della logistica Aldo Spinelli e al carcere per l’ad (sospeso) di Iren ed ex presidente dell’authority portuale Paolo Signorini. Difeso dall’avvocato Stefano Savi, come era stato ampiamente annunciato, Toti si è infatti avvalso della facoltà di non rispondere.

“Chiederemo la prossima settimana di farci interrogare. Al momento stiamo leggendo tutte le carte – ha detto il legale – E dopo chiederemo la revoca dei domiciliari”. E sarà quella l’occasione per ribadire i concetti che già in questi giorni il legale ha espresso: Toti “rivendica di avere svolto una attività politica alla luce del sole e tutta tracciata. Non ha avuto un vantaggio personale, non c’è stato un uso privato”. “Il presidente sta bene ed è determinato a spiegare tutto quello che c’è da spiegare” fanno sapere dall’entourage del governatore che è costantemente in contatto con l’avvocato Savi. Stamani però non è stato possibile per nessuno, né per le decine di giornalisti assiepati davanti al tribunale né per gli inevitabili curiosi fermi all’angolo della strada, vedere le due macchine scure che hanno accompagnato Toti in Tribunale. Né tantomeno attendere davanti alla porta del Gip e nei corridoi.

Il governatore, scortato dalla Guardia di finanza, è stato fatto passare dai parcheggi sotterranei. “Una cortesia istituzionale”, è stato fatto notare da abituali frequentatori del palazzo di giustizia, che “per altri indagati eccellenti non è stata adottata”. In più, poco prima delle 13, il corridoio che portava alle aule è stato improvvisamente ‘blindato’ con alcune transenne e un cartello: ‘Venerdì 10 maggio – piano 3 dalle ore 13:00 interdetto per lavori”. Ordine e sindacato dei giornalisti hanno protestato con una nota: “Nessuno può impedire ai cronisti di fare il proprio lavoro. Devono essere garantiti sempre, e a maggiore ragione su fatti così rilevanti, il diritto di cronaca e la libertà di stampa che non posso andare a intermittenza in base ai soggetti coinvolti”.

Subito dopo aver firmato il verbale, Toti è stato riaccompagnato ad Ameglia, poco più di 100 km da Genova, nella casa che tante volte ha fatto da sfondo ai suoi selfie. Lì approfondirà le circostante e le contestazioni che gli vengono fatte nelle oltre 600 pagine di ordinanza e negli atti dell’inchiesta e preparerà la sua difesa prima di presentarsi davanti ai pm, molto probabilmente la prossima settimana. L’avvocato Savi continua comunque a ribadire che tutto il denaro, tutti i fondi ricevuti sono tracciabili, che tutto è stato fatto alla luce del sole e che quelle sottolineate nell’ordinanza non sono ‘dazioni’ (per il codice penale il passaggio illegale di denaro, generalmente da un imprenditore a un politico, in cambio di protezione o di favori). Insomma, dice Savi, non c’è stato nulla di illecito. E Toti questo vuol spiegare quando incontrerà, per la seconda volta, i magistrati.

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