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Xi vola da Putin per ‘una nuova era per Cina e Russia’

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Xi Jinping volerà lunedì a Mosca da Vladimir Putin, secondo la versione di Pechino in visita “per la pace”. Ad oltre un anno dall’aggressione militare russa all’Ucraina, il Cremlino prepara all’illustre ospite un’accoglienza imperiale: dieci anni fa, alla prima missione del presidente cinese fresco di nomina, gli furono riservati un inedito picchetto d’onore a cavallo e un lungo tappeto rosso srotolato nella sala di San Giorgio. Da allora i tempi sono cambiati, i rapporti di forza tra i due Paesi pure e la scellerata guerra ha messo Putin nelle condizioni di non poter fare a meno “dell’amico del cuore” – come si sono definiti i due leader nella telefonata di fine 2022 – che ha contribuito a non far crollare la Russia sotto il peso delle sanzioni occidentali, comprando petrolio e gas a sconto. In oltre un anno di conflitto, i due presidenti si sono incontrati di persona solo a Samarcanda, al vertice di settembre 2022 dei Paesi Sco. Da allora, soprattutto dalle comunicazioni cinesi, è sparita ogni citazione della “partnership senza limiti” che Xi e Putin definirono a Pechino a febbraio 2022, ad appena tre settimane dall’invasione dell’Ucraina.

Oggi invece Mosca ha fatto sapere che i due firmeranno un documento su una “nuova era” della “partnership e delle relazioni strategiche” bilaterali, come annunciato dal consigliere presidenziale Yuri Ushakov, assieme ad un altro patto sullo sviluppo della cooperazione economica “fino al 2030”. La parte cinese, oltre a ufficializzare la visita di Stato dal 20 al 22 marzo, ha affermato che la missione “riguarderà l’amicizia volta ad approfondire la fiducia reciproca”. Mantenere la pace nel mondo e promuovere lo sviluppo comune “sono gli scopi della politica estera cinese”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, per il quale “sulla questione ucraina, la Cina si è sempre schierata dalla parte della pace, del dialogo e della correttezza storica. La proposta da noi presentata può essere riassunta in una frase: perseguire la pace e promuovere i colloqui”.

Il riferimento è al ‘Documento sulla soluzione politica della crisi ucraina’ in 12 punti diffuso da Pechino il 24 febbraio, i cui spiccano salvaguardia della sovranità e integrità territoriale e il rifiuto dell’uso delle armi nucleari. Il piano è stato bocciato da Usa e alleati, secondo i quali solo il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina può fermare la guerra. Mentre il presidente Volodymyr Zelensky ha mostrato disponibilità per un colloquio con Xi, senza tuttavia ricevere risposte ufficiali. Giovedì invece il suo ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha chiesto lumi all’omologo cinese Qin Gang sul significato attribuito da Pechino alla definizione ‘sovranità e integrità territoriale’. La Casa Bianca ha incoraggiato la Cina ad avere dialoghi diretti con l’Ucraina, malgrado i rapporti Washington-Pechino si siano bruscamente raffreddati dopo il balloon-gate. Mentre lo stesso Xi ha attaccato esplicitamente per la prima volta l’amministrazione Biden e l’Occidente accusati di voler “contenere, accerchiare e sopprimere” la crescita del Dragone.

Sugli ultimi report dei media sulla fornitura di armi, il portavoce del ministero degli Esteri cinese ha glissato: Pechino “ha sempre svolto una normale cooperazione economica e commerciale con tutti i Paesi del mondo, inclusa la Russia, sulla base dell’uguaglianza e del vantaggio reciproco. La Cina ha un atteggiamento prudente e responsabile nei confronti delle esportazioni militari”. Così, a 48 ore dalla partenza per Mosca, non è chiaro quale approccio il leader comunista adotterà con Putin, destinatario di un infamante mandato di arresto della Corte penale internazionale con l’accusa di crimini di guerra per la deportazione illegale di bambini. Né se Xi vorrà premere per una soluzione di compromesso avendo comunque interesse a non tagliare i ponti con l’Europa, essenziale per rianimare l’economia del Dragone del post-Covid. Se mediare la ripresa delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran è stata facilitata dal peso cinese di primo partner commerciale di entrambi, nel caso di Russia e Ucraina i margini sono più indefiniti. I paletti, per cominciare, li hanno fissati gli Stati Uniti, in profondità: “Non parliamo per il presidente Zelensky, ma noi non sosteniamo un cessate il fuoco in questo momento perché favorirebbe Mosca e ratificherebbe le sue conquiste”, ha messo in chiaro John Kirby, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca. I margini sono strettissimi.

