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Cronache

Si indaga su minacce, bottiglia contro casa Silvia

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Non solo gli insulti e le minacce pesanti, anche di morte, ma ora pure una bottiglia di vetro lanciata contro la palazzina dove vive nel cuore del Casoretto, uno dei quartieri popolari di Milano. Non si spegne la campagna d’odio attorno a Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya nel novembre 2018, liberata sabato in Somalia e rientrata da due giorni nella sua abitazione milanese, bersagliata soprattutto sui social per la scelta di convertirsi all’Islam maturata durante la sua prigionia e per il presunto riscatto pagato (e smentito dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio). Mentre le Procure di Roma e Milano continuano le indagini, la prima sul sequestro della volontaria italiana, e la seconda sui messaggi da lei ricevuti e che sono al centro di un fascicolo per minacce aggravate al momento a carico di ignoti, oggi la polizia scientifica ha effettuato rilievi all’interno dell’appartamento al piano sottostante quello di Silvia-Aisha: i vicini hanno trovato cocci di vetro sospetti accanto a una finestra e l’ipotesi piu’ probabile e’ che sia stata lanciata una bottiglia contro il palazzo, dove ieri sera un uomo ha tentato di intrufolarsi per dimostrare solidarieta’ alla giovane cooperante. Palazzo che e’ sempre presidiato dalle forze dell’ordine, proprio per tutelare l’incolumita’ della 24enne. In mattinata, la giovane come parte offesa, nell’ambito di un rapporto di collaborazione con inquirenti e investigatori, ha ricevuto una visita del comandante del Ros Andrea Leo che assieme ai suoi uomini e’ stato incaricato dal responsabile dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili di indagare sulle minacce.

I carabinieri – se sara’ necessario, potrebbero sentire anche il padre e altri famigliari della cooperante – stanno analizzando decine e decine di messaggi, in particolare quelli inviati online, ed effettuando una loro scrematura per concentrare le indagini sulle intimidazioni piu’ gravi: l’obiettivo e’ arrivare a individuare quelle dietro le quali ci potrebbe essere un concreto pericolo per la vita della ragazza. Al vaglio anche frasi che, come e’ gia’ capitato per casi analoghi, potrebbero portare, dopo un’attenta disamina, a contestare l’aggravante dell’odio razziale. Un lavoro quello del Ros che, non tralascia nulla, nemmeno il post di un consigliere comunale di Asolo (Treviso) che ha scritto “impiccatela”, ma che si concentra sulle minacce piu’ gravi e che confluira’ in una nuova informativa da trasmettere al pm Nobili in vista delle eventuali prime iscrizioni nel registro degli indagati. Mentre un alto funzionario di Ankara ha riferito che la foto del giubbotto antiproiettile indossato da Silvia-Aisha su cui compare uno stemma turco con una mezzaluna e una stella non e’ un fake, il che significa una conferma del coinvolgimento delle forze speciali turche nella sua liberazione, la famiglia Romano chiede alla stampa di spegnere i riflettori. “Se non ci foste voi starebbe molto meglio”, ha detto la mamma ai giornalisti davanti a casa, alla ricerca di una parvenza di normalita’. Del resto, chi ha potuto incontrare Silvia racconta che sta bene, e ha risposto al saluto in lingua araba al custode egiziano, sul pianerottolo del palazzo dove abita.

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Auto si ribalta e prende fuoco, morti tre ragazzi

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re ragazzi sono morti in un incidente stradale che si è verificato poco fa nel Brindisino lungo la provinciale che collega Torchiarolo a Lendinuso. Sul posto stanno operando i vigili del fuoco. A quanto si apprende l’auto, una Porsche, con a bordo i tre giovani si sarebbe ribaltata prendendo fuoco.

Le vittime sono un 22enne e due ragazze 21enni, tutti residenti a Torchiarolo. Una delle ragazze era originaria dell’Ucraina e viveva in provincia di Brindisi. Le indagini sono condotte dalla polizia locale. La strada al momento è stata chiusa al traffico e sul posto si sta recando il pubblico ministero di turno della procura di Brindisi.

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Schianto in A1 dopo aver scelto casa, morti padre e bimbo

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Tornavano da Vicenza. Ci erano stati per iniziare a costruire la loro nuova vita: un lavoro da operatore socio sanitario grazie all’attestato che tra mille sacrifici era riuscito a prendere seguendo i corsi di un istituto di formazione a Cassino. Erano stati a scegliere la casa nella quale trasferirsi: giusto il tempo di far finire l’anno scolastico al loro bimbo che sta in Terza Elementare e poi un taglio netto con il passato, l’inizio di un sogno italiano che prende forma. Ma il sogno di una famiglia di origi nigeriane si è trasformato in un incubo. In una tragedia. È successo sull’autostrada A1, nel tratto tra Anagni e Ferentino, già in provincia di Frosinone, meno di cinquanta chilometri da casa: chilometro 615, direzione sud. Ore 15.30, cosa sia accaduto lo sta ancora ricostruendo la Polizia Stradale di Frosinone, forse uno pneumatico scoppiato.

