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Economia

Bce alza i tassi di un quarto di punto, al 3,75%

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La Bce ha deciso di alzare i tassi d’interesse di un quarto di punto percentuale, portando il tasso sui rifinanziamenti principali al 3,75%, quello sui depositi al 3,25%, e quello sui prestiti marginali al 4%. Lo comunica l’Istituto centrale.

La Banca centrale europea ha “rallentato il suo ciclo di rialzo dei tassi d’interesse a un ritmo più moderato dello 0,25%, dopo tre grandi aumenti consecutivi dello 0,50%. Ma questo rallentamento non è una pausa e la banca ha ancora altri rialzi da fare”. Così Ben Laidler global markets strategist di eToro. “Questo eccezionale atteggiamento da falco – aggiunge – sosterrà per ora il rally dell’euro, ma alla fine potrebbe essere interrotto dal più rapido rallentamento della crescita globale che vediamo dietro l’angolo. A causa dell’impatto ritardato dell’aumento dei tassi d’interesse globali, dell’attuale crisi del sistema bancario e dell’imminente rallentamento del tetto del debito statunitense, l’Europa rimane la più vulnerabile a qualsiasi rallentamento della crescita globale”. Kevin Thozet di Carmignac sostiene che gli elementi “prospettici della dichiarazione indicano la fine del percorso di rialzo, con altri due rialzi di 25 punti base in programma. Insieme alla riduzione del programma di acquisto di asset, che terminerà a luglio. La luce in fondo al tunnel della fine dei rialzi dovrebbe essere di supporto per i mercati obbligazionari in generale. Mentre la fine dei reinvestimenti nell’ambito dell’App dovrebbe esercitare una pressione al rialzo sui rendimenti degli emittenti sovrani che hanno beneficiato maggiormente del programma, ossia i cosiddetti Paesi periferici”.

Il settimo rialzo consecutivo dei tassi da parte della Bce arriva sulla scia di “un’inflazione ancora alta nell’Eurozona: ad aprile l’inflazione complessiva è risalita per la prima volta in sei mesi al 7%, anche se la componente core è scesa al 5,6% per la prima volta da giugno 2022”, evidenzia Richard Flax di Moneyfarm. “La Bce – aggiunge – tiene conto del fatto che le banche dell’Eurozona hanno ridotto in modo significativo l’accesso al credito e prevede un possibile impatto sull’economia. Poiché il Fmi stima che l’inflazione non raggiungerà il target del 2% fino al 2025, la Banca Centrale dovrà intraprendere una delicata azione di bilanciamento, alla luce di un’inflazione persistente e della pressione sull’economia”. “La Bce ha nuovamente aumentato i tassi di interesse rendendo evidente che le pressioni inflazionistiche di fondo rimangono troppo forti e preoccupanti per il Consiglio direttivo”, sostiene Ed Hutchings di Aviva Investors. “La Bce – prosegue – continuerà a intraprendere tutte le azioni necessarie per realizzare il suo mandato e seguirà un approccio basato sui dati, il che al momento significa che ci saranno altri rialzi. L’annuncio della fine dell’Asset Purchase Program a luglio è stato un po’ più anticipato di quanto ci si aspettasse e questo potrebbe far salire ulteriormente i rendimenti dei titoli di Stato europei, soprattutto nelle aree geografiche più periferiche come l’Italia e la Grecia, dove in passato si è assistito al maggior numero di sostegni prolungati.”

La rata del mutuo (variabile) è salita parecchio, a volte quasi raddoppiando, a causa dei rialzi decisi dalla Bce per contrastare l’inflazione ma il mercato italiano dovrebbe comunque reggere nel corso dell’anno, adeguandosi a una situazione che si lascia alle spalle il decennio di tassi zero e tuttavia presenta tassi ancora accessibili rispetto ai picchi degli scorsi anni. Chi ha il mutuo a tasso fisso (la grande maggioranza di quelli in essere) non ha poi subito alcun effetto. Certo per le famiglie con il variabile o quelle che vogliono chiedere un prestito per l’acquisto di una casa, la strada è più in salita per far quadrare i conti. Con l’ulteriore aumento di 25 punti della Bce, la rata di un mutuo variabile ventennale di 160mila euro siglato un anno fa passa da 697 a 978 euro (+40%) mentre un trentennale dello stesso importo lievita da 475 a 753 euro (+63%). Da un lato il reddito disponibile è colpito dall’aumento dell’inflazione, dall’altro la crescita della rata induce a chiedere una somma minore o, per i redditi più bassi, a rinunciare all’acquisto. Come spiega Alessio Santarelli, direttore generale della divisione broking di Gruppo MutuiOnline e Ad di MutuiOnline S.p.A Mutuionline.it, i tassi restano comunque accessibili e “ancora relativamente sostenibili” e “su livelli comunque inferiori ai picchi degli anni fra il 2012 e il 2014”, “la domanda e l’offerta resteranno così” vitali anche quest’anno.