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Zelensky, ‘navi russe sanno cosa le aspetta nelle acque ucraine’

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Le navi russe sanno già cosa le aspetta nelle acque ucraine. Lo ha detto presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso ai diplomati dell’Accademia marittima di Odessa, citato da Ukrinform. Il presidente ha ringraziato gli ufficiali della Marina ucraina per aver protetto lo Stato nel settore della difesa marittima e ha aggiunto che l’Ucraina ha bisogno di una vittoria sul nemico in mare, a terra e in cielo. “Le navi russe hanno già memorizzato l’unica prospettiva per loro nelle acque ucraine. L’ammiraglia russa del Mar Nero ha già dimostrato ciò che qualsiasi nave che minaccia l’Ucraina dovrebbe affrontare, ed è solo una questione di tempo prima che ripeta il destino della nave Moskva”, ha detto Zelensky riferendosi all’incrociatore russo affondato dalle forze ucraine lo scorso aprile. In conclusione, ha aggiunto in presidente ucraino, “le nostre forze di difesa e di sicurezza hanno dimostrato fermamente che l’Isola dei Serpenti ucraina non tollererebbe una bandiera nemica”.

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L’Onu accusa Mosca e Kiev di ‘esecuzioni sommarie’

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L’ombra dei crimini di guerra si allunga ancora una volta in Ucraina. Dopo il mandato di arresto contro il presidente Vladimir Putin per le deportazioni di bambini in Russia, questa volta è l’Onu a muovere accuse a entrambe le parti per decine di esecuzioni sommarie. “Siamo profondamente preoccupati per l’esecuzione sommaria di 25 prigionieri di guerra russi e di persone fuori combattimento” e per quella di “15 prigionieri di guerra ucraini”, ha affermato Matilda Bogner, capo della missione di monitoraggio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Da Kiev, la replica è affidata al difensore civico Dmytro Lubinets, che respinge gli addebiti e chiede di “conoscere i fatti e gli argomenti indiscutibili su cui si basano le conclusioni della missione”. Ma le accuse dell’Onu raccontano l’atrocità di un’invasione che non vede ancora tregua, anzi: se la Cina dovesse decidere di armare Mosca “prolungherebbe il conflitto e certamente amplierebbe la guerra potenzialmente non solo nella regione ma a livello globale”, è stato il monito lanciato a Pechino dal capo del Pentagono Lloyd Austin.

Mosca da parte sua non pensa ad alcun ritiro, e minaccia anzi di spingersi fino a Kiev e Leopoli, se necessario: parola del falco Dmitri Medvedev. Secondo Bogner, l’Onu è a conoscenza di cinque indagini condotte da Kiev che coinvolgono 22 vittime di esecuzioni sommarie, ma “non siamo a conoscenza di alcun procedimento contro gli autori” di questi crimini. Per quanto riguarda le esecuzioni di 15 prigionieri di guerra ucraini “poco dopo la loro cattura” da parte delle forze armate russe, 11 di loro sono state perpetrate dal gruppo paramilitare russo Wagner, ha aggiunto la funzionaria. Dall’inizio dell’invasione, la missione Onu in Ucraina ha poi documentato 621 casi di sparizione forzata e detenzione illegale di civili da parte delle forze armate russe, mentre sono 91 gli episodi analoghi commessi dagli ucraini.

La denuncia delle Nazioni Unite mostra il volto di una guerra che non conosce regole, mentre crescono le tensioni internazionali tra un Occidente che rafforza il suo sostegno a Kiev e il Cremlino che minaccia ritorsioni. Come nel caso della fornitura di armi all’uranio impoverito annunciata da Londra: significherebbe “aprire il vaso di Pandora”, è stato il commento di Medvedev, tornato a ribadire le intenzioni di Mosca di difendere la Crimea occupata con “qualsiasi arma”. Ma nonostante le tensioni, secondo l’ex presidente la Russia non cerca un confronto diretto con la Nato, e vuole risolvere la guerra “pacificamente attraverso i negoziati”, che restano però lontani. L’attenzione è ancora puntata sul piano di pace della Cina, che intanto accusa gli Usa di “gettare benzina sul fuoco” e “ostacolare” gli sforzi per i colloqui. Ma l’interesse occidentale, o almeno europeo, per la proposta c’è: lo confermano gli annunci delle prossime visite a Pechino dell’alto rappresentante della politica estera Ue Josep Borrell, della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del presidente francese Emmanuel Macron. E prima ancora a incontrare Xi Jinping in Cina sarà il premier spagnolo Pedro Sanchez, la prossima settimana.

