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Politica

Governisti sconfitti, ora M5s rischia una nuova diaspora: 30 deputati pronti a lasciare Conte per Di Maio

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Fra lunghe riunioni, tensioni, spaccature e assemblee slittate piu’ volte, l’ottimismo dei governisti del M5s monta in giornata ma finisce per spegnersi quando Giuseppe Conte in serata si presenta su Facebook con un video in diretta per indicare la linea del suo partito emersa dopo un Consiglio nazionale di cinque ore. Si intuisce l’intenzione di andare verso un appoggio esterno all’esecutivo da quel riferimento all’indisponibilita’ di “condividere una responsabilita’ diretta di governo” senza le risposte “non pervenute” di Mario Draghi ai temi posti nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi. La soluzione e’ quella invocata da settimane dal fronte piu’ barricadero, con lo stesso spirito che ha portato alla decisione dell’Aventino sul dl aiuti. E rischia di chiudere in fretta gli spiragli che l’ala piu’ moderata del M5s ha cercato faticosamente di aprire, in infiniti e tesi confronti che a breve rischiano di produrre una nuova diaspora. Il timore diffuso nel Movimento e’ quello di una nuova diaspora, con una trentina di deputati su centoquattro pronti a lasciare per collocarsi altrove, non nel gruppo di Ipf di Luigi Di Maio ma nel Misto. Uno scenario complesso da gestire per Conte, impegnato questa sera in un’assemblea con i parlamentari in cui sono annunciate posizioni di dissenso da vari deputati. Gli alleati che lo hanno sentito in questi giorni lo definiscono molto tormentato e in difficolta’. Secondo i suoi critici la sua strategia alla fine sara’ perdente su due fronti, perche’ la caduta del governo potrebbe non impedire di perdere nuovi pezzi. I ‘contiani’, invece, puntano sulla difesa del dna del Movimento, sicuri che alla fine la strategia paghera’ dividendi. Di certo il processo decisionale si e’ trasformato in un confronto interno al partito che lascera’ il segno. Un braccio di ferro che sembra poter essere vinto dall’ala considerata piu’ dura: era risultata prevalente quando mercoledi’ si e’ deciso per l’Aventino al Senato e ora spinge per uscire dall’esecutivo, anche se non e’ piu’ sul tavolo l’ipotesi di ritirare i ministri prima che mercoledi’ Draghi si presenti alle Camere. Dall’altra i cosiddetti governisti, che considerano questa scelta non opportuna e propongono di prepararsi a votare la fiducia all’esecutivo se il premier Mario Draghi accettasse settimana prossima di sottoporsi a una verifica in Parlamento. Ne fa parte anche Federico D’Inca’. Che non e’ membro del Consiglio nazionale ma, con tempismo tutt’altro che casuale, proprio mentre era riunito l’organo politico del partito, ha diffuso un dossier in cui si descrive uno scenario “estremamente critico” nel caso di “dimissioni del governo”: i decreti legge pendenti in Parlamento che potrebbero subire uno stop e con le “riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022” che non giungerebbero al traguardo. Una mossa che ha dato forza al fronte di chi vuole evitare lo strappo. Ma non e’ bastata ai governisti per chiudere questo torrido sabato con la speranza di poter portare il partito a una mezza marcia indietro. Intanto, chiuso il Consiglio nazionale, il presidente di Conte ha deciso di convocare l’assemblea congiunta dei parlamentari nel tardo pomeriggio, slittata poi un paio di volte in serata a dopo il video di Conte, che potrebbe anche essere aggiornata. Quella dovrebbe essere la sede in cui definire la linea definitiva. Questa mossa dell’ex premier ha, di fatto, neutralizzato la riunione dei deputati – di conseguenza annullata – che era stata convocata dal capogruppo Davide Crippa. Crippa in questi giorni e’ stato decisamente critico con la linea tenuta dal leader, ed e’ ben noto che il gruppo dei 5s e’ ben piu’ diviso di quanto lo sia quello di Palazzo Madama, dove i senatori sono quasi tutti allineati sull’idea di mettere fine all’esperienza di questo governo. Alcuni di loro raccontano anche di un disagio legato a un atteggiamento “quasi di bullismo” da parte dei colleghi piu’ barricaderi. Emerge anche il malumore di chi, in questo dibattito piuttosto agitato, aspetta di sentire chiaramente la voce di Beppe Grillo, e chi invece sostiene che la posizione del garante non sia influente come un tempo.

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Politica

Mattarella: Resistenza non è feticcio ma responsabilità

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Le associazioni combattentistiche “sono l’anima perenne della memoria”: la loro opera è “preziosa” perchè voi trasmettete “il senso di quello che è avvenuto, la custodia della memoria senza farne un feticcio consegnato al solo ricordo, ma facendola vivere come consapevolezza civile, come educazione alla responsabilità. Un ponte ideale tra generazioni nell’attualità dei valori”. Sergio Mattarella chiude le celebrazioni per il 25 aprile con un ennesimo appello a non dimenticare quanto accaduto con la Resistenza e la Liberazione ma soprattutto con un invito a far si che questa data non diventi uno sterile appuntamento ma una spinta ad agire nel nome di quei valori. Ricevendo al Quirinale le associazioni combattentistiche e d’arma, il cui incontro era programmato per il 23 aprile, il presidente della Repubblica è tornato a sottolineare l’importanza della festa della Liberazione.