Peraltro “sul mercato si inizia a percepire che la Bce stia arrivando alla ‘vetta’ per poi riprendere a scendere lentamente nel corso del 2024”. Secondo il manager, “continua il trend degli ultimi mesi di richiesta delle surroghe” con una politica “commerciale delle banche più competitiva” che, pur in un calo generalizzato degli impieghi, “segnalano che gli istituti di credito continueranno” a puntare sui mutui nel corso dell’anno. Certamente, rispetto ai mesi scorsi, in un contesto di crisi generale “sono diminuiti gli importi richiesti ed è salito il reddito medio dei richiedenti” visto che l’aumento dell’inflazione pesa sui bilanci familiari. Tuttavia “l’aumento dell’occupazione stabile e i prezzi degli immobili che non hanno subito grossi ribassi” continuano a sostenere la domanda di mutui. Le stesse banche “stanno mettendo in campo delle politiche commerciali interessanti” e iniziative ad hoc sui giovani e sulla sostenibilità energetica.

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Economia

Gli atenei italiani perdono competitività, Harvard al top

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L’Italia sta perdendo competitività, a livello internazionale, nell’ambito dell’istruzione universitaria. A dirlo è l’edizione 2024 della classifica redatta annualmente dal Center World University Rankings (Cwur). Se è vero, infatti, che sono 67 le università italiane a figurare nella lista di quest’anno, il 75% di esse perde posizioni. L’ateneo romano La Sapienza – che guida la classifica italiana – perde otto posizioni, arenandosi al 124mo posto. Scendono anche l’Università di Padova e quella di Milano. Nella classifica di quest’anno, solo 16 atenei migliorano la propria performance rispetto allo scorso anno, mentre 51 perdono posizione. Il declino delle università italiane è dovuto al calo dei risultati della ricerca, in un contesto di crescente concorrenza globale da parte di università ben finanziate.

In particolare, le università cinesi stanno godendo di grandi investimenti statali al punto che il 95% dei 324 atenei cinesi ha visto un miglior posizionamento in classifica. Sapienza di Roma perde posizioni nella ricerca, ma migliora nella qualità dell’istruzione, nell’occupabilità e nella qualità degli indicatori delle facoltà. L’Università di Padova perde due posizioni e si piazza al 173mo posto, mentre l’Università di Milano scende di sei posizioni al 186mo posto, davanti all’Università di Bologna al numero 201 e all’Università di Torino al 245mo posto.

Completano la top ten italiana l’Università di Napoli Federico II (253), l’Università di Firenze (267), l’Università di Genova (286), l’Università di Pisa (288) e l’Università di Pavia (321). “È chiaro – commenta Nadim Mahassen, presidente del Center for World University Rankings – che la posizione dell’Italia nel campo dell’istruzione e della ricerca è sempre più sotto pressione a seguito della crescita dei sistemi di istruzione superiore in tutto il mondo; solo in Cina gli investimenti in ricerca sono cresciuti del 33%. Senza ulteriori investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, l’Italia rischia di diminuire ulteriormente in futuro le proprie performance”.

Sono quattro i parametri presi in considerazione dallo studio: qualità dell’istruzione (25%), occupabilità (25%), qualità dei docenti ( 10%) e ricerca (40%). Quest’anno sono state classificate 20.966 università e quelle che si sono classificate ai primi posti sono entrate nella lista ‘Global 2000,’ che comprende atenei ed enti di ricerca di 94 paesi. L’Europa rimane una potenza importante nella classifica, con 639 istituzioni tra le prime 2.000: 92 nel Regno Unito, 73 in Francia e 69 in Germania. La Russia conta 46 rappresentanti nel Global 2000 – tre in più rispetto allo scorso anno – con 18 atenei che salgono e 28 che scendono in classifica. A livello mondiale, per il tredicesimo anno consecutivo è Harvard l’università più prestigiosa secondo il Cwur, seguita dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) e da Stanford. Il quinto e quarto posto, invece, sono occupati da Cambridge e Oxford, le uniche due università pubbliche nella parte alta della classifica. A completare la top ten sono quattro università dell’Ivy League (Princeton, Columbia, Pennsylvania) e la Caltech di Pasadena. Nonostante gli Stati Uniti siano il paese più rappresentato nella classifica (con ben 329 atenei), sono anche loro sottopressione a causa della crescente competizione internazionale, soprattutto cinese.

