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Esteri

Il Mali rompe con l’Europa, Mosca avanza in Africa

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Il Mali, che da tempo si e’ avvicinato alla Russia, annuncia la rottura degli accordi di difesa con la Francia e con i partner europei. Si apre cosi’ la strada al rafforzamento della presenza di Mosca, che da anni e’ impegnata ad espandersi in Africa nell’ambito della competizione strategica con l’Occidente, di cui la guerra in Ucraina rappresenta uno degli aspetti. Un portavoce della giunta militare di Bamako ha spiegato la decisione con quelli che ha definito i “flagranti attacchi” da parte delle forze francesi presenti nel Paese e “violazioni multiple” dello spazio aereo maliano. Parigi ha negato tali violazioni e ha giudicato “ingiustificata” la rottura. Le autorita’ maliane hanno sostanzialmente annullato la loro adesione allo Status of Force Agreements (Sofa) che stabilisce il quadro giuridico per la presenza delle task force straniere, la francese Barkhane e l’europea Takuba, nonche’ il trattato di cooperazione in materia di difesa concluso nel 2014 tra Mali e Francia. La cooperazione in materia di sicurezza era stata avviata dopo un’offensiva di forze jihadiste lanciata nel 2012, che aveva portato gli insorti ad impadronirsi di gran parte del Paese per poi espandersi anche in Burkina Faso e Niger. La rottura con gli europei e in particolare con la Francia era nell’aria da tempo e in febbraio Parigi aveva gia’ annunciato il ritiro delle sue truppe. I militari italiani sono gia’ rientrati, ha sottolineato in audizione alla Camera il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, perche’ la missione Takuba “e’ chiusa”. A determinarne la fine, ha sottolineato il ministro, sono state “le scelte della giunta militare di relazione con la Russia e l’ingresso delle milizie Wagner nel Paese”. Da parte loro la Francia e gli Usa affermano che miliziani di Wagner, una compagnia ufficialmente privata ma di fatto legata al Cremlino, sono presenti non solo in Mali – Paese gia’ alleato dell’Unione Sovietica durante la Guerra fredda – ma anche nella Repubblica Centrafricana, in Libia e, secondo alcuni esperti, in molti altri Paesi del continente, fino al Mozambico. Partendo dalla base che si e’ creata in Siria in seguito all’intervento del 2015, la Russia ha dato vita ad un’espansione verso il Nord Africa e i Paesi subsahariani, alimentata in primis dagli interessi militari, essendo Mosca il primo fornitore di armi al continente, con una quota di circa il 50%. Ma anche da quelli economici, specie nel campo energetico. Societa’ quali Rosneft, Lukoil e Gazprom hanno progetti in diversi Paesi. Ma l’interesse strategico ultimo per Mosca e’ assicurarsi il passaggio lungo la via marittima che dal Mar Nero e il Mediterraneo porta allo sbocco nell’Oceano Indiano, e quindi ai collegamenti con l’Asia, dopo avere attraversato il Canale di Suez e lo stretto di Bab al Mandab. Funzionali a questo progetto sono gli ottimi rapporti intrattenuti con l’Egitto, dove tra l’altro la societa’ russa Rosatom sta costruendo la centrale nucleare di El Dabaa per un investimento di 30 miliardi di dollari, mentre un progetto simile e’ previsto in Nigeria, con un investimento di 10 miliardi. La Russia punta inoltre ad un accordo con Khartoum per la costruzione di un nuovo scalo a Port Sudan, sul Mar Rosso.

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Hamas, giustiziati diversi saccheggiatori di cibo a Gaza

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Secondo numerose fonti palestinesi da Gaza, Hamas ha giustiziato diversi presunti saccheggiatori dopo diversi incidenti in cui bande armate hanno attaccato depositi di generi alimentari e mense nella Striscia. Ismail Al-Thawabta, direttore dell’ufficio stampa di Hamas, ha reso noto che sono state eseguite diverse “esecuzioni rivoluzionarie” contro “criminali di alto rango” il cui coinvolgimento nei saccheggi è stato dimostrato. Quindi ha spiegato che alcuni saccheggiatori hanno agito sotto l’egida di un clan, mentre altri come gruppi organizzati, alcuni dei quali, secondo lui, hanno ricevuto il sostegno diretto di Israele.

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Harry torna ad attaccare la monarchia: gelo totale con re Carlo dopo l’intervista alla BBC

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harry e meghan

«Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo», scriveva Tolstoj. E quella dei Windsor continua a dimostrarlo. Dopo l’intervista rilasciata dal principe Harry alla BBC, i rapporti con re Carlo sono ai minimi storici. Secondo fonti vicine a Buckingham Palace, le parole del duca di Sussex avrebbero ulteriormente inasprito le tensioni familiari, già esplose negli ultimi cinque anni.

LE PAROLE CHE HANNO FATTO INFURIARE BUCKINGHAM PALACE

Nel corso dell’intervista, Harry ha toccato temi delicati, parlando anche della malattia del padre. Un passaggio sul “tempo rimasto” a Carlo è stato giudicato da molti sudditi di pessimo gusto. «Non è il modo per ottenere una riconciliazione», ha commentato un residente di Windsor. In tanti ricordano l’esempio della regina Elisabetta, che mai avrebbe approvato un simile approccio mediatico.