Infatti per il capo dello Stato il 25 aprile deve essere “un’eredità vissuta nel presente e trasformata in impegno per riflettere sull’attualità di quei valori, a cominciare dal rifiuto dell’indifferenza”. Ma non solo perchè, ha ricordato ancora Mattarella, la Liberazione sprigionò “energia morale” e fu “il frutto di un moto individuale delle coscienze che divenne espressione della dignità del nostro paese, del nostro popolo che non si lasciò sopraffare dalla barbarie”. La rievocazione del presidente con le associazioni combattenti è quindi giocata tutta sul valore degli ideali che portarono al 25 aprile, sulla necessità di non perdere la spinta propulsiva che generò. Infatti ha spiegato come “minacce in forme diverse che pretendono di porre in discussione i valori di democrazia, libertà e pace che furono alla base della Resistenza sono sempre presenti. Conflitti armati sempre più frequenti vicini ai confini dell’Europa.

Tensioni nei rapporti internazionali che con oblio della memoria rischiano di provocare crisi globali dalle conseguenze catastrofiche. Ecco perché – ha ripetuto – il 25 aprile non è mera occasione di formale omaggio”. Non poteva infine mancare un raccordo tra gli ideali di quei tempi e le prime visionarie idee sulla necessità di arrivare ad un Europa unita, unico vero baluardo contro i nazionalismi aggressivi di quell’epoca: “rendiamo onore ai protagonisti della Liberazione e della Resistenza che ci hanno condotto nella nuova Italia, libera, democratica e promotrice di quella che oggi è l’Unione europea, un’Italia protagonista della cooperazione internazionale”, ha concluso il presidente.

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Meloni, 650 milioni per la sicurezza e i salari crescono

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Di fronte alle morti sul lavoro “il cordoglio, ne siamo consapevoli, non basta”. Giorgia Meloni, in maniche di camicia, si affaccia via social dalle sale di Palazzo Chigi per annunciare un nuovo intervento per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Con un video diffuso proprio mentre i suoi ministri, compresa la titolare del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa raccontano il Consiglio dei ministri appena finito, la premier prende la parola con un oramai consueto videomessaggio. E’ la vigilia del primo maggio e il governo, dopo i provvedimenti degli scorsi anni, vuole dare un segnale ma stavolta si limita alle dichiarazioni di intenti. Anche perché, prima di “agire”, ci sarà un confronto con le parti sociali. Serve una “un’alleanza tra istituzioni, sindacati, associazioni datoriali per mettere la sicurezza sul lavoro in cima alle priorità dell’Italia”, dice la presidente del Consiglio, usando quasi le stesse parole che pronuncia la nuova segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola, unica a commentare accogliendo positivamente l’invito (via web) di Meloni.

La mattina dell’8 maggio ci sarà l’incontro per “raccogliere anche i suggerimenti” delle parti sociali “e rafforzare le misure che abbiamo previsto”. Sul tavolo ci potrebbe essere anche la proposta elaborata dalla commissione ad hoc del ministero della Giustizia, di riconoscere un “benefit penale” alle imprese virtuose. Era stata la stessa premier a preannunciare nuovi interventi ma non sono arrivati testi in Consiglio dei ministri. “Prima serve la concertazione”, dice anche Calderone proprio mentre scorrono i contenuti del video della premier, che annuncia ulteriori “650 milioni” che sono stati trovati “con l’Inail”, che portano la dote per la sicurezza sul lavoro a circa 1,2 miliardi. Risorse che potrebbero non bastare, tanto che si sarebbe alla ricerca di qualche centinaio di milioni in più, ma che intanto serviranno “per potenziare il sistema di incentivi e disincentivi per le imprese in base alla loro condotta in materia di sicurezza con particolare attenzione al mondo agricolo”, spiega Meloni, sottolineando l’importanza della “formazione dei lavoratori”.

Si renderà anche “strutturale” l’assicurazione Inail per studenti e docenti. Di fronte alle morti sul lavoro “non sono tollerabili né indifferenza né rassegnazione”, dice ancora la premier citando Sergio Mattarella. Meloni dà ragione al presidente della Repubblica, mettendo in fila quanto fatto fin qui dall’esecutivo, a partire dalla patente a punti che ora vale per l’edilizia ma, assicura Calderone, dovrebbe essere poi estesa “ad altri settori”. Le opposizioni, scettiche, puntano il dito soprattutto sul passaggio che Meloni fa sull’aumento dei salari. Quelli “reali crescono in controtendenza rispetto al passato” e c’è una dinamica che è “migliore non peggiore rispetto al resto d’Europa” dice la premier facendo un confronto tra “2013-2022” e quello che sta accadendo, da “ottobre 2023” quando la “tendenza” è cambiata”.

