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Fece a pezzi e bruciò un suo amico, arrestato in Francia l’assassino

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Avrebbe ucciso Cristian Giovanny Hernandez Tautiva, fatto a pezzi il suo corpo e lo avrebbe dato alle fiamme tra i rifiuti di via cascina dei Prati a Milano il 30 marzo scorso. Oggi è arrivato a Fiumicino, Mateus  Cardenas Dilan Mateo, detto “Mateo”, scortato da personale dello SCIP (Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia), 21enne colombiano, arrestato lo scorso 2 aprile a Rungis a sud di Parigi nelle vicinanze dell’aeroporto di Orly.

Un delitto efferato che destò sensazione per la violenza con cui era stato commesso.

Mateo avrebbe compiuto il brutale omicidio insieme ad altri due connazionali poi era fuggito da Milano la domenica mattina  successiva al delitto con un volo diretto in Francia, ma le immediate ricerche della Squadra Mobile di Milano in collaborazione con la rete dello SCIP che ha attivato i colleghi francesi ne hanno permesso l’immediata individuazione ed il fermo per l’estradizione.

Appena arrivato  presso lo scalo aereo romano, negli Uffici di Polizia di Frontiera Aerea sono state  espletate le formalità di rito e poi il giovane  colombiano è stato  condotto in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria meneghina.

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Balneari: Consiglio Stato dice “no proroga concessioni, ok a gare”

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Il Consiglio di Stato conferma il ‘no’ alla proroga delle concessioni balneari e ricorda la linea sancita dalla Corte di Giustizia Ue di “dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale”. Con una sentenza depositata oggi dalla settima sezione, Palazzo Spada ha rigettato il ricorso di una societa’ gestrice di uno stabilimento balneare a Rapallo, ricorso che era gia’ Statodichiarato “improcedibile” per la sopravvenienza della legge 118/2022, le cui disposizioni hanno stabilito il termine finale di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore della legge stessa al 31 dicembre 2023.

“L’effetto che discenderebbe dalla procedibilita’, in ipotesi, del ricorso – si legge nella sentenza odierna – non sarebbe la reviviscenza dell’originario, e illegittimo, regime di durata temporale delle concessioni previsto dalla legge n. 145 del 2018”, bensi’, “proprio dando applicazione alla sentenza della Corte di Giustizia UE” del 20 aprile 2023 “e a tutta la giurisprudenza europea precedente”, quello “opposto, sancito dalla Corte, di dare immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale”. E ancora: “Ne’ giova sostenere all’appellante – rileva il Consiglio di Stato – sulla base di mere affermazioni apodittiche, con particolare riferimento alla sussistenza di un interesse transfrontaliero certo, nonche’ alla scarsita’ della risorsa, che la concessione in capo all’odierna appellante sarebbe senz’altro sfornita del requisito dell’interesse transfrontaliero certo richiesto dalla direttiva 2006/123/CE”. Per Palazzo Spada, “si tratta di meri assunti, sforniti di prova, in quanto la risorsa e’ sicuramente scarsa, come questo Consiglio di Stato ha gia’ chiarito nella pronuncia dell’Adunanza plenaria” del 2021, e “la presenza o l’assenza dell’interesse transfrontaliero non dipende certo dalla mera, peraltro solo affermata, limitata rilevanza economica della concessione”.

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Prese cartelle cliniche al Beccaria, focus su altri casi

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Rischia di aggravarsi, ed essere ancora più pesante, il quadro tracciato dall’indagine della Procura di Milano sul carcere Beccaria e sul ‘sistema’ di violenza e torture con cui i 13 agenti di polizia penitenziaria ora in cella con la complicità degli 8 sospesi, avrebbero voluto rieducare i giovani detenuti. Un sistema fatto di aggressioni, insulti e botte, basato sulla “ferocia” e su “un clima infernale” e “di paura”. Oltre agli otto casi di pestaggi emersi nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita la scorsa settimana nei confronti delle 21 guardie carcerarie, i pm Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, con l’aggiunto Letizia Mannella, puntano ad accertare se ce ne siano altri in aggiunta a quelli sospetti e già individuati o denunciati – alcuni si sono fatti avanti – e per i quali da lunedì prossimo cominceranno le convocazioni dei giovani. Infatti stamane sono state acquisite negli archivi del penitenziario minorile tutte le cartelle cliniche dei ragazzi passati in infermeria per accertare se ci siano ulteriori vittime e se ci siano stati altri referti ammorbiditi o addirittura con prognosi a “zero giorni”.

