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Schlein ‘passi avanti’. Pd punta all’intesa complessiva

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E’ arrivata in terra campana e, pochi giorni dopo l’attacco del presidente Vincenzo De Luca alla candidatura di un cinque stelle alla guida della Regione, la segretaria del Pd Elly Schlein ha parlato di “passi avanti” nelle alleanze. Che il nome in ballo sia quello dell’ex presidente della Camera Roberto Fico non è un mistero. Come non è un mistero che De Luca non gradisca la scelta. E allora, quei “passi avanti” rivendicati da Schlein sono suonati un po’ come una replica al governatore, un modo per fargli capire che le sue intemerate non le hanno fatto cambiare rotta. “Siamo al lavoro per chiudere le alleanze più competitive e inclusive in tutte le regioni per riuscire a battere le destre – ha spiegato la segretaria – Stiamo dialogando per tenere insieme tutti”. Insomma, la partita della Campania non è slegata da quelle delle Marche e della Toscana.

L’obiettivo di Schlein è schierare il campo largo ovunque. In Veneto esiste già ed è al seguito dell’ex sindaco di Treviso Giovanni Manildo, mentre in Puglia c’è un impasse: il Pd deve trovare una quadra per la corsa dell’eurodeputato Antonio Decaro, che non gradisce le candidature al consiglio regionale del governatore uscente Michele Emiliano (Pd) e dell’ex governatore Nichi Vendola (Sinistra italiana). Mentre accade tutto questo, il M5s osserva: “De Luca è libero di pensarla come vuole – ha spiegato il vice di Giuseppe Conte, Michele Gubitosa – Siamo di fronte ad attacchi interni riferiti al Pd. Noi facciamo un passo di lato. Ci togliamo dai problemi che in questo momento il Pd sta affrontando internamente e pensiamo ai temi da portare in campagna elettorale”. Parole pronunciate a margine di un incontro fra studenti e “campo largo” a Paestum, con Schlein, Gubitosa e il deputato di Avs Nicola Fratoianni. “Stiamo facendo una discussione in tutta Italia per cercare di costruire coalizioni coese, ampie, credibili”, ha detto Fratoianni. Poi, parlando della Campania: “Penso che Roberto Fico sia un autorevolissimo esponente della politica”. La sensazione fra i cinque stelle è che De Luca stia cercando di alzare la posta nella trattativa col suo partito, approfittando delle difficoltà create alla segretaria dalle indagini sul candidato presidente delle Marche, l’eurodeputato Pd Matteo Ricci, e sul sindaco di Milano Beppe Sala. In ogni caso – è il ragionamento – si tratta di vicende interne al Pd che spetta al Pd risolvere. Resta però il fatto che le parole di De Luca sono state accolte con gelo da Conte, anche perché il tema delle regionali era stato al centro di almeno due confronti: uno fra loro e uno anche con Schlein. E la questione sembrava in via di definizione.

Per le Marche, il M5s non pare sul piede di guerra. Conte ha fatto un’apertura a Ricci, anche se ha posto dei paletti: sarà importante l’esito dell’interrogatorio di mercoledì, quando Ricci comparirà davanti ai pm che lo accusano di corruzione. Prima di Ricci sarà interrogato il suo ex collaboratore per la comunicazione social, Massimiliano Santini, una delle figure centrali per l’inchiesta. Per lui l’appuntamento in procura è domani. In Toscana si va verso la ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani (Pd). Un nome che “non scalda i cuori” del M5s, reduci da 5 anni di opposizione in consiglio regionale. Ma la trattativa per l’alleanza è in corso: l’ipotesi di un sostegno del partito di Conte resta in campo.

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Veneto, la Lega sogna la corsa solitaria: lo spettro del modello-Zaia agita il centrodestra

La Lega veneta sfida il centrodestra nazionale: Zaia fuori dai giochi, ma la sua Lista è al centro dello scontro per la successione. Il precedente del 2002 torna d’attualità.