Harry si è detto deluso per la revoca della scorta a lui, Meghan e ai loro figli. Una decisione che ritiene legata alla volontà della Corona di punire la loro scelta di lasciare il Regno Unito. E ha anche accennato velatamente alla morte di sua madre Diana, suggerendo che «c’è chi vuole che la storia si ripeta».

LO STRAPPO CON IL PADRE E LA CORTE

A peggiorare la situazione, la sconfitta di Harry alla Corte d’Appello di Londra, che ha confermato la legittimità della revoca della protezione armata. Il principe sostiene di essere vittima di una trappola governativa, e ha annunciato che scriverà alla ministra degli Interni Yvette Cooper e, se necessario, anche al premier Keir Starmer.

Il Palazzo ha reagito in modo inusuale con un comunicato ufficiale che, senza citare direttamente Harry, ha ricordato che la questione sicurezza è stata più volte valutata dai tribunali, con la stessa conclusione: nessuna protezione speciale per il principe.

IL CONGELAMENTO DEI RAPPORTI FAMILIARI

«Mio padre non mi parla più», ha ammesso Harry. «Ci sono membri della famiglia che non mi perdoneranno mai». Un riferimento diretto all’autobiografia Il minore e ad altre tensioni mai risolte. Harry ha anche detto di conoscere i nomi dei responsabili delle decisioni più dolorose.

Da parte della famiglia reale, la fiducia è ormai compromessa. Le parole del principe avrebbero convinto Buckingham Palace che non è più possibile alcun dialogo riservato. «Le sue dichiarazioni dimostrano che non ci si può fidare di lui», trapela da fonti vicine alla Corona. Il loro ultimo incontro risale al febbraio 2024, quando Harry volò a Londra per vedere il padre dopo l’annuncio della sua malattia. Ma quel fragile momento di riavvicinamento si è dissolto.

UN FUTURO SENZA RICONCILIAZIONE?

Harry ha ammesso di non credere più che potrà portare i suoi figli in Gran Bretagna, farli conoscere al nonno e legarli a quel Paese che pure fa parte del loro patrimonio culturale. A quanto pare, la volontà di normalizzazione a corte è oggi inesistente. E il principe resta, ancora una volta, più lontano che mai dalla sua famiglia.

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A Costanza tra Nato e ultradestra: la Romania divisa tra difesa occidentale e sovranismo populista

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Alle porte di Costanza, in Romania, le ruspe non si fermano mai. Anche di sabato, i cantieri sono in moto per ampliare la base aerea di Kogalniceanu, destinata a diventare il più grande presidio Nato in Europa. Il governo di Bucarest ha investito 2,5 miliardi di euro per rafforzare il fianco Est dell’Unione europea in chiave anti-Mosca. I cittadini, almeno per ora, sembrano approvare: «Ci sentiamo più protetti» dice Puio, ingegnere in pensione. «Porta lavoro», aggiunge George, saldatore.

LO STRAPPO ELETTORALE E L’OMBRA DELLA RUSSIA

Ma dietro questo consenso apparente, serpeggia la rabbia per la politica interna. Il primo turno delle elezioni presidenziali, tenutosi a novembre, è stato annullato dopo una sentenza shock della Corte costituzionale: accuse di ingerenze russe e irregolarità legate al candidato nazionalista Calin Georgescu (nella foto). Scomparso dalla scena pubblica, Georgescu resta un idolo dell’ultradestra romena. Anche se esplicitamente contrario alla Nato, in molti continuano a negarlo. «Sono fake news», assicura la professoressa Vasile Mandita.

IL VOTO DELL’ULTRADESTRA E LA SPINTA POPULISTA

Dalla regione della Dobrugia, Georgescu ha ottenuto i voti più alti. Ora, l’Aur, partito sovranista guidato da George Simion, punta a incassare quell’eredità politica. Simion ha promesso – con ambiguità – che in caso di vittoria nominerà Georgescu premier. E i suoi elettori lo prendono alla lettera: «Farà tutto quello che vuole Georgescu», ripetono. Simion è oggi il favorito, supportato anche da figure religiose controverse come l’arcivescovo Teodosio, noto per le sue simpatie filorusse e legami con i movimenti fascisti.

IL RITORNO DI PONTA E LA SFIDA A DUE TRA SOVRANISTI

In questo scenario s’inserisce anche Victor Ponta, ex premier e ora indipendente populista. A Isaccea, cittadina romena separata dall’Ucraina solo dal Danubio, dove sono caduti droni russi, la guerra non ha suscitato particolare empatia verso i profughi ucraini. «Lo Stato li aiutava più di noi», lamentano. E in molti ricordano le riforme economiche di Ponta, tra cui il taglio dell’Iva dal 24 al 19%.

Ora Ponta, definito un contorsionista della politica, si propone come nazionalista moderato ma competente, in contrapposizione a Simion. Se riuscirà a passare al ballottaggio, si prospetta una sfida tra due sovranisti, con implicazioni pericolose per l’equilibrio politico dell’Unione europea.

L’EUROPA GUARDA CON PREOCCUPAZIONE

Non è detto, però, che la sfida finale sarà tutta interna al fronte populista. A contendersi l’accesso al secondo turno ci sono anche due candidati europeisti: Nicusor Dan, sindaco di Bucarest, e Crin Antonescu, sostenuto dalla coalizione di governo. Ma la Romania sembra sempre più divisa tra lo slancio verso l’Occidente e le sirene del nazionalismo, tra la sicurezza assicurata dalla Nato e la retorica della Romania first.

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