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Politica

Anno intenso per la Rai, si parte dal nodo presidenza

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Le prime settimane del 2025 saranno subito intese per la Rai, che spera di risolvere il prima possibile il rebus presidenza. L’obiettivo è raggiungere un accordo prima del Festival di Sanremo, in programma dall’11 al 15 febbraio, ma l’intesa appare ancora tutta da costruire. Dopo il rifiuto della minoranza di convergere sul nome di Simona Agnes, la maggioranza ha deciso di disertare le riunioni della Commissione di Vigilanza, la cui attività è di fatto bloccata. Agnes ha recentemente ribadito la sua disponibilità a ricoprire il ruolo di garanzia e Forza Italia, che non vuole cambiare candidato, spera che dalla minoranza arrivino i due voti necessari a raggiungere il quorum dei due terzi.

Dopo i no del Movimento 5 Stelle, sono circolate indiscrezioni su un possibile ammorbidimento di Avs, smentite dai diretti interessati. Gli occhi sono ora rivolti ai due membri di Italia Viva, che però per il momento hanno fatto blocco unico con gli alleati. Non è escluso, quindi, che la maggioranza sia costretta a trovare un nome nuovo, anche perché il Pd continua ad insistere sulla necessità che si affronti prima il tema della riforma. L’orizzonte per arrivare a una nuova legge è agosto, quando entrerà in vigore il Media Freedom Act, che introduce nuove garanzie di indipendenza per la governance. I lavori sono stati incardinati in Commissione al Senato, dove sono stati depositati i disegni di legge delle diverse forze politiche. Negli Stati Generali sono state raggiunte alcune convergenze di massima, quantomeno sulla necessità di superare il rapporto diretto tra vertice e governo. Il percorso è, però, ancora lungo perché ci sarà una prima fase di audizioni e poi una sintesi da parte dei relatori per tentare di arrivare a una proposta il più possibile condivisa.

Improbabile, dunque, che si possa attendere la conclusione del percorso per sbloccare il nodo presidenza, anche perché un accordo tra i due schieramenti e all’interno della stessa maggioranza appare necessario per sbloccare le nomine alle testate, ai generi e nel settore corporate che l’amministratore delegato Giampaolo Rossi vuole archiviare al più presto per portare avanti il suo progetto. Il tentativo di arrivare a una definizione prima della pausa estiva si è arenato di fronte all’incertezza del quadro politico, rendendo così necessario l’affidamento ad interim di Tg3, Tgr e RaiSport. Il tg della terza rete viene ritenuto una possibile contropartita nella trattativa sulla presidenza, mentre per le altre caselle occorrerà trovare un equilibrio tra le forze di maggioranza, che continuano a rivendicare posizioni per la propria parte politica. Sono molte le direzioni da assegnare, per l’uscita dei responsabili per limite di età o per scelta editoriale.

E’ nei centri nevralgici in cui si decide l’offerta che si vuole intervenire, assegnando tra l’altro un nuovo ruolo di coordinamento a Stefano Coletta, per rilanciare il prodotto e non ripetere gli errori commessi in un contesto reso sempre più competitivo dall’ingresso dei grandi operatori stranieri. C’è grande attesa, in questo contesto, per il primo Sanremo dell’era post Amadeus, segnata da ascolti stellari. Al conduttore e direttore artistico Carlo Conti il compito di confermare il gradimento della kermesse che ha un ruolo centrale nella programmazione Rai. La disputa giudiziaria sulla possibile assegnazione con gara del festival sarà uno degli elementi che segneranno il 2025 della tv pubblica. In attesa di conoscere il nuovo palinsesto, il primo del nuovo board Rai, l’inverno e la primavera saranno segnati dal nuovo varietà di Rai1 Come Prima Più Di Prima, dal ritorno di Alessia Marcuzzi da marzo su Rai2 con Surprise Surprise, dallo show comico Ce Lo Chiede L’Europa di Enrico Brignano, oltre che dal ritorno di Stasera Tutto è Possibile con Stefano De Martino e di Stasera C’è Cattelan.

Su Rai3, invece, a marzo arriverà Piero Chiambretti col nuovo programma Finché La Barca Va. In casa Rai a tenere banco è la trattativa sul rinnovo del contratto che i dipendenti sperano di portare a casa, ora che la spending review per i prossimi anni, decisa con la manovra, è stata dirottata sulle consulenze esterne e l’avanzamento del progetto di ristrutturazione di Viale Mazzini, che porterà al trasferimento temporaneo del personale in un’altra sede a sud di Roma. Sul fronte dell’implementazione del piano industriale, è centrale il progetto di fusione tra le torri di Rai Way e Ei Towers che hanno da poco siglato un protocollo d’intesa.

