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Cronache

Corpo carbonizzato dell’insegnante in auto, fermato un 82enne per omicidio a Baia Domizia

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Ci sarebbe un vecchio debito alla base dell’omicidio del 58enne docente Pietro Caprio, il cui corpo carbonizzato è stato trovato ieri pomeriggio, verso ora di pranzo, in un’auto bruciata a Baia Domizia, località balneare del comune di Cellole (Caserta). Ne sono convinti gli inquirenti – carabinieri della Compagnia di Sessa Aurunca e Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere – che poche ore dopo il ritrovamento dei resti hanno fermato il presunto omicida, un pensionato di 82 anni, con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e distruzione di cadavere. Proprio il sospettato, in caserma, ha parlato del vecchio debito che aveva con la vittima, da lui definito “un benefattore”.

Probabilmente martedì l’anziano comparirà davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale sammaritano per l’udienza di convalida del fermo disposto dalla Procura (sostituti Chiara Esposito e Gionata Fiore e procuratore Pierpaolo Bruni). Ad accendere sospetti sull’ex operaio nonché agricoltore sono state le immagini di alcune telecamere di videosorveglianza comunali, che hanno ripreso la Fiat Palio del presunto assassino e la Dacia Duster della vittima imboccare insieme poco dopo le 14 di venerdì tre novembre via Pietre Bianche, una stradina di campagna di Baia Domizia; la Palio dell’anziano è stata poi vista mentre intorno alle 14.30 usciva dalla stradina. Poco meno di 24 ore dopo, all’ora di pranzo di sabato 4 novembre, è stata fatta la macabra scoperta della Duster bruciata con all’interno quel che restava – qualche arto e la mandibola – di Caprio.

L’82enne ha però negato di aver usato l’auto: “ero a casa in quelle ore” ha detto, assistito dal suo avvocato Gabriele Gallo, ai pm Esposito e Fiore, per poi avvalersi della facoltà di non rispondere; la sua versione non è stata ritenuta attendibile, e per questo è scattato il fermo e ora l’anziano si trova in cella. L’ipotesi investigativa è che i due si siano incontrati per definire la vicenda del debito che l’82enne aveva con Caprio, e che risale a diversi anni fa; una vicenda che lo stesso 82enne ha raccontato ai pm, riferendo che nel 2002 il docente gli aveva prestato 10mila euro, e come nel tempo gli avesse restituito una somma superiore, 50mila euro, estinguendo il debito a settembre 2023.

Proprio il marcato divario tra le due cifre ha insospettito gli inquirenti, che hanno deciso di sottoporre l’82enne a fermo di indiziato. Sarà l’esame autoptico del corpo di Caprio a chiarire le cause della morte del 58enne. All’anziano inoltre i carabinieri hanno sequestrato la Palio e due fucili da caccia, sui quali saranno effettuati accertamenti tecnico-balistici per verificare l’eventuale utilizzo di una delle armi nell’azione delittuosa. Il paesino di Cellole intanto è sotto choc per l’accaduto. Caprio, docente di educazione fisica presso un istituto superiore di Minturno (Latina), era molto conosciuto e descritto come una persona tranquilla e riservata; viveva da solo nello stesso stabile della madre 83enne, intestataria dell’auto in cui il figlio è stato trovato morto, e della moglie, dalla quale si sarebbe separato. In estate lavorava come bagnino in un lido di Baia Domizia.

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‘Ndrangheta e droga, sospeso finanziere

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C’é anche un appartenente alla Guardia di finanza tra le 142 persone indagate nell’inchiesta “Recovery”, su ‘ndrangheta e traffico di sostanze stupefacenti a Cosenza, condotta dalla Dda di Catanzaro. Il finanziere coinvolto é E. D.. A suo carico é stata applicata la misura interdittiva della sospensione dal servizio . La gran parte delle persone coinvolte nell’operazione scaturita dall’inchiesta sono state condotte in carcere. Per 20 sono stati disposti gli arresti domiciliari e per altre 12 l’obbligo di dimora e di firma.

Ovviamente la sospensione del finanziere non è una sentenza di condanna ma una misura cautelare che nulla toglie alla presunzione innocenza.

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Intrighi e accuse di corruzione a Genova, Spinelli dice: pagavo tutti i partiti, Toti mi ha preso in giro

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Gli interrogatori di garanzia di Roberto Spinelli e di suo padre Aldo hanno rivelato dettagli intriganti su una storia di presunta corruzione che intreccia politica, affari familiari e lotta per il potere nelle dinamiche portuali di Genova. Durante gli interrogatori, che hanno durato poco più di un’ora ciascuno, si è delineata una difesa incentrata sulla vulnerabilità personale di Aldo Spinelli, nonostante l’apparenza di un uomo in salute e determinato all’età di 84 anni.