Se da una parte la proposta cinese sembra essere ormai la base per lavorare a una soluzione mediata del conflitto, Kiev ha più volte ribadito che diversi punti del piano sono lontani dalla pace immaginata dagli ucraini, mentre cresce l’attesa per una telefonata tra Zelensky e Xi. Secondo il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, la chiamata è prevista, ma ci sono alcune “difficoltà” nell’organizzarla. Pechino invece ha chiarito che al momento “non ha nulla da condividere” al riguardo. Intanto continua a cadere la pioggia di bombe su tutta l’Ucraina, mentre cresce l’allarme di Kiev per la centrale di Zaporizhzhia: “A seguito del calo dell’acqua dal bacino idrico di Kakhovka, esiste il rischio di un guasto dei sistemi di raffreddamento” e “questo potrebbe significare un possibile scenario Fukushima nel mezzo del continente europeo”, secondo il ministro della Protezione ambientale e Risorse naturali dell’Ucraina, Ruslan Strilets.

Il sangue continua a scorrere nel Paese, dove nell’ultima giornata almeno 10 civili sono stati uccisi e 20 feriti a causa dei bombardamenti russi in diverse aree, tra cui 5 morti per un attacco ad un rifugio per civili a Kostiantynivka, nel Donetsk. Nella notte, le forze russe hanno colpito con droni l’area di Kryvyi Rih, città natale di Zelensky. E prosegue l’assedio russo per conquistare la città simbolo di Bakhmut, dove circa 10.000 civili, molti dei quali anziani e con disabilità, vivono ancora dentro e intorno all’insediamento in “condizioni disastrose”, secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa.

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Siria, guerra Usa-Iran attorno ai pozzi di petrolio

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A sole quattro ore di volo dall’Italia e a due passi dalle coste mediterranee, è andato in scena un altro round della guerra aperta, ormai in corso da anni, tra Iran e Stati Uniti nella Siria nord-orientale, ricca di petrolio e al centro degli interessi anche della Russia e della Turchia. Un contractor americano è stato ucciso e altri cinque militari Usa sono stati feriti in un attacco compiuto contro una base americana da un drone iraniano nella regione di Hasake, a soli 12 chilometri dal confine con l’Iraq. Il Pentagono ha subito puntato il dito contro i Pasdaran, le forze d’elite della Repubblica islamica presenti in varie aree del Medio Oriente dall’Iran al Libano passando per Siria e Iraq. Poco dopo l’attacco aereo di Hasake, jet statunitensi si sono levati in volo e hanno bombardato tre diverse postazioni di jihadisti sciiti filo-iraniani nell’est della Siria, colpendo depositi di armi e rifugi nei distretti di Mayadin, Bukamal e Dayr az-Zor. Secondo fonti locali in Siria, l’Iran dispone nel paese mediterraneo di circa 70mila tra miliziani libanesi, afgani e iracheni. A seguito di questi attacchi, nei quali sono stati uccisi almeno 11 miliziani filo-iraniani, di cui 7 di nazionalità siriana, i jihadisti sciiti vicini a Teheran hanno sparato colpi di mortaio sulle installazioni petrolifere di al Omar, a est del fiume Eufrate, in un’area controllata da forze curdo-siriane e dove sorge l’altra principale base militare Usa in Medio Oriente.

Centinaia di militari americani sono presenti in Siria dal 2014 con l’obiettivo dichiarato di “sconfiggere il terrorismo dell’Isis” e sono per questo a capo della Coalizione globale anti-Isis. Sul terreno, Washington sostiene le forze curdo-siriane, emanazione del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) in lotta con il governo turco del presidente Recep Tayyip Erdogan. Nella stessa area nord-orientale siriana, poco lontano dove i Pasdaran hanno ucciso nella notte un contractor Usa, sono presenti anche militari turchi e soldati russi. Solo ieri mezzi blindati di Mosca e di Ankara hanno condotto il periodico pattugliamento congiunto della frontiera siro-turca in pieno territorio siriano, in una regione ricca di giacimenti di petrolio. Nella Siria in guerra da 12 anni e alle prese con la peggiore crisi economica della sua storia, la spartizione del territorio orientale contiguo all’Iraq occidentale, dove sono presenti altri militari Usa, non avviene solo tramite eserciti e milizie straniere.

Ma avviene anche tramite la cooptazione, da parte di potenze straniere, di attori locali: si tratta, per lo più, di giovani adulti costretti da anni a scegliere la via della migrazione clandestina o l’arruolamento, per sostentamento, in gruppi armati al soldo di quello o quell’altro paese. Mentre si intensifica la guerra guerreggiata tra Stati Uniti e Iran, si fa così sempre più netta, sul terreno, la contrapposizione sociale tra i siriani che lavorano al servizio degli americani e degli ascari curdi, e i siriani che rispondono invece agli ordini degli iraniani, dei russi e delle forze governative di Damasco.

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