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Politica

Lega va avanti su Autonomia, legge delega al prossimo Cdm

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Con passo da maratoneta, la Lega non molla e va avanti sull’attuazione dell’Autonomia differenziata, sua battaglia storica. Il padrino della riforma, il ministro Roberto Calderoli, è pronto con la legge delega per la determinazione dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione. La presenterà al Consiglio dei ministri la prossima settimana, al massimo quella successiva. Il responsabile degli Affari regionali e dell’Autonomia l’ha detto nel suo mini tour tra Trento e Bolzano, dove oggi si vota per le Comunali. In effetti, dopo i ritocchi fatti alla legge originaria e imposti dalla Corte Costituzionale che, nella sentenza di dicembre, ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti, la delega è pronta per il passaggio a Palazzo Chigi e subito dopo in Parlamento.

Nel testo vengono individuati – distinti per funzioni e non più per materie, come indicato dalla Consulta – gli standard minimi di servizio pubblico che sono indispensabili a garantire, da Nord a Sud, i diritti civili e sociali che la Costituzione tutela. Si va dal lavoro al diritto all’istruzione, dall’ urbanistica alle reti di trasporto fino ad ambiente ed energia. Per Calderoli, l’obiettivo è chiudere la partita entro fine anno. Parallelamente procede l’altro fronte: quello delle negoziazioni sulle materie non Lep avviate con 4 regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria) che hanno chiesto forme differenziate di autonomia. Superate le riserve di alcuni ministeri (non guidati dalla Lega) su alcune funzioni come la Protezione civile, si prosegue e chissà che anche gli alleati più dubbiosi possano cedere. Specialmente Forza Italia, spinta dagli amministratori del Sud che temono disparità rispetto al più ricco Nord.

Apparentemente, si avvera l’auspicio di Matteo Salvini che, anche al congresso della Lega di aprile, ha associato l’Autonomia alla riforma del Premierato: “Vanno insieme, mano nella mano”. Un binomio che, secondo le opposizioni, tradisce uno scambio tra FdI e Lega. Di certo, il Presidenzialismo sta a cuore alla premier Giorgia Meloni che l’ha ribadito di recente all’AdnKronos (“Ci riusciremo”). E anche oggi i vertici del suo partito insistono sul fatto che la priorità sia la “madre di tutte le riforme” (nel copyright di Meloni), più della legge elettorale. A tirare in ballo, implicitamente, il sistema di voto sono state le parole della premier tentata da un secondo mandato.

Tuttavia, è innegabile che una riforma che potenzi i poteri del capo del governo debba definire anche il resto dell’architettura istituzionale del Paese, a partire proprio dalla legge elettorale. Il centrodestra ci sta ragionando, anche considerando che il premierato da 10 mesi è di fatto in standby alla Camera (al secondo dei 4 passaggi richiesti) e che è difficilissimo che l’iter si chiuda entro fine legislatura e si voti il referendum confermativo.

La bozza a cui si sta lavorando prevede di cancellare i collegi uninominali (anche nell’ottica di evitare il rischio di alleanze che tenterebbero il centrosinistra specie al Sud), puntare a una legge proporzionale con un premio di maggioranza del 15% per la coalizione che superi la soglia del 40%, indicare sulla scheda il candidato Premier della coalizione e fissare una soglia di sbarramento per i partiti più piccoli attorno al 3% e non oltre il 5%. Ma più fonti del centrodestra assicurano che non ci sono novità all’orizzonte, né confronti a breve.

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Politica

Napoli laboratorio politico: consiglieri e assessori pronti a candidarsi alle regionali, Manfredi prepara il rimpasto

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Alle elezioni regionali d’autunno la città di Napoli potrebbe trasformarsi in un vero e proprio laboratorio politico. Almeno dieci consiglieri comunali e tre assessori dell’attuale amministrazione guidata dal sindaco Gaetano Manfredisono pronti a scendere in campo, con lo stesso Manfredi che guarda già al rimpasto di Giunta dopo il voto. Si preannuncia dunque una rivoluzione politica tra gli scranni di Palazzo San Giacomo e nei futuri equilibri regionali.

Il fronte progressista: la coalizione plurale e l’ipotesi Fico

Nel campo del centrosinistra, il candidato alla presidenza della Regione Campania potrebbe essere Roberto Fico, ex Presidente della Camera. Una candidatura che ha il sostegno del Movimento 5 Stelle, del Partito Democratico e di Manfredi stesso, garante di una coalizione plurale. Il nome di Fico rassicura sia per il suo profilo istituzionale, sia per la capacità di dialogo trasversale: d’altronde fu incaricato dal presidente Sergio Mattarella di tentare due esplorazioni di governo.

Manfredi accompagnerà la candidatura con un’agenda politica centrata su Napoli e la sua area metropolitana, che rappresentano il 60% del peso elettorale regionale. Ogni partito presenterà la sua lista, e in caso di vittoria del centrosinistra, il risultato determinerà anche la spartizione degli incarichi.

I nomi nella lista del presidente e i candidati dei partiti

Nella lista del Presidente, che sarà il contenitore civico a sostegno della coalizione, correranno diversi volti noti dell’amministrazione Manfredi. Tra i sicuri candidati ci sono:

  • Nino Simeone, presidente della commissione Infrastrutture;

  • Walter Savarese d’Atri, in ticket con Angela Cammarota;

  • Fulvio Fucito, in uscita dalla lista Manfredi sindaco;

  • Roberto Minopoli, in quota centrista.