“Scopre l’acqua calda” perché ci sono stati dei rinnovi contrattuali ma con “i prezzi al consumo” saliti del “19,7%” tra “2021 e 2024” e un “aumento delle retribuzioni contrattuali dell’8,6%” il divario è “spaventoso”, fa i calcoli la responsabile Lavoro dei dem Cecilia Guerra. “La realtà è che le famiglie italiane non reggono l’aumento del costo della vita, come ha sottolineato il presidente Mattarella”, va all’attacco anche il presidente dei senatori Pd Francesco Boccia mentre la segretaria, Elly Schlein accusa Meloni di raccontare “un paese che non c’è”. Basta “decreti spot” dicono i capigruppo di Camera e Senato del M5s Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, che stigmatizza l’ipotesi di “benefit penale”. Ci sono i dati Istat che mostrano stipendi ancora a “-8% sul 2021”, la incalza anche Giuseppe Conte, ricordando anche “il 9% dei lavoratori full time in povertà” rilevati da Eurostat. “Meloni – ironizza il leader M5s – è andata a vivere su Marte, forse con l’aiuto di Musk”.

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Economia

A 15 anni in azienda, l’opposizione insorge

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Alla vigilia del primo maggio e nelle ore in cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella torna a puntare il dito contro la mancata sicurezza nei luoghi di lavoro, spunta una norma al decreto Pnrr-Scuola, ora all’esame della Commissione Cultura del Senato, in cui si anticipa l’alternanza scuola – lavoro al primo biennio degli istituti tecnici. “Cioè quando si hanno 15 anni e si è ancora in età di obbligo formativo”, spiega la senatrice del M5S Barbara Floridia, la prima a denunciare questa misura messa a punto dal governo.

Nel decreto, esattamente nell’allegato B del provvedimento, si dice testualmente che “nel primo biennio, oltre alle attività orientative collegate al mondo del lavoro e delle professioni, è possibile realizzare, a partire dalla seconda classe, i Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento”, cioè i Pcto che è l’acronimo usato per definire l’alternanza Scuola-Lavoro. Il che significa, insiste Floridia, che si potranno “spedire adolescenti sui luoghi di lavoro”, potenzialmente anche “in cantieri o ambienti ad alto rischio”, quando “dovrebbero essere protetti, formati, tutelati”. Significa, insomma che l’Esecutivo intende “mettere la logica dell’impresa prima di quella dell’ istruzione, della sicurezza e dei diritti”.

E nel dir questo, cita “tragedie” come quelle che “hanno colpito proprio studenti in alternanza come Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli”. Anche i sindacati, nelle varie audizioni in Commissione, hanno espresso forti perplessità nei confronti del decreto e della misura che anticipa i tirocini a 15 anni. La più dura è stata la Flc Cgil secondo la quale in questo modo “si privilegiano i raccordi con il mondo del lavoro e i contesti produttivi, mentre le attività didattiche risultano culturalmente impoverite, subordinate e funzionalizzate alle istanze formative avanzate dal contesto socioeconomico di appartenenza”. Ma non basta. Oltre a considerare gli studenti “solo in termini di braccia per lavorare” e non di persone alle quali va trasmessa una cultura e una formazione di base, come afferma il senatore di Avs, Tino Magni, la norma “esprime tutta la visione classista del governo e in primis del ministro della Scuola Valditara”, sottolinea il già ministro del Lavoro Andrea Orlando. “Anticipare il momento della scelta alla fase in cui un ragazzino è molto giovane – osserva Orlando – significa schiacciarlo nella sua dimensione di provenienza, alla sua origine sociale”.

Con buona pace della discussione sulla riforma della scuola, continua l’esponente Dem, che puntava proprio “a posticipare la scelta per evitare automatismi sociali”, cioè che il figlio dell’operaio fosse costretto a fare per forza l’operaio. Dice no ad una “professionalizzazione precoce di ragazze e ragazzi” anche la capogruppo Pd in Commissione, Cecilia D’Elia, che chiede, come Floridia, il ritiro della norma, mentre invita a investire di più “sul capitale umano, cioè su cultura e scuola”. “A 15 anni, ancora in età da obbligo formativo – insiste Magni – si deve stare a scuola e non in fabbrica o nelle aziende”. Un “ritorno” alla “scuola di classe” dove “c’era chi poteva studiare, mentre gli altri erano braccia per lavorare”, non è accettabile. “In vista del primo maggio”, è l’appello del capogruppo M5S in Commissione, Luca Pirondini, “Meloni trovi il coraggio” e “chieda al suo ministro Valditara il ritiro immediato di questa norma indecente”, perché “la scuola non è un serbatoio di forza lavoro gratuita. È il luogo in cui si formano i cittadini”.

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