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Occidente compatto al fianco di Kiev, raddoppiare aiuti

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A meno di una settimana dal primo anniversario della guerra, l’Occidente fa quadrato attorno a Kiev “fino alla vittoria”, consapevoli tuttavia che la guerra non finirà presto. Dalla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco arriva quindi l’indicazione di Nato, Ue e G7 a “raddoppiare” il sostegno, anche militare, all’Ucraina, perché “c’è il rischio che la Russia vinca”, spiega il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, mentre “Putin deve fallire”, è l’intenzione degli alleati, riassunta dalla leader Ue Ursula von der Leyen. Non è ancora il momento dell’invio di caccia, anche se – ne è convinto il ministro ucraino Dmytro Kuleba – prima o poi “l’Ucraina li riceverà, è solo una questione di tempo”.

“E sono sicuro – ha aggiunto – che la Gran Bretagna avrà un ruolo in questo”. Il premier britannico, Rishi Sunak, ha infatti sottolineato come finora “la risposta della comunità internazionale all’aggressione russa non sia stata abbastanza forte”, lasciando intravedere un possibile passo avanti in tal senso. Anche se alla riunione del G7, a margine della Conferenza, di jet “non si è parlato concretamente”, ha riferito Antonio Tajani, dopo aver incontrato Kuleba in un faccia a faccia per rassicurarlo sulla posizione italiana “mai cambiata” al fianco di Kiev. Le ostilità continuano ed è chiaro che al momento di una soluzione mediata del conflitto non se ne parla.

Mentre la risoluzione Onu da presentare la prossima settimana in Assemblea generale punta a mostrare l’isolamento di Mosca, è la Cina ad annunciare una sua iniziativa per “dare una chance alla pace”, come annunciato dal capo della diplomazia del Partito comunista cinese Wang Yi. Ma la posizione di Kiev è ferma: “Vogliamo la pace, ma non a tutti i costi. Non ai costi degli ucraini”, ha dichiarato Kuleba ribadendo l’inviolabilità territoriale del suo Paese. Stoltenberg è convinto che occorra “dare all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per vincere” la guerra: “Alcuni sono preoccupati che il nostro impegno possa portare a un’escalation”, ma il rischio “più grande è che Putin vinca”, dato che lo zar “non sta pianificando la pace, ma nuove offensive” e “cerca contatti con altri regimi autoritari come Iran e Corea del Nord”. Anche la vicepresidente Usa Kamala Harris ritiene che Putin “sbaglia se pensa che il tempo giochi in suo favore”. Al contrario, un anno dopo l’invasione “Kiev resiste ancora. La Russia è indebolita. L’alleanza atlantica è più forte che mai”. Parole, quelle della leader statunitense, che trasmettono una compattezza occidentale che nei fatti ha visto alti e bassi, soprattutto nel dibattito sulle forniture militari a favore dell’Ucraina. Voce fuori dal coro è il solito Viktor Orban che da Budapest prende le distanze dai partner, accusando l’Europa di essere già coinvolta nel conflitto sebbene “in maniera indiretta”.

Nella Nato resta invece in sospeso l’affaire Svezia e Finlandia, su cui la Turchia continua a opporsi. “Per noi l’adesione all’Alleanza è un atto di pace”, ha provato a spiegare la premier finlandese Sanna Marin, sostenuta in questo da Stoltenberg, che auspica la chiusura della pratica entro la prossima riunione dei leader Nato a Vilnius, l’11 e 12 luglio. A margine di Monaco, la prima riunione del G7 a guida giapponese infine chiede il ritiro dei russi e la creazione di una “zona franca” della centrale nucleare di Zaporizhzhia e sottolinea l’importanza di “espandere l’iniziativa sull’export di cereali dal mar Nero”, due fronti di cui l’Italia si è fatta promotrice. Intanto, si fa sempre più pressante la denuncia internazionale di crimini di guerra russi in Ucraina, documentati per la prima volta “formalmente” dagli Stati Uniti: “L’impegno è a chiederne conto a tutti i responsabili, compresi il presidente Putin e la leadership russa”, ribadisce il Gruppo dei Sette.

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Processo Maradona, la testimonianza shock di Villarejo: “Sedato senza esami. Ricovero in terapia intensiva trasformato in caos”

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Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.

Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.

Trattamento per astinenza e decisione di sedazione

Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.

«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.

Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”

Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.

Ricovero domiciliare e responsabilità

Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.

In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.

Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza

Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.

Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.

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Esercito libanese: smantellato il 90% delle strutture di Hezbollah nel sud Libano

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L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.

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Guterres ‘inorridito’ dagli attacchi in Darfur

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  Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “è inorridito dalla situazione sempre più catastrofica nel Darfur settentrionale, mentre continuano gli attacchi mortali alla sua capitale, Al-Fashir”. Lo ha detto il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. La città nel Sudan occidentale è sotto assedio da parte delle Forze di Supporto Rapido paramilitari, guidate dal generale Mohamed Hamdan Daglo, che da due anni combattono contro l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan. Il portavoce ha riferito che Guterres ha anche espresso preoccupazione per le segnalazioni di “molestie, intimidazioni e detenzione arbitraria di sfollati ai posti di blocco”. In questa situazione, l’entità dei bisogni è enorme, ha sottolineato Haq, citando le segnalazioni di “massacri” avvenuti negli ultimi giorni a Omdurman, nello stato di Khartoum.

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