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Cronache

Solidarietà alla ragazza stuprata dalle attiviste di “non una di meno”, ma i giudici del Riesame hanno fatto a pezzi l’intera inchiesta

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Sullo stupro presunto della ragazza 24enne di Portici nell’ascensore della stazione della Circumvesuviana abbiamo letto tutto, di tutto e di tutti. Comprese opinioni e sentimenti di chi dovrebbe raccontare i fatti. I fatti dicono che tre ragazzi sono stati arrestati e sbattuti in carcere per aver commesso uno stupro. La decisione di metterli in carcere (è sempre una decisione estrema) è stata presa da un giudice delle indagini preliminari. Questi tre ragazzi sono stati scarcerati dal Tribunale del Riesame perchè, secondo quanto sommariamente si è appreso, le prove filmate del presunto stupro non sarebbero affatto così evidenti come si sostiene da giorni sui media da parte di chi, i giornalisti, evidentemente non hanno mai potuto vedere le immagini. Anzi, queste immagini dimostrerebbero il contrario della violenza. Ovviamente occorre fidarsi dei giudici. È loro responsabilità analizzare i fatti. In più ci sarebbe un quadro clinico psicologico della ragazza non perfettamente analizzato nella fase delle indagini preliminari che avrebbe indotto il Riesame a fare scelte diverse nell’accertamento del presunto stupro. Questi sono i fatti. In mezzo  a questi fatti ci sono, come accade purtroppo spesso nel paese del gossip e della giustizia spettacolo e dei talk show che riproducono e celebrano i processi in tv, le prese di posizione personali e le sentenze anticipate che però non fanno parte del nostro ordinamento. Anzi, sono una patologia. Ma si può contestare una decisione di un giudice? Con misura e con educazione sì.

Le attiviste dell’associazione “Non una di meno” di Napoli hanno manifestato a sostegno della ragazza di 24 anni che ha accusato i tre giovani di San Giorgio a Cremano di averla violentata. La manifestazione si è svolta alla stazione napoletana della Circumvesuviana di Piazza Garibaldi a sostegno della giovane che, affermano le attiviste, “dopo aver subito una gravissima violenza sessuale, si ritrova a subire la violenza mediatica e istituzionale”. La violenza mediatica, è comprensibile come accusa. Anche se ad esporre reiteratamente la ragazza a fare di telecamere (col volto oscurato) è sempre e da sempre il suo legale, Maurizio Capozzo. La violenza istituzionale, invece, dovrebbe essere quella dei giudici del Riesame che hanno scarcerato i tre giovani arrestati perchè – a loro parere-  la versione fornita dalla giovane potrebbe non corrispondere al vero. Le attiviste hanno scritto sul muro vicino ai binari della circum “Sorella, noi ti crediamo” mostrando anche cartelli con la stessa scritta.

I dubbi del Tribunale del Riesame di Napoli sull’attuale solidità dell’impianto accusatorio abbracciano anche i referti medici che sono stati allegati agli atti dell’inchiesta: la visita medica alla quale la ragazza è stata sottoposta subito dopo la denuncia di stupro non ha evidenziato ecchimosi o lacerazioni tipiche di un rapporto sessuale estorto con la forza; la relazione del centro Dafne sullo stato psicologico della ragazza non è invece ritenuta da valutare alla luce del fatto che essa non tiene conto del particolare quadro di salute mentale della ragazza. Insomma, le obiezioni del Riesame non sono leggere. E le riserve anche sul comportamento della polizia giudiziaria non sono lievi. È per questo motivo che i giudici del Tribunale del Riesame di Napoli hanno proceduto alla scarcerazione di Alessandro Sbrescia, Antonio Cozzolino e Raffaele Borrelli. Inchiesta chiusa, affossata? Occorre aspettare le motivazioni complete del Riesame e capire che cosa farà l’accusa. Se le impugnerà e come le impugnerà. Certo è che allo stato la credibilità della vittima è stata messa a dura prova, e le prove dello stupro (dai filmati ai referti medici) sono state quasi cassate. Dice: ma non è violenza tre ragazzi che “costringono” una giovane con problemi psicologici a fare sesso in una stazione della Circumvesuviana. Moralmente è una vergogna, penalmente occorre capire che cosa farà ora la Procura di Napoli.