Sta di fatto che la loro Ford Fiesta grigia viene tamponata con violenza da un suv Volvo di colore blu scuro. Un impatto che costa la vita a Inya Christopher Nwachi, 40 anni, ed al figlio Inya Christopher Junior, di appena 8 anni. Gravi anche la moglie, 40 anni, e l’altra bambina, 5 anni, che viaggiavano in auto. La donna è stata trasferita in elicottero al San Camillo di Roma: la sua prognosi è riservata. L’eliambulanza con la bambina invece è atterrata al Bambin Gesù: anche la bimba è in condizioni critiche. Il bilancio dell’incidente avrebbe potuto essere ancora più grave se non fosse stato per il conducente di un autoarticolato della società Iannotta che arrivava alle spalle delle due vetture: appena assistito all’incidente ha rallentato e si è messo di traverso, occupando le tre corsie di marcia facendo da scudo ed impedendo ad altri mezzi di finire addosso a quelli incidentati.

I primi a prestare i soccorso sono stati alcuni automobilisti, dopo pochi minuti è arrivato il personale sanitario del 118 con la Polizia Stradale di Frosinone ed i Vigili del Fuoco. Per prestare i soccorsi è stato necessario chiudere un tratto di autostrada: si sono creati fino a 6 chilometri di coda verso Sud e 2 verso Nord. Ora la circolazione è ripresa regolarmente. La famiglia, immigrata anni fa dalla Nigeria, si era costruita una vita nel sud della provincia di Frosinone: Inya Christopher Nwachi lavorava in una pizzeria di Cervaro e nel tempo libero studiava per prendere l’attestato da Oss. Ci era riuscito. Ed aveva trovato lavoro a Vicenza: avrebbe preso servizio all’inizio del prossimo giugno. “È una tragedia che colpisce la nostra comunità – dice il sindaco di Cervaro, Ennio Marrocco – era una famiglia che si era fatta ben volere, ben inserita, bravissime persone. Come Comune di Cervaro saremo al fianco della signora e della bambina”. Che ora, dal sogno si ritrovano a vivere un incubo.

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Il 19 giugno parte il processo per l’omicidio di Aurora

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Si svolgerà il 19 giugno al Tribunale per i minorenni di Bologna, con rito abbreviato, il processo per il 15enne accusato dell’omicidio di Aurora Tila, la ragazza di 13 anni, morta dopo essere precipitata dal terrazzo sopra casa a Piacenza, il 25 ottobre. Ne dà notizia il quotidiano Libertà. Il processo era stato inizialmente fissato per il 9 luglio, con rito ordinario. L’avvocato difensore del ragazzo ha chiesto e ottenuto il rito abbreviato. Oltre agli atti raccolti dalla procura saranno presi in esame in aula i risultati delle perizie dei consulenti di parte. Aurora Tila, studentessa dell’Istituto Colombini, morì la mattina del 25 ottobre precipitando da un terrazzo al settimo piano del palazzo dove viveva con la madre e cadendo poi su un balcone tre piani più in basso. Con lei, sul terrazzo, c’era l’ex fidanzatino, di due anni più grande: le telecamere del condominio hanno ripreso il loro incontro nell’atrio, prima di salire in casa.

È stato lui a dare l’allarme e qualche giorno dopo è stato arrestato con l’accusa di omicidio volontario. Lui ha sempre negato queste accuse, sostenendo una versione diversa dei fatti rispetto alla ricostruzione della Procura. Il processo si svolgerà secondo il rito abbreviato (ovvero sulla base degli atti raccolti dalla procura, con il beneficio di uno sconto di un terzo della pena) ma “condizionato”, ovvero con l’ascolto in aula dei periti, e quindi con il confronto fra le due perizie, dagli esiti divergenti, che potrebbero rappresentare il cuore del processo. I medici legali di parte della difesa, infatti, contestano radicalmente le conclusioni alle quali era arrivata la perizia disposta dalla procura dei minorenni, che sostanzialmente attribuiscono al 15enne la volontà di far cadere Aurora dal terrazzo, da un’altezza di nove metri.

Una ricostruzione che la difesa ha sempre negato. Il punto cruciale su cui ci sarà battaglia sarà la dinamica della caduta, che secondo la perizia del consulente della procura, è incompatibile con un suicidio. Conclusioni, che come riferisce il quotidiano piacentino, secondo il medico legale Mario Tavani (che insieme al collega Attilio Maisto ha curato la perizia per la difesa) “risultano indubbiamente criticabili”, mentre “quelle sulla ricostruzione dinamica della precipitazione del corpo per alcuni versi inaccettabili”. Saranno prese in esame anche alcune testimonianze oculari: il racconto di alcune persone che hanno riferito di aver visto i due giovani litigare sul terrazzo sono state infatti cruciali per le indagini.

E’ stata una di queste testimonianze, in particolare, secondo cui il ragazzo avrebbe spinto Aurora oltre il parapetto e l’avrebbe colpita sulle mani per farla cadere, a risultare cruciale nella decisione di arrestare il 15enne. Un dettaglio, quello dei colpi sulle mani, che sarà messo a confronto con gli esiti delle perizie: quella dell’accusa ritiene le ferite che Aurora aveva sulle dita compatibili con i colpi ricevuti per farla cadere, mentre secondo la perizia della difesa sono state procurate dall’impatto a terra.

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