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Cronache

Vita, opere e miracoli economici dell’imprenditore catanese accusato di essere amico dei Santapaola che compra tv, radio e giornali a iosa

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Chi è Mario Ciancio Sanfilippo? Che cosa ha costruito nel mondo dell’editoria siciliana, del Sud e del Paese? Chi è l’uomo che da oltre 10 anni è sotto inchiesta e sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa e fa litigare magistrati e giudici a Catania come a Roma?  Ciancio ha costruito negli anni un gruppo editoriale importante che mette assieme più media, più piattaforme informative ed informatiche della Sicilia. È infatti il proprietario a vario titolo dei più importanti giornali, tv, piattaforme web del Sud. Il quotidiano La Sicilia, di cui è proprietario, è uno dei più diffusi nel sud Italia. Ha una rilevanza nazionale. Nel settore televisivo, il gruppo Sanfilippo, nell’informazione locale,  detiene senza dubbio una leadership inattaccabile. L’anziano editore è proprietario di Teletna, attraverso Telecolor International S.p.A. rilevata è  proprietario delle emittenti Telecolor e Video 3, principali concorrenti nel settore televisivo, assumendo di fatto il totale controllo dell’informazione a Catania.  

Oltre che proprietario della Domenico Sanfilippo Editore, della Società Industriale Grafica Editoriale S.p.A. – che comprende le emittenti televisive Antenna Sicilia e Teletna – e di Telecolor S.p.A., vanta piccole partecipazioni in altre tv locali, le catanesi Telejonica e Telesiciliacolor e la messinese Rtp Radio Televisione Peloritana; nel settore radiofonico controlla le emittenti Radio Sis, Radio Telecolor e Radio Video. Possiede inoltre, quote azionarie nei quotidiani Giornale di Sicilia, Gazzetta del Sud e La Gazzetta del Mezzogiorno. Acquisisce inoltre partecipazioni in La 7, MTV, Telecom, Tiscali e L’Espresso/Repubblica. In passato è stato anche l’editore dell’Espresso sera.

Nel 2005 fonda la ETIS 2000 S.p.A., società che si occupa della stampa e della distribuzione in Sicilia e in parte anche della Calabria, non solo delle copie de La Sicilia, ma anche delle edizioni di quotidiani come Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore, L’Unità, Tuttosport, Il Corriere dello Sport e Avvenire. È il più grande stabilimento tipografico dell’Italia meridionale, ed ha una capacità produttiva giornaliera di 200.000 copie all’ora. Sin qui le conquiste imprenditoriali dell’uomo che mette assieme un impero nel settore della informazione. C’è poi la sua rilevanza politica nella imprenditoria del settore. Mario Ciancio Sanfilippo dal 1996 al 2001 è stato presidente della FIEG, e per breve tempo vicepresidente dell’ANSA, della quale è a tutt’oggi socio, e membro del consiglio di amministrazione assieme alla figlia Angela Ciancio. Il suo gruppo è attivo anche nel settore dell’edilizia, dell’agricoltura e della grande distribuzione perchè come ogni grande imprenditore diversifica le sue attività economiche.  I primi a rendere nota l’inchiesta che toccava Mario Ciancio Sanfilippo furono i giornalisti de Il Fatto Quotidiano. Era il30 novembre 2010 quando Il Fatto pubblicò la notizia secche Ciancio era indagato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso dalla Procura distrettuale antimafia di Catania. Fu un bel colpo. Certo era difficile che la notizia potesse uscire da sale redazione siciliana. In ogni caso la procura aveva iscritto nel registro degli indagati l’imprenditore catanese per presunti rapporti con la mafia, per la precisione con il Clan Santapaola in persona del boss Giuseppe Ercolano, citati anche dal collaboratore di giustizia Angelo Siino; per le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, secondo cui Ciancio sarebbe entrato nell’azionariato del quotidiano Il Giornale di Sicilia con il placet del padre Vito e del boss Bernardo Provenzano; la procura etnea inoltre, fa riferimento all’interessamento di Ciancio al centro commerciale costruito su uno dei suoi terreni, oggetto delle indagini, già proposte nella puntata del 15 marzo 2009 della trasmissione Report. Sui giornali emerse la chiara volontà di Ciancio di querelare Milena Gabbanelli per diffamazione. Notizia però mai confermato da Ciancio.

