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Economia

I venti di guerra spaventano le Borse, Milano -2%

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Il rischio congiunto dei venti di guerra in Ucraina e i timori per un rialzo dei tassi mondiali ha spaventato le Borse europee, che hanno chiuso con cali in genere superiori ai due punti percentuali dopo aver accusato in corso di giornata ribassi molto peggiori. Milano sulle tensioni di un possibile conflitto armato e’ arrivata a cedere quasi il 4% durante la seduta, per concludere con uno scivolone del 2%, mentre il prezzo del gas, dopo una fiammata iniziale, si e’ mantenuto su un calo del 4% attorno agli 80 euro al Megawattora. Male anche i mercati azionari asiatici, mentre Wall street si e’ mossa attorno alla parita’ per tutta la prima parte della seduta senza mostrare particolare interesse nei confronti di una crisi che si svolge a migliaia di chilometri di distanza dagli Stati Uniti. In Europa e’ stata cosi’ Madrid la Borsa peggiore, con una conclusione in calo del 2,5%, mentre Parigi e’ scesa del 2,2% e Francoforte di due punti percentuali. In ribasso dell’1,7% sia Amsterdam sia Londra, con Mosca che nei diversi indici ha segnato cali finali fino a quasi tre punti. L’indice Stoxx 600 che raggruppa i titoli maggiori del Vecchio continente ha cosi’ perso l’1,9%, che si traduce in 201 miliardi di capitalizzazione ‘bruciati’ nella seduta. Sui mercati prevalgono i temi dell’inflazione e della Russia, con “le trimestrali che fanno da contorno in un mercato che altrimenti avrebbe registrato maggiori correzioni”, affermano gli analisti di eToro, evidenziando come Goldman Sachs sull’aumento dei prezzi abbia modificato le previsioni “valutando ben 7 rialzi nel 2022”. Da Mps Capital Services segnalano invece come la Russia fornisca circa il 40% del gas necessario all’Unione europea, con un prezzo che tuttavia rimane ben lontano dai massimi toccati in dicembre di oltre 180 euro. “Una possibile spiegazione potrebbe essere legata al fatto che l’inverno sta terminando e arrivano dagli Usa piu’ forniture di Lng”, concludono gli analisti di Mps Capital Services. Il petrolio e’ rimasto piuttosto calmo, anche se sempre ben sopra la soglia dei 90 dollari al barile, cosi’ come e’ stabile l’euro, mentre l’oro ha mostrato qualche tensione in piu’, con un rialzo dell’1% sui 1.865 dollari all’oncia. Lo spread tra Btp e Bund tedeschi a 10 anni ha chiuso a 168 punti rispetto al picco dei 171 ‘basis point’ della partenza, con un tasso del prodotto del Tesoro all’1,96%, correggendo cosi’ i massimi dal maggio 2020, mentre il differenziale e’ sui livelli piu’ alti dal luglio dello stesso anno. In questo quadro, in Piazza Affari tra i titoli maggiori i cali piu’ evidenti sono stati accusati da Interpump (-5%) e Unicredit, scesa del 4% senza novita’ a mercati aperti sul dossier Banco Bpm, in lieve calo a 3,5 euro. In controtendenza Inwit, salita dell’1,7% finale. Con la speranza di una soluzione sulla crisi ucraina, l’attesa ora resta sulle scelte di politica monetaria delle banche centrali e, a breve, sugli indici Zew che daranno il polso della salute dell’economia europea. E soprattutto tedesca.

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Economia

Trump: non rimuoverò Powell prima della scadenza

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Donald Trump ha dichiarato in un’intervista a Nbc che non rimuoverà Jerome Powell (foto in evidenza Imagoeconomica) dalla carica di presidente della Fed prima della scadenza del suo mandato, prevista per maggio 2026, definendo il banchiere centrale una persona “completamente rigida” e ripetendo gli appelli alla Fed ad abbassare i tassi di interesse.

rump ha affermato che Powell non è un suo fan, ma si aspetta che la Fed abbassi i tassi di interesse a un certo punto. “Beh, dovrebbe abbassarli. E a un certo punto lo farà. Preferirebbe di no perché non è un mio fan”, ha detto, sostenendo di non piacere a Powell perché lo ritiene una persona totalmente rigida e incapace. Alla domanda se avrebbe rimosso Powell prima della fine del suo mandato come presidente nel 2026, Trump ha rilasciato la sua smentita più decisa, dicendo: “No, no, no… perché dovrei farlo? Potrò sostituire quella persona tra poco tempo”.

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Economia

Sncf sfida Trenitalia e Italo: “Porteremo 10 milioni di nuovi passeggeri sull’alta velocità italiana”

La francese Sncf vuole entrare nel mercato AV italiano con 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Investimento da 800 milioni e 300 assunzioni.

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L’operatore francese chiede spazio per 13 treni al giorno tra Nord e Sud. Ma le trattative con Rfi sono complicate: “Binari saturi, serve razionalizzare”

Milano–Roma–Napoli, ma anche Torino–Venezia: sono queste le direttrici su cui Sncf, il colosso ferroviario francese, punta per rompere il duopolio Trenitalia-Italo nell’alta velocità italiana. Dopo i primi contatti nel 2022, il debutto dei treni francesi è atteso per l’estate del 2027, ma le difficoltà non mancano.