La vicenda giudiziaria ha preso una svolta significativa quando Aldo Spinelli ha accusato apertamente il governatore Giovanni Toti di averlo ingannato, affermando di essere stato “preso in giro” in relazione alla concessione demaniale del terminal Rinfuse, per il quale avrebbe pagato tangenti per ottenere favori. Questa concessione ha permesso alla sua azienda, Spinelli srl, di aumentare notevolmente il proprio valore di mercato.

Inoltre, Aldo ha messo in luce promesse non mantenute riguardanti la privatizzazione di un tratto di spiaggia a Varazze, una situazione complicata dalla direttiva europea Bolkestein sulla gestione delle coste, che ha impedito qualsiasi sviluppo immobiliare in quell’area. Questo ha sollevato questioni su come le politiche e le regolamentazioni possano influenzare significativamente gli investimenti e le decisioni aziendali.

I legami tra Aldo Spinelli e Paolo Signorini, ex presidente dell’Autorità portuale e unico detenuto in questa vicenda, emergono come particolarmente intensi. Spinelli sostiene di aver aiutato Signorini, considerato amico, in momenti di difficoltà economica, fino a pagare il catering per il matrimonio della figlia di Signorini, con un totale di regali e benefit promessi per quasi 400 mila euro.

Queste accuse si estendono oltre il contesto familiare, mostrando come Aldo Spinelli abbia cercato di mantenere un’influenza nel porto che ha plasmato gran parte della sua carriera e vita. L’imprenditore genovese afferma di aver finanziato legalmente diverse figure politiche, inclusa Emma Bonino, nonostante non la conoscesse personalmente, il che solleva domande sulla natura dei finanziamenti politici e delle relazioni imprenditoriali.

Roberto Spinelli, difeso anch’esso dall’avvocato Andrea Vernazza e coinvolto nelle vicende giudiziarie del padre, ha espresso rispetto e difesa nei confronti di Aldo, evidenziando come il padre sia stato “tirato per la giacchetta” da molti, inclusi Toti e Signorini, in un momento di particolare vulnerabilità emotiva dopo la morte della moglie.

Al termine dell’interrogatorio, Aldo Spinelli ha lasciato l’aula con un’energia inalterata, dichiarando di meritare la libertà e di non essere preoccupato per i futuri sviluppi dell’inchiesta. Questa affermazione sottolinea una fiducia forse incrollabile o una sfiducia nel sistema che lo ha visto protagonista per decenni.

Questo caso solleva questioni profonde sulla corruzione, la solitudine e la lotta per il potere in un contesto dove la legge e le relazioni personali si intrecciano in modi spesso indistinguibili, lasciando una scia di domande senza risposta sulla legalità e l’etica nelle più alte sfere del potere economico e politico italiano.

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Camorra e riciclaggio, sequestrata la pizzeria “dal Presidente” in via dei Tribunali a Napoli

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Anche la società che gestisce la notissima pizzeria del centro storico di Napoli “dal Presidente”, che si trova in via dei Tribunali, sarebbe riconducibile al clan Contini: è quanto emerge dalle indagini del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli che hanno portato all’arresto di cinque persone (tre in carcere e due ai domiciliari). La Dda partenopea (pm Alessandra Converso e Daniela Varone) contesta il trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, aggravato dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare la camorra. La pizzeria è stata sequestrata dai finanzieri insieme con altri beni.

La pizzeria “Dal presidente”, chiamata così perché aperta dal pizzaiolo che preparò la pizza all’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, si trova in uno dei due decumani del capoluogo partenopeo, meta turistica tra le più frequentate in città. Il valore dei beni sequestrati oggi dai finanzieri ammonta a circa 3,5 milioni di euro. L’impresa di ristorazione sarebbe stata acquistata grazie all’apporto economico e alla “protezione” fornita da un esponente di spicco del clan, alla cui famiglia sarebbe stata destinata una parte dei relativi proventi anche dopo la sua detenzione conseguente a una condanna per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Le risultanze investigative e dei social network avrebbero permesso di stabilire che la società era gestita, di fatto, dal cognato del detenuto, anch’egli gravato da numerosi precedenti penali, il quale si sarebbe poi affrancato dalla joint venture criminale avviando una nuova attività nel campo della vendita di prodotti da forno. Le indagini, corroborate dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia, avrebbero consentito di appurare anche la fittizia intestazione di un’impresa individuale operante nel settore dei servizi turistici, che il precedente titolare sarebbe stato costretto a dismettere con minacce, percosse e intimidazioni, e di sette immobili di pregio siti nel capoluogo partenopeo. Gli indagati avrebbero reimpiegato nelle società di ristorazione e panificazione e nell’acquisto di beni immobili ben 412.435 euro versati in contanti con reiterate operazioni sui conti societari e personali. Il denaro è stato sequestrato oggi insieme con le quote delle società, l’impresa individuale e gli immobili intestati a prestanome: il valore complessivo è stato stimato in oltre 3,5 milioni di euro.

Come sempre facciamo, ribadiamo che tutte le persone citate in questo articolo e a vario titolo indagate perchè coinvolte nell’inchiesta sono da considerare innocenti, come prevede la nostra Costituzione.

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