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Bankitalia,commissari affiancano cda Banca Credito Popolare

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La Banca d’Italia ha nominato due commissari per affiancare i vertici della Banca di Credito Popolare evitando comunqueil loro azzeramento e lasciando la gestione agli organi aziendali dell’istituto di credito di Torre del greco (Napoli). In particolare, come spiega una nota, la Banca d’Italia ha “adottato una misura di intervento precoce”, disponendo “la nomina di Francesco Fioretto e Dino Donato Abate in qualità di Commissari in temporaneo affiancamento al Consiglio di amministrazione attualmente in carica, a far data dal 10 maggio 2024. I due Commissari coadiuveranno gli organi sociali nella realizzazione delle iniziative funzionali al pieno ripristino di un’operatività improntata ai principi di sana e prudente gestione”. “La gestione della Banca di Credito Popolare rimane affidata agli organi aziendali. Banca di Credito Popolare prosegue la propria attività”.

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Il Btp Valore chiude con una raccolta di 11 miliardi

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La quarta edizione del Btp Valore chiude con 11,2 miliardi sottoscritti da parte dei risparmiatori, che portano il totale del titolo riservato al retail, e lanciato nel giugno 2023, a una raccolta totale di quasi 65 miliardi. Abbastanza per validare la strategia di puntare sulle famiglie italiane nel finanziamento del debito pubblico, anche se con un fisiologico calo delle sottoscrizioni rispetto al record dell’emissione di marzo.

Nell’ultimo giorno di collocamento la domanda è stata pari a 970 milioni per 34.857 contratti, che portano la quarta emissione, iniziata lunedì 6 maggio, a 11,227 miliardi di euro e 384.295 contratti totali. A marzo il totale era stato di 18,316 miliardi, a ottobre 2023 17,19 miliardi e al debutto in giugno 18,191 miliardi. Un calo, quello delle sottoscrizioni dell’ultima emissione ‘speciale’, da mettere in conto vista la scadenza ravvicinata alla precedente, dettata probabilmente di sfruttare la finestra di opportunità di tassi di mercato ancora attraenti per i risparmiatori, che lo saranno di meno con l’approssimarsi della riduzione del costo del denaro da parte della Bce a giugno. La soglia che, a fine 2022, una volta superata aveva innescato la corsa dei risparmiatori a sottoscrivere titoli pubblici era il 3% del Btp triennale, che ora si sta riavvicinando a quel livello. Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva sottolineato il segnale di “fiducia” delle famiglie in vista della nuova emissione. “È un titolo che offre rendimenti interessanti, soluzioni interessanti con il pagamento degli interessi ogni tre mesi” – aveva detto Giorgetti – “il successo che abbiamo avuto fino a oggi testimonia questa fiducia. Questa è un’edizione straordinaria che non era prevista, ma vista la grande richiesta abbiamo deciso di replicare”.

L’aver superato i 10 miliardi, pur senza avvicinarsi al precedente record, rappresenta comunque un tassello della strategia che punta sul retail, rivendicata dalla premier Giorgia Meloni a gennaio, “auspichiamo che quelli che stanno messi un po’ meglio ci diano una mano a mantenere il debito italiano in mano italiana”. Per proseguire la strategia il Mef lavora dunque a costituire una curva di titoli dotata di sufficiente liquidità, una sorta di benchmark con obbligazioni che hanno il premio fedeltà (lo 0,8% del capitale investito per l’emissione appena conclusa) e lo step up: cedole che salgono nel tempo, nel caso dell’emissione di maggio dal 3,35% dei primi tre anni al 3,90% per gli ultimi tre. Tassi che offrono, rispetto all’emissione di marzo, qualcosa di più sul primo triennio (era 3,25%) e qualcosa di meno sui restanti tre anni (era 4%).

Una scelta – quella di pagare qualcosa in più in termini di rendimento, ma assicurandosi una platea di investitori aggiuntiva rispetto agli istituzionali – che visto il rientro delle prospettive d’inflazione costituisce una valida alternativa da offrire agli investitori retail rispetto al Btp Italia indicizzato all’andamento dei prezzi. E che aiuta in due direzioni: “dobbiamo rimettere gran parte del debito italiano in mani italiane”, aveva detto Meloni poche settimane fa. Più debito ai risparmiatori italiani vuol dire aver una base di investitori meno volatile – anche se più vulnerabile – se in futuro ci fossero scossoni. In secondo luogo, è un bacino in più cui attingere vista la mole imponente del debito da collocare quest’anno. Ben 360 miliardi di euro solo per il 2024, che da gennaio ad ora sono però già coperti per oltre il 40% grazie anche al contributo dei due Btp Valore collocati nel 2024 e, da ultimo, dell’emissione di Btp a tre, cinque, sette e 30 anni per oltre 9,25 miliardi.

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