In una lunga intervista al Corriere della Sera, Caroline Chabrol (le foto sono di Imagoeconomica), direttrice generale di Sncf Voyages Italia, racconta le ambizioni del gruppo: “Non vogliamo sottrarre clienti alle aziende esistenti. Il nostro obiettivo è intercettare milioni di italiani che oggi non viaggiano in treno”.

Da Milano a Parigi: +10% di passeggeri, nonostante la frana

Sncf è già presente in Italia con il collegamento Milano–Torino–Parigi, interrotto a lungo per una frana e recentemente ripristinato. “Nonostante il viaggio sia passato da 7 a 9 ore, la domanda è rimasta alta. Le prenotazioni estive 2025 sono aumentate del 10%”, spiega Chabrol.

Con tre frequenze giornaliere, si stimano circa 700mila passeggeri all’anno. Proprio questi volumi hanno spinto la società a investire sull’alta velocità nazionale: “Abbiamo ordinato 15 nuovi TGV M a due piani adattati alle infrastrutture italiane”.

CAROLINE CHABROL DIRETTRICE SNCF VOYAGES ITALIA

Trattative difficili con Rfi: “Ci avevano dato due viaggi, poi solo uno”

Sncf ha chiesto 13 frequenze giornaliere a Rfi: 9 tra Torino–Milano–Roma–Napoli, 4 tra Torino e Venezia. Ma, secondo la dirigente, “le trattative sono state frustranti: all’inizio ci avevano dato due viaggi a direttrice, poi sono scesi a uno. Non è sostenibile”.

Sullo sfondo c’è anche un’indagine dell’Antitrust italiano, che sospetta un possibile “abuso di posizione dominante” da parte di Rfi nell’ostacolare l’ingresso di Sncf. La società che gestisce i binari respinge ogni addebito.

Un piano industriale da 800 milioni e 300 nuove assunzioni

Sncf stima 10 milioni di passeggeri all’anno, con una potenziale sottrazione del 30% agli operatori attuali, ma la strategia resta quella di “aumentare lo switch modale”, spingendo chi oggi viaggia in auto, aereo o autobus a passare al treno.

Ogni treno in doppia composizione potrà trasportare 1.300 passeggeri, con tariffe non ancora definite, anche se si smentisce l’intenzione di diventare una low cost: “Guardiamo anche al segmento corporate”, precisa Chabrol.

Il piano prevede 800 milioni di investimento e 300 assunzioni in Italia, tra macchinisti, capitreno, manutentori e addetti operativi.

“Binari saturi, il modello multi-frequenza non regge più”

La sfida non sarà solo con Trenitalia e Italo, ma anche con la capacità della rete ferroviaria. “I binari sono saturi, e questo sta causando ritardi. Il modello di alta frequenza non è più sostenibile. Serve una razionalizzazione dell’offerta”, dice Chabrol.

Sncf pagherà circa 50 milioni di euro l’anno a Rfi per l’uso dell’infrastruttura, ma chiede in cambio condizioni eque per garantire concorrenza. “Portiamo valore a tutto il sistema, anche all’Italia”, conclude.

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Economia

L’Italia perderà quasi 3 milioni di lavoratori in dieci anni: l’allarme della Cgia

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Entro il 2035 l’Italia potrebbe contare su quasi 3 milioni di persone in età lavorativa in meno. È quanto emerge dalle proiezioni della Cgia, secondo cui la fascia tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali 37,3 milioni a 34,4 milioni, con un calo del 7,8%. Alla base di questo declino, il progressivo invecchiamento della popolazione che investirà l’intero territorio nazionale.

Conseguenze economiche e sociali preoccupanti

Il calo demografico avrà effetti profondi sul sistema produttivo: le imprese faticheranno a trovare forza lavoro giovane e qualificata. Neanche il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare del tutto il vuoto occupazionale. Le conseguenze più gravi potrebbero riguardare il rallentamento del PIL, l’aumento della spesa per pensioni, sanità e assistenza, con ripercussioni inevitabili sui conti pubblici.

Il Sud meno esposto, ma solo in parte

Paradossalmente, il Mezzogiorno potrebbe reggere meglio l’urto nel breve periodo. I tassi elevati di disoccupazione e inattività consentono margini di recupero, specie nei comparti dell’agroalimentare e del turismo. Tuttavia, anche il Sud dovrà affrontare il declino, con la Sardegna in testa (-15,1%), seguita da Basilicata (-14,8%), Puglia (-12,7%), Calabria (-12,1%) e Molise (-11,9%).

Le imprese più piccole a rischio sopravvivenza

Le aziende di piccole dimensioni saranno le più esposte, potenzialmente costrette a ridurre gli organici per l’impossibilità di assumere nuovo personale. Le grandi e medie imprese, invece, potranno attrarre lavoratori con salari più alti, orari flessibili, benefit e piani di welfare. Il divario tra imprese si farà quindi ancora più profondo.

I settori più colpiti

Secondo la Cgia, i settori che risentiranno maggiormente della crisi saranno immobiliare, trasporti, moda e ricettività. Poche le eccezioni: tra queste, il settore bancario, che potrebbe beneficiare di alcuni effetti positivi legati all’automazione e alla digitalizzazione.

Le province più a rischio

A livello provinciale, il calo maggiore è previsto a Nuoro (-17,9%), Sud Sardegna (-17,7%), Caltanissetta (-17,6%), Enna (-17,5%) e Potenza (-17,3%). In termini assoluti, la perdita più pesante sarà quella della provincia di Napoli, con 236.677 persone in meno. Le province meno colpite saranno Bologna (-1,4%), Prato (-1,1%) e Parma (-0,6%).

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