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Il patriottismo secondo Mattarella, monito sulle carceri

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“Luci ed ombre” per l’Italia che entra nel 2025. Buio pesto invece in Ucraina e Medio Oriente sempre più sprofondati in guerre che a questo punto devono finire con il negoziato. Sergio Mattarella porta gli italiani nel nuovo anno richiamando la politica ai suoi doveri, al dialogo e alla mediazione per il bene del Paese. In 17 minuti di intervento in diretta televisiva il presidente della Repubblica sviluppa diverse analisi guardando negli occhi i cittadini per spiegare quanto siano importanti le responsabilità personali, cosa significhi il senso del dovere, in una parola: civismo.

“Tocca a tutti noi trasformare la speranza in realtà”, premette parlando dalla sala del Lucernario del Quirinale. Si tratta di un invito a non rimanere passivi, a non delegare sempre all’altro: “siamo chiamati a consolidare e sviluppare le ragioni poste dalla Costituzione alla base della comunità nazionale. È un’impresa – aggiunge – che si trasmette da una generazione all’altra. Perché la speranza non può tradursi soltanto in attesa inoperosa. La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte”. Ma se questa è la chiusa del suo tradizionale messaggio di fine anno, il cuore è nella parola “pace”, ripetuta più volte. Dopo aver ricordato con attento equilibrio le sofferenze della popolazione in Ucraina e a Gaza, senza dimenticare l’incubo che stanno vivendo gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, il capo dello Stato spiega che oggi più che mai “la pace grida la sua urgenza”. Una pace che, argomenta, “deve essere giusta e attenta al rispetto dei diritti umani” e mai “sottomissione”. E davanti alle “decine di migliaia di vittime civili che turbano tragicamente le nostre coscienze”, esorta a “raccogliere” l’invito del Papa “a credere nel dialogo e nella pace”.

Francesco ancora una volta mostra una sintonia etica fortissima col presidente: “esprimo il mio grato apprezzamento a tutti coloro che nelle tante aree di conflitto lavorano per il dialogo e per i negoziati”, ripete all’Angelus. “Fratelli e sorelle, la guerra distrugge, distrugge sempre. La guerra è sempre una sconfitta, sempre”, aggiunge Bergoglio. Pace quindi. Pace giusta da trovare in fretta. Anche perché, e qui Mattarella innesta un’altra riflessione assai politica, “la crescita della spesa in armamenti ha toccato quest’anno la cifra record di 2.443 miliardi di dollari. Otto volte di più di quanto stanziato alla recente Cop 29 per contrastare il cambiamento climatico, esigenza, questa, vitale per l’umanità. E’ una sconfortante sproporzione”. Esaurito il cuore del messaggio, il presidente passa ad una riflessione sul “patriottismo”, parola tanto usata, e forse abusata, in questi anni di sovranismo. Mattarella gli dà corpo e sostanza, la inserisce nella realtà, nelle professioni, nell’operosità della gente. “Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza.

Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie”. Ma soprattutto valorizza il termine con un pensiero controcorrente: “È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità”.

Quindi si passa alle “ombre” e Mattarella dà la scossa alla politica: sanità, sicurezza sul lavoro, carceri inumane, femminicidi. Certo, il presidente ha l’obiettivo di stimolare e non deprimere il Paese, e quindi prima ricorda che non va malaccio, l’occupazione cresce e l’export tira. Ma è solo uno zuccherino che fa capire come adesso le istituzioni debbano rimboccarsi le maniche per curare piaghe dolorose: come quella delle liste d’attesa dai tempi inaccettabili che costringono in molti, in troppi, “a rinunciare alle cure”; oppure le condizioni delle carceri che sono “inammissibili”. “I detenuti – incalza il presidente – devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Parole che hanno ricordato ai giornalisti quelle pronunciate dal sottosegretario Andrea Delmastro, che tante polemiche provocarono poco tempo fa: “Non lasciamo respirare chi è dietro quel vetro”, disse alla presentazione di una nuova auto per il trasporto di detenuti al regime del 41 bis. E infine in tempi di riforma dell’Autonomia, il divario tra nord e sud rimane inaccettabile soprattutto per quanto riguarda i servizi.

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Comunali a Bolzano: Corrarati avanti con il 36,5%, Andriollo al 27,6% dopo 75 sezioni scrutinate

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Con lo scrutinio ormai quasi completato, Claudio Corrarati, candidato sindaco del centrodestra, si conferma in netto vantaggio alle elezioni comunali di Bolzano. Dopo lo spoglio di 75 sezioni su 80, l’ex presidente della Cna ha raggiunto il 36,5%, mentre il suo principale sfidante, l’assessore uscente Juri Andriollo del centrosinistra, è fermo al 27,6%.

