«Invecchiare non è facile, ma che bella avventura è stata». Parla così Livio Macchia, 83 anni, fondatore e anima dei Camaleonti, in una lunga e affettuosa intervista rilasciata al Corriere della Sera. Una chiacchierata a cuore aperto, che ripercorre 60 anni di carriera, tra concerti surreali sotto la neve, Sanremo dimenticati, successi da milioni di copie e ricordi indelebili di amici che non ci sono più.
Gli inizi tra scuola, rock e Teocoli
«Siamo partiti come tanti. Andavamo a scuola insieme, amavamo la musica. Poi abbiamo capito che potevamo farne una cosa seria», racconta Macchia. All’epoca c’erano Riki Maiocchi e Paolo De Ceglie, ma anche un giovane Teo Teocoli:
«Voleva cantare a tutti i costi. Per lui abbiamo adattato canzoni napoletane in chiave rock. Era un matto, un giullare, ma ha trovato la sua strada».
Il Clan Celentano, Battisti e Mogol
I Camaleonti orbitavano attorno al Clan Celentano:
«Adriano era divertente. Poi, come Battisti, è cambiato quando ha conosciuto la moglie».
Lucio Battisti, invece, era un amico di serate, cene e cinema, e regalò loro “Mamma mia”:
«È stato e sarà sempre il numero uno. Mogol cercava di cantare i testi per spiegarceli, ma non ci riusciva mai».
Sanremo, Eternità e i giudizi taglienti
Nel 1970 salirono sul palco di Sanremo con Ornella Vanoni:
«Simpatica e matta come una campana. Prima di entrare sul palco ci disse: “me la sto facendo addosso”».
In un’altra edizione, con i Dik Dik e Maurizio Mandelli, portarono “Come passa il tempo”:
«Baudo era convinto che avremmo vinto. Una giornalista stronza scrisse che facevamo “pop giurassico”. Ma non aveva capito nulla nemmeno lei».
Da “L’ora dell’amore” a St. Moritz con John Lennon
L’apice fu “L’ora dell’amore”, 2 milioni di copie vendute.
«Oggi con sei milioni di streaming ti compri un cartone di uova».
Ricorda concerti sotto la neve, richieste folli come quella del miliardario Niarchos che li voleva suonare a 4.000 metri a Capodanno, e perfino John Lennon:
«Ballava quei balli cretini in cui ti buttavi a terra all’improvviso».
I Camaleonti, una band di trasformisti
Il nome del gruppo nasceva dalla capacità di adattarsi:
«Suonavamo Villa, rock, soft, liscio. Eravamo ragazzi, non ce ne fregava niente e di nessuno».
Nel 1973 vinsero Un Disco per l’Estate con “Perché ti amo”, nonostante la casa discografica non credesse più in loro.
«Appena abbiamo vinto, si sono ricreduti e ci hanno pure pagato».
I ricordi: Maiocchi, De Ceglie, Cripezzi
Parla con affetto dei suoi compagni:
– Riki Maiocchi: «Un pazzo scatenato, un ribelle. Una sera ci ha detto “esco un attimo” e l’abbiamo rivisto un anno dopo».
– Paolo De Ceglie: «Un simpaticone, faceva scherzi. E amava le donne, ovviamente».
– Tonino Cripezzi: «Rompipalle e spendaccione, ma un amico vero. È morto tre anni fa, mi manca tantissimo».
La musica di oggi? Vasco sì, Ligabue no
Il Festival di Sanremo di oggi?
«Non me ne faccia parlare. Si contano solo le visualizzazioni. E certi over 50 che cantano “Cuoricini cuoricini”? Ma vai allo Zecchino d’Oro».
Su Ligabue è tranchant:
«Fa canzoni tutte uguali. Mille volte meglio Vasco Rossi: non canta, ma parla, almeno è vero».
Invecchiare e restare sul palco
A 83 anni, Macchia non si nasconde:
«A questa età abbiamo meno futuro e più passato. Ma amo ancora stare sul palco, mi mancano le luci, la piazza, persino i selfie della gente, anche se sono una rottura di palle».
E sul suo destino non ha dubbi:
«Spero nel Paradiso. Sono stato troppo bravo, mi vogliono tutti bene. Abbiamo vissuto una vita meravigliosa».