Le verifiche si focalizzano dalla fine del 2021 fino ai mesi scorsi. Intanto in mattinata si sono conclusi gli interrogatori davanti al gip Stefania Donadeo, la quale dovrà decidere sulle istanze di revoca della misura, alle quali i pubblici ministeri finora hanno dato parere negativo. Anche per i quattro comparsi oggi davanti al giudice, eccetto uno che ha scelto di non rispondere, la linea difensiva è sempre la stessa: si sarebbe trattato, secondo la loro versione, di “interventi contenitivi” nei confronti di detenuti “problematici”, ossia di reazioni a comportamenti dei minori. E ancora hanno raccontato di essersi sentiti abbandonati nel dover gestire una situazione e un luogo in cui nessuno voleva stare, coi loro metodi e in autonomia, tra tensioni, turni massacranti e mancanza di personale. Gli agenti sentiti questa mattina che fanno parte degli 8 sospesi, come ricostruito nell’ordinanza, non hanno messo in atto materialmente le violenze, ma “con la loro presenza hanno rafforzato il proposito criminoso” o comunque “non hanno impedito l’evento”, ossia i pestaggi. Infine si attende di sapere la data dell’udienza per discutere le tre istanze di scarcerazione presentate al Tribunale del Riesame.

I pm stanno lavorando sugli atti da depositare per insistere con la loro ricostruzione. Tra questi ci saranno anche i filmati delle telecamere interne al Beccaria che hanno offerto immagini choc dei pestaggi di alcuni giovani. Come quello di 15enne, che in precedenza si era procurato dei tagli “sulle braccia”, e che prima è stato “condotto fuori dalla cella” da quattro agenti e poi trascinato per le scale e tirato “dal braccio sanguinante”, da uno di loro. E infine, come documentato, è stato spinto “contro il muro” e colpito “ripetutamente alla testa e al torace” fino a “cadere a terra”. Ma questo, secondo la difesa, era uno degli “interventi contenitivi”.

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La sentenza Saman: potrebbe averla uccisa la madre

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Tutto in una notte di tre anni fa. L’omicidio di Saman Abbas non è stato pianificato nel tempo e non è stata neppure una punizione per essersi opposta a un matrimonio combinato, ma si è compiuto nel casolare di Novellara, in poche ore di una serata frenetica e drammatica, iniziata con la scoperta che lei voleva andarsene di casa col fidanzato, proseguita con una serie di telefonate tra il padre e lo zio e conclusa con lo strozzamento o strangolamento della ragazza. Non si esclude che sia stata la madre a compiere materialmente il delitto, durante il minuto in cui è sparita dal fuoco delle telecamere. Ma Nazia Shaheen, ancora latitante in Pakistan, il marito Shabbar Abbas e suo fratello Danish Hasnain, in carcere sono tutti e tre “pienamente parimenti coinvolti” nell’assassinio e “compartecipi della sua realizzazione”.

Di questo sono convinti i giudici che hanno depositato oltre 600 pagine di una sentenza su un lungo e complesso processo, concluso prima di Natale con le condanne all’ergastolo per padre e madre, a 16 anni per lo zio (che ha collaborato indicando il luogo dove aveva nascosto il cadavere, elemento di prova fondamentale) e le assoluzioni per i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, immediatamente liberati. La Corte di assise di Reggio Emilia riduce e dimensiona la storia della 18enne pachistana morta tra il 30 aprile e il primo maggio 2021, ritrovata in una fossa un anno e mezzo dopo e dal 26 marzo sepolta nel cimitero di Novellara. La sentenza non risparmia critiche alla ricostruzione accusatoria, ai media che avrebbero enfatizzato e distorto la vicenda, e demolisce personaggi significativi per gli inquirenti come il fratello della ragazza o il suo fidanzato. Il giudizio non salva nessuno: la vita di Saman, scrive la Corte (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) “non è stata solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti”. Al fratello, minorenne all’epoca dei fatti, sono dedicati lunghi passaggi.

Da testimone cruciale, accusatore dei propri familiari (aveva detto di aver visto lo zio e i cugini quella sera), il giovane diventa un bugiardo, inattendibile, inaffidabile, con sospetti ribaditi di un suo coinvolgimento diretto. “Nessun riscontro, neppure parziale” è stato trovato alle sue dichiarazioni, osservano i giudici. “Tacendo – sottolineano – della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati”. Nessuna prova neppure della riunione, da lui riferita, in cui i familiari si sarebbero trovati, giorni prima, per discutere di come uccidere la ragazza. Né dimostra nulla il video del 29 aprile, dove vengono ripresi zio e cugini con le pale. Tutto, per la Corte, è più semplice: “Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell’intenzione della ragazza di andar via di casa”. Anche perché, spiega la sentenza, dal rientro di Saman il 20 aprile “l’unica occasione in cui si è registrato un contrasto tra la ragazza e i genitori è quella della sera del 30”.

Fu lì che si scoprì e si parlò della relazione col fidanzato e dell’idea di fuggire di nuovo. Fu lì che ci fu una “sequela incalzante e compulsiva di chiamate tra i due imputati”, Shabbar e Danish, dopo le 23, “anomale per numero, ripetitività e orario”, che “si spiega e si giustifica proprio e soltanto in considerazione della natura non premeditata dell’omicidio”. Forse lo zio scavò la buca poco prima e i genitori la accompagnarono a morire. Non è chiaro chi fece cosa: “Non ci sono elementi per dire che lo zio da solo abbia eseguito l’azione”. Nazia potrebbe averla tenuta ferma, oppure potrebbe essere stata lei direttamente a strangolare Saman. L’unica certezza è che furono tutti e tre coinvolti “nella concatenazione di eventi che ha condotto all’uccisione”.

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