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L’alleanza Pd-M5s è un risiko, stop a Roma e Torino

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Dopo la rinuncia di Nicola Zingaretti a scendere in campo per la poltrona di sindaco della Capitale si complica l’intera architettura dell’alleanza tra Pd e M5s in vista delle prossime elezioni comunali. Non ci sara’ nessun patto per Torino ne’ per Milano mentre i dem e i pentastellati correranno insieme al primo turno a Bologna e Varese. E in qualche modo anche a Napoli. Anche se la strada per i capoluoghi emiliano e campano e’ ancora tutta in salita, cosi’ come quella per la Capitale. A Bologna i 5 Stelle appoggeranno solo il candidato ufficiale del Pd Matteo Lepore e non la renziana Isabella Conti, decisa a correre alle primarie. E a Napoli neppure la scesa in campo di Roberto Fico sara’ sufficiente a spianare la strada tra i due partiti. Visto che c’e’ anche la base dei 5 Stelle locali che si mette di traverso e ripudia ogni alleanza del Movimento con i partiti e che c’e’ l’ala dem vicina a De Luca che “tifa” per Gaetano Manfredi. “Noi lavoriamo con il M5s ma e’ evidente che a Torino e Roma, il lavoro e’ complesso perche’ il Pd in questi anni era all’opposizione ed ha criticato l’operato delle sindache Raggi e Appendino” spiega il segretario dem Enrico Letta. Con lo stato maggiore del partito lancia con forza la candidatura di Roberto Gualtieri: “e’ un candidato autorevolissimo, ha costruito lui il Recovery, e’ romano. Ora andiamo al ballottaggio e sono sicuro che poi convinceremo il M5s a convergere perche’ l’avversario e’ la destra” rassicura Francesco Boccia, mentre Zingaretti benedice. Boccia e’ invece convinto “che andremo insieme al primo turno a Bologna e Varese. E su Napoli, il presidente della Camera Roberto Fico e’ la terza carica dello Stato e un napoletano appassionato della sua citta’. Sta dando il suo contributo e sono sicuro che a Napoli andremo uniti”. Nel capoluogo campano Vincenzo De Luca si e’ pero’ messo contro: appoggia Manfredi che andrebbe a genio anche al futuro leader M5s Giuseppe Conte. Ed anche la base del M5s ha sottoscritto un documento firmato da 2 consiglieri comunali e dal 90% dei consiglieri municipali che dice No alle alleanze: “riteniamo che per la citta’ di Napoli non ci siano le condizioni per procedere in tal senso, mentre siamo aperti ad un confronto su temi e programmi con liste civiche reali e non costituite ai soli fini elettorali”. Gli stessi stanno ora costruendo il loro programma elettorale sulla piattaforma messa a disposizione da Rousseau, come nel caso di Roma. Proprio Rousseau, intanto, e’ tornato all’attacco di Giuseppe Conte sulla questione della cessione della lista degli iscritti al Movimento, necessaria al futuro leader per formalizzare la nascita del “neo-Movimento”. “Rousseau per legge non puo’ assolutamente comunicare gli elenchi di iscritti a persone diverse dal legittimo rappresentante legale o addirittura, come richiesto, a persone neanche iscritte al Movimento” dice Davide Casaleggio alludendo a Conte che, infatti, non e’ iscritto al Movimento. Farlo, obietta il responsabile della piattaforma, violerebbe il “Codice Privacy” che prevede per questo anche la galera. Casaleggio, tuttavia, sembra ora aprire ad una intesa: “siamo certi si trovera’ una soluzione giuridica e siamo i primi a volerla” dice Rousseau che reclama ancora il suo debito e mette in guarda Conte che giorni aveva aveva prefigurato un accoro: “gli annunci stampa senza approfondimento di queste soluzioni sono poco utili ed in alcuni casi irresponsabili e dannosi”.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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Scontro sul tax credit, il cinema ostaggio dei partiti

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A Cannes, assicura l’opposizione, non si parlerebbe d’altro: il contenuto del decreto di riparto del fondo cinema che starebbe “avendo effetti devastanti sulla promozione del cinema italiano” al festival del cinema. Dove, si sostiene, monta la preoccupazione per il taglio di circa 130 milioni di euro al tax credit così come il raddoppio dei contributi selettivi che “riportano il sistema di finanziamento della produzione audiovisiva indietro nel tempo con lungaggini, burocrazia e il rischio di politicizzazione delle scelte da parte di commissioni nominate dalla politica senza ancora nessuna indicazione sulle modalità di scelta dei commissari”.

Una politica che “non sta passando inosservata agli operatori internazionali” sostiene il Pd che punta l’indice contro “l’occupazione degli istituti culturali che sta portando avanti il ministro Sangiuliano” e che gli fa temere che “che anche nel cinema vengano nominati gli amici degli amici e i compagni di partito”. Un’accusa che il partito della premier e del ministro della Cultura rimanda dritto contro l’opposizione.

La Riforma Sangiuliano è “una cesura con l’amichettismo e l’autoreferenzialità, che fanno il paio con sale vuote e tasche piene, ma solo di qualche organico al conformismo rosso. Comprendiamo le critiche della sinistra, che nel solco di un ‘taxi’ credit per i propri amici difende schemi e retaggi di potere che però non hanno fatto il bene del settore” ribatte Alessandro Amorese, capogruppo di FdI in commissione Cultura della Camera che palude a “questa ulteriore svolta, in linea con un’epoca nuova” inaugurata dal ministro.

Di certo la Riforma Sangiuliano preoccupa gli operatori. In un appello congiunto, 10 associazioni di rappresentanza degli autori, registi, produttori chiedono al ministro di garantire la “massima competenza e professionalità nelle commissioni” che selezioneranno le opere ammesse agli investimenti dopo il “sensibile aumento dei fondi selettivi a discapito di quelli automatici e del tax credit”.

Agici, Air 3, Anac, Unione produttori Anica, Asifa, Cartoon Italia, DocIt, Unita e Wgi- temono la discrezionalità delle scelte delle Commissioni che si troveranno “a decidere di una cifra quasi doppia rispetto agli anni precedenti, cifra nella quale rientra anche una voce inedita che monopolizza circa il 60% del totale delle risorse, voce relativa a Opere su personaggi e avvenimenti dell’identità” culturale italiana.

Prova a correre ai ripari il Pd presentando in Commissione una risoluzione per potenziare i finanziamenti all’industria audiovisiva ed arginare gli effetti del decreto “sulla capacità del nostro sistema di attrarre i grandi investimenti internazionali”. Tra le misure proposte, il potenziamento dei finanziamenti e il tax credit per l’industria del cinema, la promozione di iniziative a sostegno del comparto da rilanciare, tra l’altro, con la riduzione del biglietto di accesso in sala ai giovani tra i 14 e i 18 anni.

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