Tra gli assessori, Edoardo Cosenza (Infrastrutture) potrebbe sostenere Simeone, mentre la candidatura della vicesindaca Laura Lieto appare poco probabile, vista la sua centralità nei progetti urbanistici.

Il M5S dovrebbe candidare Luca Trapanese (Politiche sociali), Emanuela Ferrante (Sport), e i consiglieri Salvatore Flocco e Claudio Cecere. Ci pensa anche Enza Amato, presidente del Consiglio comunale.

Nel Pd spinge Salvatore Madonna, vicino a Mario Casillo, mentre Avs schiererà Rosario Andreozzi e Luigi Carbone, affiancato da Roberta Gaeta. In campo anche Pasquale Sannino per il Psi e un possibile ticket moderato tra Annamaria Maisto e Armando Cesaro.

Il centrodestra tra incertezze e scommesse

Sul fronte opposto, Forza Italia dovrebbe puntare su Salvatore Guangi, con forti pressioni su Catello Maresca, ex magistrato e nome spendibile anche per ruoli di vertice, sponsorizzato dal deputato Cosimo Silvestro. La Lega schiererà Domenico Brescia e Bianca D’Angelo, moglie dell’ex parlamentare Enzo Rivellini. Ancora nessun nome certo per il candidato presidente.

L’effervescenza politica napoletana, trasversale agli schieramenti, preannuncia una campagna elettorale caldissima e piena di incroci tra Palazzo San Giacomo e la futura sede del Consiglio regionale.

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Politica

Gianni Petrucci: “Non mi candido, ma il Coni ha bisogno di cambiare rotta”

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L’ex presidente del Coni rompe gli indugi in un’intervista al Corriere della Sera: “Serve più dialogo con la politica e meno autoreferenzialità. E vi dico chi dovrebbe entrare in Giunta”

A un mese esatto dalla chiusura delle candidature per la successione a Giovanni Malagò alla presidenza del Coni, Gianni Petrucci, storico numero uno dello sport italiano per 14 anni e attuale presidente della Federbasket, rompe il silenzio e interviene nel dibattito con la sua consueta schiettezza.

“Non mi candido, ma voglio dire la mia”

«Non mi interessa la presidenza, né un ruolo di vice, né la Giunta. Ho già dato. Sono uno spirito libero e posso permettermi di dire quello che penso e che provo», chiarisce subito Petrucci. Una risposta definitiva? «Sì, soprattutto se le cose vanno avanti come stanno andando: male».

“Rapporto col governo da ricostruire”

Petrucci denuncia una classe dirigente sportiva troppo autoreferenziale e in contrasto permanente con la politica: «Il Coni non è più quello di una volta. Ora la cassa la tiene lo Stato, e con lo Stato bisogna dialogare. Soprattutto le piccole e medie federazioni, che vivono di contributi pubblici».

Contesta anche i trionfalismi: «Non sono i dirigenti a vincere medaglie, ma atleti, tecnici, società e lo Stato che li finanzia. Dobbiamo essere meno presuntuosi e capire che la nostra autonomia è di secondo grado».

“Il prossimo presidente? Serve discontinuità”

Chi si candiderà dovrà “ripassare Einstein”, dice ironico: «Bisogna cambiare quando necessario. Basta guerre con la politica. Serve autorevolezza e pesi massimi in Giunta».

E qui Petrucci fa nomi e cognomi: «Gravina o Marotta vicepresidente, e in Giunta Binaghi e Barelli, dirigenti di federazioni che funzionano. Come puoi pensare a un Coni forte senza di loro?».

“Buonfiglio? Ha coraggio, ma serve un altro profilo”

Senza citarlo apertamente, Petrucci mette in discussione la candidatura di Luciano Buonfiglio, presidente della Canoa e sponsorizzato da Malagò: «Conosco il curriculum degli ex presidenti del Coni in rapporto al suo. Se ha i voti, buon per lui. Ma il concetto che il presidente debba essere “uno dei nostri” è provinciale. Dobbiamo aprirci».

“Abodi? Servono impianti. E un piano quadriennale”

Al ministro dello Sport Petrucci chiede «un programma chiaro e aiuti per gli impianti, che sono in condizioni disastrose». E su Diana Bianchedi taglia corto: «Mi sembra già dimenticata». Su Luca Pancalli: «Ci sono rimasto male quando non ci ha dato i paralimpici, ma vedremo il programma».

“Malagò promosso sul piano umano, ma…”

Il giudizio su Malagò è diplomatico: «Promosso per il rapporto umano e per la sua conoscenza dello sport, ma sul piano politico mi astengo». E chiude con una battuta sul padre del presidente uscente: «Un grandissimo dirigente sportivo. Da lui ho comprato un’auto nuova, non usata».

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