Nel capoluogo altoatesino, dove il voto è storicamente influenzato dalla composizione linguistica e territoriale eterogenea, il dato resta comunque soggetto a variazioni nelle ultime sezioni. Tuttavia, il vantaggio consolidato di Corrarati fa già pensare con concretezza a un ballottaggio tra due settimane, per il quale sarà decisivo il posizionamento della Svp. La Südtiroler Volkspartei, che governa già con il centrodestra in Provincia, potrebbe sostenere proprio Corrarati, rendendo per lui più agevole la sfida finale.

Il candidato della Svp Stephan Konder è attualmente in terza posizione con il 18,46%, seguito dall’assessore regionale Angelo Gennaccaro (La Civica) con il 12,30%.

A Merano, dopo lo scrutinio parziale (3 sezioni su 28), è avanti il sindaco uscente Dario Dal Medico, sostenuto da liste civiche di centrodestra, con il 38,9%. Lo tallona la sua attuale vice della Svp, Katharina Zeller, al 23,6%, possibile sfidante al ballottaggio.

Situazione ancora in evoluzione a Trento, dove lo scrutinio procede a rilento. Nella notte, nessuna delle 98 sezioni risultava ancora scrutinata. Il sindaco uscente del centrosinistra Franco Ianeselli è considerato favorito, ma una riconferma al primo turno appare difficile.

Il vero dato politico di questa tornata elettorale è però il crollo dell’affluenza. A Bolzano ha votato solo il 52,16% degli aventi diritto, contro il 60,65% del 2020, quando si votò su due giorni. A Trento, l’affluenza è scesa dal 60,98% al 49,93%. A livello provinciale ha votato in Alto Adige il 60% (contro il 65,4% del 2019) e in Trentino il 54,53% (contro il 64,08%).

 

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Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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Napoli laboratorio politico: consiglieri e assessori pronti a candidarsi alle regionali, Manfredi prepara il rimpasto

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Alle elezioni regionali d’autunno la città di Napoli potrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio politico. Almeno dieci consiglieri comunali e tre assessori dell’attuale amministrazione guidata dal sindaco Gaetano Manfredisono pronti a scendere in campo, con lo stesso Manfredi che guarda già al rimpasto di Giunta dopo il voto. Si preannuncia dunque una rivoluzione politica tra gli scranni di Palazzo San Giacomo e nei futuri equilibri regionali.

Il fronte progressista: la coalizione plurale e l’ipotesi Fico

Nel campo del centrosinistra, il candidato alla presidenza della Regione Campania potrebbe essere Roberto Fico, ex Presidente della Camera. Una candidatura che ha il sostegno del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e di Manfredi stesso, garante di una coalizione plurale. Il nome di Fico rassicura sia per il suo profilo istituzionale, sia per la capacità di dialogo trasversale: d’altronde fu incaricato dal presidente Sergio Mattarella di tentare due esplorazioni di governo.

Manfredi accompagnerà la candidatura con un’agenda politica centrata su Napoli e la sua area metropolitana, che rappresentano il 60% del peso elettorale regionale. Ogni partito presenterà la sua lista, e in caso di vittoria del centrosinistra, il risultato determinerà anche la spartizione degli incarichi.

I nomi nella lista del presidente e i candidati dei partiti

Nella lista del Presidente, che sarà il contenitore civico a sostegno della coalizione, correranno diversi volti noti dell’amministrazione Manfredi. Tra i sicuri candidati ci sono:

  • Nino Simeone, presidente della commissione Infrastrutture;

  • Walter Savarese d’Atri, in ticket con Angela Cammarota;

  • Fulvio Fucito, in uscita dalla lista Manfredi sindaco;

  • Roberto Minopoli, in quota centrista.

Tra gli assessori, Edoardo Cosenza (Infrastrutture) potrebbe sostenere Simeone, mentre la candidatura della vicesindaca Laura Lieto appare poco probabile, vista la sua centralità nei progetti urbanistici.

Il M5S dovrebbe candidare Luca Trapanese (Politiche sociali), Emanuela Ferrante (Sport), e i consiglieri Salvatore Flocco e Claudio Cecere. Ci pensa anche Enza Amato, presidente del Consiglio comunale.

Nel Pd spinge Salvatore Madonna, vicino a Mario Casillo, mentre Avs schiererà Rosario Andreozzi e Luigi Carbone, affiancato da Roberta Gaeta. In campo anche Pasquale Sannino per il Psi e un possibile ticket moderato tra Annamaria Maisto e Armando Cesaro.

Il centrodestra tra incertezze e scommesse

Sul fronte opposto, Forza Italia dovrebbe puntare su Salvatore Guangi, con forti pressioni su Catello Maresca, ex magistrato e nome spendibile anche per ruoli di vertice, sponsorizzato dal deputato Cosimo Silvestro. La Lega schiererà Domenico Brescia e Bianca D’Angelo, moglie dell’ex parlamentare Enzo Rivellini. Ancora nessun nome certo per il candidato presidente.

L’effervescenza politica napoletana, trasversale agli schieramenti, preannuncia una campagna elettorale caldissima e piena di incroci tra Palazzo San Giacomo e la futura sede del Consiglio regionale.

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