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Vesuvio, un parco ucciso dai roghi del 2017 e soffocato dalla burocrazia che impedisce di rimuovere il pericolo dei pini bruciati

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Michele Del Prete, vive e lavora in via Delle Margherite a Torre del Greco. È un contadino da generazioni. Può dirsi miracolato. Perché lunedì sera, nel pieno della tempesta, ha visto un albero cadere a pochi metri da casa sua: rami e fusto sono finiti al centro della strada, bloccando l’accesso alle macchine. 

Per una giornata intera, la famiglia Del Prete, padre, madre e due figlie, è rimasta isolata.  

Felice Gaglione. Proprietario di una pineta sul Vesuvio

“In questa zona”, racconta Michele Del Prete”, anche spostare un albero caduto è un problema. Le leggi che tutelano il Parco del Vesuvio, impongono una trafila burocratica che rallenta gli iter e contribuisce a mettere a rischio la vita delle persone”. Così, anche i proprietari delle pinete che vogliono bonificare le aeree devastate dal fuoco, hanno difficoltà a intervenire per eliminare il pericolo.

Proprio come è successo a Felice Gaglione, titolare di una pineta che si trova in via delle Margherite: “A maggio del 2018 ho chiesto all’Ente Parco, al Comune di Torre del Greco e a Città Metropolitana di autorizzarmi a tagliare tutti gli alberi bruciati perché c’è il pericolo fondato che possano finire su di una casa che si trova al confine con il mio terreno. Ad oggi, nessuno mi ha risposto. E io non posso tagliare un solo ramo perché rischio di essere denunciato”.  

Un assurdo silenzio istituzionale, forse un rimpallo di competenze e inefficienza gestionale, che rischiano di provocare una catastrofe: se non parte immediatamente la bonifica del territorio, le conseguenze per i paesi dell’area vesuviana potrebbero essere devastanti. Secondo gli esperti, gli alberi bruciati, incapaci di trattenere le acque piovane perché ormai sprovvisti di radici, sono diventati corpi morti che ad una qualsiasi bufera di acqua e vento potrebbero crollare uno dopo l’altro e poi finire a valle travolgendo il centro urbano. 

Nelle foto i boschi di pini bruciati nei mesi di luglio e agosto 2017 che andrebbero abbattuti perché pericolosi

Quando piove via delle Margherite, come altre che si trovano alle falde del Vesuvio, si trasforma in un fiume in piena. Nel video girato da Michele Del Prete, si vede l’acqua che scorre proprio come se si trovasse nel letto di un fiume. 

“L’acqua che scende dalla montagna”, spiega Michele Del Prete, “non incontra più ostacoli che ne possano rallentare la corsa. Sulle briglie, ci sono solo voragini e radici spezzate: una situazione che rischia di provocare smottamenti e frane da un momento all’altro”.

“Non c’è più tempo da perdere”, dicono gli esperti come Silvano Somma, dottore Forestale e presidente dell’associazione Primaurora. “Bonificare adesso significa trasformare gli alberi pericolanti in biomassa e mettere in sicurezza le città e le persone che vivono ai piedi del vulcano. Rinviare ancora significa creare i presupposti per un nuovo maxi rogo, per le frane e gli smottamenti”.

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Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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