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Traffico illecito di rifiuti tra Roma e Bologna: tra i sei arrestati ci sono anche 4 carabinieri

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Demolivano auto così come arrivavano nell’opificio. Omettevano lavori essenziali: privare le vetture di  batterie, filtri, lubrificanti, plastiche e motore che sono altamente inquinanti. Classificavano i materiali compattati come ‘rifiuti già trattati’ pur non essendo tali e agivano con la connivenza di carabinieri che li aiutavano ad eludere controlli. Sono sei le persone finite in carcere nell’ambito di un’inchiesta della  procura di Roma nata dal business dei demolitori di auto. Sono accusati, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti, corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio ed accesso abusivo ad un sistema informatico. 

Gli accertamenti sono partiti da una serie di aziende di autodemolizione che omettevano di bonificare le carcasse dei veicoli rottamati. Al centro dell’inchiesta c’è la Italferro srl di Bologna, azienda che trattava 30mila tonnellate annue di materiali compattati. I due manager titolari dell’impresa, un uomo di 68 anni ed il figlio di 47, sono finiti in manette per aver acquistato a prezzi tonnellate di materiali trattati in modo sbagliato e altamente pericolosi per l’ambiente. Sceglievano il materiale compattato male perché a loro costava molto meno. Tra le persone arrestate anche 4 carabinieri che, secondo le accuse, avrebbero aiutato gli imprenditori indagati informandoli dell’inchiesta a loro carico e ricevendo in cambio favori e utilità. Le indagini, partite nel 2017, sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Capitale e seguite dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico. Oltre agli arrestati, sono state denunciate a piede libero altre 6 persone.

 

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Associazione salute Ue per Nutriscore, l’Italia fa muro

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Non c’è pace per l’Italia e la dieta mediterranea sul fronte del Nutriscore. A tornare alla carica chiedendo alla Commissione Ue l’adozione urgente dell’etichetta a semaforo proprio quando la questione sembrava destinata a slittare a data da destinarsi è stata l’Associazione europea per la salute pubblica Eupha, organizzazione Ue a cui aderiscono 85 membri di 47 Paesi. Secondo l’Eupha, il Nutriscorse “è l’unico sistema”, tra i quattro presi in considerazione in sede europea, a rispondere ai criteri necessari per avere il maggiore “potenziale” per ridurre sul lungo termine le malattie dovute a una non corretta alimentazione. “Anche se nessun sistema può essere definito perfetto da tutti i soggetti interessati – si legge in un documento diffuso a titolo personale dall’Eupha – la sua adozione da parte di un numero crescente di Paesi membri fa del Nutriscore l’unica opzione praticabile per una tempestiva implementazione nell’Ue di un’etichetta nutrizionale sulle confezioni degli alimenti”.

Immediata e netta la reazione del governo. Alimentazione sana “non significa affidarsi al Nutriscore” che “è un’etichettatura condizionante basata su algoritmi matematici che pretendono di codificare l’alimentazione partendo da analisi criticabili”, ha osservato il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare e foreste Francesco Lollobrigida. E il sottosegretario Luigi D’Eramo, ha rincarato la dose sottolineando che la richiesta dell’Eupha “è lontana dai principi democratici alla base dell’Ue. Sorprende – ha detto D’Eramo – che venga bocciato il Nutrinform, che ha l’obiettivo di informare i consumatori, e promosso invece il Nutriscore che, come è scritto anche nel documento, è volto a orientarne le scelte. L’Eupha boccia il Nutrinform, noi bocciamo questa presa di posizione sia nel merito che nel metodo. Ribadiamo – ha aggiunto il sottosegretario – la ferma contrarietà a un sistema fuorviante che penalizza prodotti di eccellenza e legati ai territori. Continuiamo a preferire il Nutrinform e la dieta mediterranea”. Sulla stessa linea la delegazione leghista all’Europarlamento che in una nota parla di “attacco contro l’Italia” e di un “tentativo debole di sostenere un sistema sbagliato”.

“La battaglia della Lega è più viva che mai, serve fare fronte comune per difendere le nostre produzioni e le nostre eccellenze, facendo asse tra Roma e Bruxelles e con il governo, coinvolgendo anche il mondo associativo e riaffermando gli impegni più volte sottoscritti in Italia rispetto all’interesse nazionale. Se Bruxelles pensa di imporci dall’alto l’ennesima eurofollia, si sbaglia di grosso”.

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Più rinnovabili e meno Cina, nuovo piano industriale Ue

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Un’Europa Clean Tech e più slegata dalla Cina: in un corposo pacchetto di proposte legislative l’Ue ridisegna ancora una volta se stessa e rilancia, in chiave tutta industriale, il concetto di Green Deal. Il Net-Zero Industry Act e il Raw Materials Act si presentano come due piani complementari che puntano, da un lato alla produzione di tecnologie pulite e, dall’altro ad evitare, sulle materie prime strategiche cinesi, gli stessi errori fatti sul gas russo. Il Net Zero Act sarà oggetto di discussione al summit dei leader della prossima settimana. Ed è tutt’altro che scontato che sia ben accolto da tutti. L’inclusione del nucleare o meno tra le tecnologie strategiche, ad esempio, ha già diviso, e a lungo, la Commissione. Che alla fine è giunta ad un compromesso: il nucleare è rimasto fuori dalle tecnologie strategiche ma, quello di quarta generazione che produce scarti minimi, è rientrato nel piano come oggetto di sostegni mirati.