 

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‘Nuova ondata di raid in Iran, distrutto aeroporto Tabriz’

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L’esercito israeliano ha lanciato un’altra ondata di attacchi in Iran. Secondo quanto si apprende da fonti militari, l’aeronautica ha distrutto l’aeroporto di Tabriz, in Iran nord-occidentale.

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Maria Rosaria Boccia indagata per falso e truffa sulla laurea: lei replica e annuncia querele

La Procura di Napoli indaga Maria Rosaria Boccia per falso e plagio sulla tesi di laurea. L’imprenditrice replica: “Persecuzione mediatica, querelo tutti”.

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La Procura di Napoli ha iscritto l’imprenditrice Maria Rosaria Boccia nel registro degli indagati con le ipotesi di reato di falso, truffa e falsa attribuzione di valori altrui. Al centro dell’inchiesta, l’autenticità della sua laurea in Economia e Management e il presunto plagio della tesi finale. L’indagine, riportata oggi da “Il Mattino” e “la Repubblica”, si basa su un esposto presentato dall’università telematica Pegaso, dove Boccia si è laureata nel 2021 con 91/110.

Accertamenti in tre università

I finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Napoli hanno eseguito acquisizioni documentali presso gli atenei Parthenope, Pegaso e Luiss. In particolare, all’atto dell’iscrizione alla Pegaso, Boccia avrebbe presentato un’autocertificazione non firmata per il riconoscimento di alcuni esami sostenuti in precedenza alla Parthenope. La denuncia dell’università riguarda inoltre il presunto plagio di una tesi presentata da una studentessa della Luiss nel 2019: entrambi gli elaborati sarebbero risultati sovrapponibili secondo un software antiplagio, in seguito a un servizio televisivo andato in onda il 9 settembre 2024 su Rete 4.

Le accuse: documentazione irregolare e tesi sospetta

Secondo le verifiche interne, Pegaso avrebbe accolto l’autocertificazione della Boccia senza accertare con l’ateneo di provenienza l’effettivo superamento degli esami. Contestualmente, l’elaborato finale della laurea è stato ritenuto troppo simile a quello già discusso da un’altra studentessa della Luiss, dal titolo “Il Sistema Sanitario Nazionale: luci e ombre di un’eccellenza italiana stretta dai vincoli della finanza pubblica”.

Boccia si difende: “Persecuzione mediatica”

L’imprenditrice ha replicato annunciando querele contro testate e giornalisti: «Sono vittima di una persecuzione mediatica. Hanno diffuso notizie false e manipolate su di me». Boccia denuncia inoltre un “silenzio assordante” su un’indagine per stalking che vedrebbe coinvolto l’ex ministro Gennaro Sangiuliano, a cui la donna è stata legata da una collaborazione. «Come mai la stampa si accanisce contro di me mentre tace su un’inchiesta tuttora aperta su Sangiuliano?», si chiede.

Ha annunciato esposti all’Ordine dei Giornalisti e alle procure competenti, accusando i media di agire «non per libertà di stampa ma per complicità». «Vedremo se questa volta qualcuno avrà il coraggio di raccontare anche quello che è stato tenuto nascosto», conclude.


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Sanità siciliana, dieci misure cautelari per appalti truccati e corruzione

Svelato un sistema criminale tra pubblici dirigenti, imprenditori e lobbisti: “Una sanità malata di corruzione”.