Il 2 aprile 2012 la prima notizia dei giornali siciliani era che il procuratore aggiunto e il pubblico ministero del tribunale catanese avevano richiesto l’archiviazione delle accuse di mafia per Ciancio.  La richiesta quando fu respinta dal GIP a settembre non la curò nessuno. Nuove indagini furono avviate quasi subito e il 1 aprile 2015 la procura di Catania depositò la richiesta di rinvio a giudizio di Mario Ciancio Sanfilippo, ipotizzando il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Nell’avviso di conclusione delle indagini la procura sottolineava che “la contestazione si fonda sulla ricostruzione di una serie di vicende che iniziano negli anni ’70 e si protraggono nel tempo fino ad anni recenti” e “riguardano partecipazione ad iniziative imprenditoriali nelle quali risultano coinvolti forti interessi riconducibili all’organizzazione Cosa Nostra” e in particolare a un centro commerciale. Il 21 dicembre 2015, il GUP Gaetana Bernabó Distefano, chiamata a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, lo proscioglie perché “il fatto non costituisce reato”. Secondo il Gup gli elementi raccolti dall’accusa non sarebbero stati idonei a sostenere l’accusa in giudizio. A giugno del 2017, in seguito al ricorso in appello presentato dalla Procura, il giudice Loredana Pezzino ribalta il pronunciamento del Gup rinviando a giudizio Mario Ciancio Sanfilippo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo è in corso. E per Ciancio Sanfilippo, come per chiunque, occorrerà aspettare fino alla decisione della Cassazione per poterlo giudicare colpevole o assolvere da un reato grave: mafia.

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Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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‘Sgomberate la Vela’, l’ordinanza del 2015 mai eseguita

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Un’ordinanza datata ottobre 2015 metteva in guardia dal pericolo crolli: la Vela Celeste va sgomberata, il succo di una relazione del Comune di Napoli messa nero su bianco. La firma in calce è quella del sindaco dell’epoca, Luigi de Magistris. Un sos che non troverà mai seguito e di cui oggi la città piange le conseguenze dopo il crollo del ballatoio-passerella che lunedì sera ha determinato la morte di tre persone e il ferimento di altre dodici. Dunque, non solo il documento datato 2016 che denunciava la mancata manutenzione dei ballatoi della Vela Celeste di Scampia con relativo rischio crollo, dal passato emerge anche un’altra carta che chiama in causa l’immobilismo delle istituzioni. Perché quell’ordinanza di sgombero coatto non è mai stata presa in considerazione?

E perché si è preferito agire con degli accorgimenti che sanno di palliativo piuttosto che affrontare di petto l’emergenza segnalata da quel documento pubblicato sull’albo pretorio del Comune? Domande in attesa di risposta e sulle quali la procura di Napoli – che ha aperto un’indagine contro ignoti per crollo colposo e omicidio colposo – intende fare chiarezza. L’ordinanza firmata de Magistris – è quanto emerge – era dettata dalla necessità di tutelare l’incolumità di 159 famiglie per un totale di 600 persone residenti nella Vela Celeste. Alla base del provvedimento c’era la relazione di un dirigente comunale che delineava un quadro di pericolo allarmante. Anche la politica chiede di fare chiarezza.

A partire dalla segretaria del Pd Elly Schlein che ne ha parlato al festival di Giffoni: “È un tragedia drammatica – ha detto -. Abbiamo immediatamente espresso tutta la nostra vicinanza alle persone, alle famiglie, al quartiere colpito. C’è da fare luce su quello che è accaduto perché non può succedere una cosa del genere”. Fare luce è quello che intende fare la Procura di Napoli che ha disposto l’ampliamento dell’area sottoposta a sequestro, dal terzo piano fino al piano terra. Le verifiche stanno riguardando anche le posizioni dei residenti nella Vela “incriminata” che, in gran parte, secondo quanto si apprende da fonti qualificate, risulterebbero abusivi. E intanto si sta rivelando più difficoltosa del previsto l’acquisizione della copiosa documentazione amministrativa sulla Vela Celeste. Si tratta in particolare degli atti relativi al progetto di riqualificazione ReStart e alla manutenzione del complesso di edilizia popolare con relative negligenze che oramai sono date per scontate. Fondamentali saranno per gli inquirenti le risultanze del lavoro affidato al perito, un ingegnere strutturista forense. Conferito, infine, l’incarico per gli esami autoptici sui corpi delle tre vittime.

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