Il macro-obiettivo del Net-Zero Act è produrre ‘in-house’ entro il 2030 almeno il 40% della tecnologia pulita necessaria alla svolta verde. A questo fine l’Ue è pronta ad una serie di agevolazioni per tutti quei progetti che includano, innanzitutto, 8 tecnologie definite strategiche: dall’eolico al fotovoltaico, dal biogas all’elettrico. Permessi più facili, agevolazioni fiscali, sandbox regolamentari dove testare le nuove tecnologie in ambienti ad hoc sono tra i principali strumenti che Bruxelles metterà a disposizione. Il testo, tuttavia, mantiene una certa vaghezza sullo strumento numero uno: i finanziamenti. Certo, c’è il nuovo regime temporaneo di aiuti di Stato varato proprio con gli stessi obiettivi. C’è la banca dell’idrogeno, lanciata assieme al piano. E ci sono i programmi europei già in funzione, dal Recovery a InvestEu fino al Fondo Innovazione. Ma non basta. Lo sostengono gli industriali europei. Presto, potrebbero sostenerlo anche diverse capitali dell’Unione, Roma inclusa. Tutte aggrappate ad una frase contenuta nel piano: “una risposta più strutturale alle esigenze di investimento sarà fornita dal Fondo europeo di sovranità”.

Il Raw Material Act ha, invece, per oggetto un elenco di materie prime critiche la cui domanda è in costante crescita ma che, in futuro, potrebbero scarseggiare. Nichel, tungsteno, magnesio, elementi delle terre rare, litio sono solo alcuni esempi. Il piano è che, entro il 2030 l’Ue non usi oltre il 65% di materie critiche provenienti da un singolo Paese terzo. E, sebbene non sia scritto, si tratta della Cina. Tra gli obiettivi c’è anche quello di estrarre in Ue, entro lo stesso anno, almeno il 10% delle materie critiche utilizzate. “Oggi finisce l’ingenuità e si passa all’azione”, ha scandito il commissario al Mercato Interno Thierry Breton presentandosi ai cronisti con Frans Timmermans. E il vice presidente dell’esecutivo Ue si è anche soffermato sull’attacco alla direttiva sulle case green arrivato da Giorgia Meloni.”Ho letto sulla stampa italiana cose sbagliate, c’è bisogno di spiegare. E’ nell’interesse di Roma andare avanti”, ha sottolineato Timmermans dicendosi inoltre fiducioso in un accordo con la Germania per sbloccare l’altro dossier incandescente di questi giorni, lo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035. Ma le parole dell’olandese hanno subito innescato la brusca reazione di Fdi e Lega. “Abbiamo le idee molto chiare. Timmermans confonde la realtà con i suoi desideri, si rassegni e si goda gli ultimi mesi da commissario”, è stata la loro replica. E la sensazione è che il botta e risposta sia tutt’altro che finito.

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Amazzonia, persi 5 milioni di ettari di foresta in 5 anni

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Oltre 5 milioni di ettari di foresta amazzonica sono andati perduti tra gennaio 2017 e novembre 2021, l’equivalente dell’intero Costa Rica: lo documentano miliardi di immagini radar acquisite dai satelliti Sentinel-1 di Copernicus, il programma di osservazione della Terra di Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Commissione europea. E’ ormai dal 2015 che la missione Sentinel-1 permette di monitorare con una regolarità senza precedenti la salute delle foreste tropicali di tutto il mondo: milioni di gigabyte di dati vengono acquisiti giorno e notte, anche in presenza di nubi, nebbia, fumo o aerosol, permettendo così di avere aggiornamenti sulla deforestazione ogni 6-12 giorni con una risoluzione di 20 metri.

Grazie al progetto scientifico ‘Sentinel-1 for Science: Amazonas’ coordinato dall’Esa, oltre 450 terabyte di dati sono stati rielaborati ottenendo un ‘data cube’, ovvero una struttura di dati multidimensionale che contiene informazioni statistiche rilevanti per identificare la deforestazione. Grazie a questo approccio è stata condotta un’analisi dinamica della deforestazione dell’Amazzonia, con una mappa che indica la perdita di oltre 5,2 milioni di ettari in meno di cinque anni.

“Quello che stiamo vedendo dallo spazio è oltre un milione di ettari di foreste umide tropicali che scompaiono ogni anno nel bacino amazzonico, con l’anno peggiore che è il 2021 in Brasile. D’ora in poi possiamo tenere traccia di queste perdite e riferirle in modo trasparente e coerente ogni 12 giorni”, commenta l’esperta Neha Hunka della compagnia Gisat che collabora al progetto. Il prossimo obiettivo sarà quello di quantificare la perdita di carbonio sulla base delle variazioni della copertura del suolo, in collaborazione con il team Climate Change Initiative dell’Esa.

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