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Un comitato d’affari criminale avrebbe gestito per anni gli appalti della sanità siciliana, pilotando gare per un valore complessivo di 130 milioni di euro. È quanto emerge dall’inchiesta condotta dalla Procura di Palermo, che ha ottenuto dal Gip l’emissione di dieci misure cautelari nei confronti di dirigenti pubblici, imprenditori, lobbisti e collaboratori, legati da rapporti di contiguità con esponenti politici di rilievo.

Secondo gli inquirenti, la sanità pubblica in Sicilia sarebbe “affetta da una corruzione sistemica”, come definito nel provvedimento firmato dal giudice per le indagini preliminari, su richiesta dei pm coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia. Le indagini sono state condotte dalle Fiamme Gialle del comando provinciale di Palermo, già protagoniste di una maxi inchiesta degli anni scorsi sempre sullo stesso filone.

Gare truccate e bandi su misura per le imprese “amiche”

Dall’inchiesta emergono condotte gravissime: capitolati d’appalto costruiti ad hoc su indicazioni degli imprenditori interessati, bande annullate se ritenute non favorevoli e documentazione riservata consegnata in anticipo dai dirigenti pubblici ai loro referenti privati.

A questo si aggiungono tentativi di influenzare la composizione delle commissioni aggiudicatrici, nominando membri considerati “affidabili”, e un sistema ben collaudato di tangenti legate al valore delle commesse, spesso mascherate da finti contratti di consulenza o assunzioni di familiari.

Le accuse e le misure cautelari

Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di corruzione, turbata libertà degli incanti, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e frode fiscale legata all’uso di fatture per operazioni inesistenti.

Le misure cautelari emesse vanno dagli arresti domiciliari, agli obblighi di dimora, fino ai provvedimenti interdittivie all’obbligo di firma presso le forze dell’ordine. La normativa attuale ha previsto anche interrogatori preventivi obbligatori per tutti gli indagati.

Un sistema criminale che minaccia il diritto alla salute

Questa inchiesta riaccende i riflettori su un settore fondamentale, quello della sanità pubblica, da troppo tempo vulnerabile a logiche clientelari e corrotte. Un sistema che, secondo la Procura, mina non solo la trasparenza della spesa pubblica, ma anche la qualità dell’assistenza sanitaria e la fiducia dei cittadini nello Stato.

Figura chiave dell’ultimo capitolo dell’indagine della procura di Palermo sulle gare truccate nella sanità siciliana è Antonino Maria Sciacchitano detto “Ninni”, commercialista, componente del collegio sindacale dell’ospedale Civico e dell’Asp di Palermo, consulente dell’Asp di Caltanissetta per le problematiche contabili, presidente di valutazione dei manager della sanità pubblica, Proprio presso il suo studio, nelle settimane scorse, nel corso di una perquisizione, sono stati trovati 44 mila euro in contanti oltre a 3mila euro scoperti durante una perquisizione personale. Altri personaggi importanti dell’indagine sono l’imprenditore Giovanni Cino, vicinissimo a Sciacchitano, e il faccendiere campano Catello Cacace.

A Sciacchitano e Cacace il gip ha dato i domiciliari. Cino ha l’obbligo di dimora. Secondo gli inquirenti, le gare sarebbero state gestite illecitamente da una struttura piramidale che al suo apice vedeva proprio Sciacchitano, per l’accusa” in grado di coagulare intorno a sé faccendieri, funzionari pubblici e imprenditori scelti perchè in grado di assicurare la miglior sintesi possibile fra istanze dell’imprenditoria e velleità di carrierismo e arricchimento illecito di pubblici dipendenti infedeli”. Sciacchitano era affiancato da Giovanni Cino e Catello Cacace che lo aiutavano nella cura delle relazioni create e alimentate con i funzionari pubblici e sul versante delle imprese, “per strutturare intese fra aziende in grado di creare realtà economiche tanto solide da poter partecipare ai bandi garantendo la credibilità e i requisiti economico-patrimoniali necessari”, dicono gli inquirenti.

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