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Una corsa solitaria della Lega in Veneto sembra improbabile ma non impossibile. Il precedente esiste, risale al 2002, ed è targato Luca Zaia. Allora presidente della Provincia di Treviso, Zaia decise di ricandidarsi con la sola Lega contro l’intera coalizione di centrodestra. Vinse. Oggi, a distanza di oltre vent’anni, quello scenario torna a preoccupare la leadership nazionale di Fratelli d’Italia e Lega, alle prese con la delicata partita per la successione alla guida della Regione Veneto.

La lezione del 2002 e il peso di Zaia

Zaia, che non può ricandidarsi dopo 15 anni alla guida della Regione, continua però a pesare come un macigno sulle scelte del centrodestra. La “Lista Zaia” è considerata dai suoi fedelissimi uno strumento determinante per continuare a governare il Veneto con lo stesso modello di efficienza e apertura civica che ha garantito alla Lega consensi ben oltre l’alveo del centrodestra.

Zaia lo ha ribadito più volte: «Molti elettori non si riconoscono nei partiti ma sostengono il nostro modello di governo». E questo modello, secondo la sua squadra, non può essere sacrificato in nome di equilibri romani.

Salvini e Meloni vogliono chiudere il caso

La linea di Matteo Salvini è chiara: nessuna lista autonoma. La candidatura in quota Lega — con Alberto Stefani, vicesegretario federale, in pole position — dovrebbe essere sufficiente a garantire continuità e unità della coalizione. Ma la base veneta non ci sta. Meloni, dal canto suo, è contraria a qualsiasi concessione che possa sembrare una deroga agli attuali rapporti di forza, che vedono Fratelli d’Italia nettamente avanti alle ultime politiche ed europee.

Il rischio, per il centrodestra, è una frattura irreparabile in una delle regioni più simboliche e strategiche in vista delle future elezioni politiche.

Il Veneto laboratorio di sfida

La Liga veneta non si rassegna a subire decisioni calate dall’alto. A Padova e Treviso cresce la convinzione che anche una corsa autonoma, senza Zaia candidato, ma con il suo marchio civico e la sua squadra, possa risultare vincente. Il confronto tra esperienza amministrativa e numeri nazionali è tutto da giocare: «Noi abbiamo cultura di governo, FdI non ha ancora una classe dirigente all’altezza», ribadiscono i fedelissimi del Doge.

Il braccio di ferro è appena cominciato. Ma il Veneto si conferma, ancora una volta, laboratorio politico di tensioni pronte a esplodere a livello nazionale.

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Matteo Ricci indagato per corruzione, campagna elettorale sospesa in attesa dell’interrogatorio

Il candidato del centrosinistra nelle Marche Matteo Ricci indagato per corruzione. Campagna sospesa, mercoledì sarà ascoltato dai magistrati. Pressioni dal centrodestra, attesa per la decisione del M5S.

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Matteo Ricci (foto Imagoeconomica), candidato del centrosinistra allargato al M5S per la presidenza delle Marche, si prepara a un momento decisivo: mercoledì comparirà davanti ai magistrati per chiarire la sua posizione nell’inchiesta che lo vede indagato per corruzione. L’inchiesta riguarda presunti affidamenti diretti per oltre 500 mila euro, quando era sindaco di Pesaro, a due associazioni culturali vicine all’ex collaboratore Massimiliano Santini, anch’egli indagato.

La strategia della difesa

Dopo le prime dichiarazioni pubbliche in cui ha ribadito la propria «completa estraneità» ai fatti, Ricci ha scelto il profilo basso. «Non vedo l’ora di rispondere», ha detto, preferendo sospendere appuntamenti televisivi già programmati. Il suo staff ostenta tranquillità: «Il programma è pronto, abbiamo già visitato la quasi totalità dei Comuni marchigiani, l’alleanza è solida».

Ma lo stop alle uscite pubbliche è evidente. E, con l’avvicinarsi del voto del 28 e 29 settembre, il silenzio del candidato pesa sempre di più.

Le accuse e il pressing dell’opposizione

Il centrodestra pesarese insiste nel ritenere Ricci informato degli affidamenti. In particolare, la consigliera comunale d’opposizione Giulia Marchionni afferma: «Non può dire di non conoscere l’associazione Opera Maestra, è citata nelle delibere di giunta». La stessa opposizione aveva chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta e l’audizione di Ricci in Commissione Trasparenza, ma entrambe le richieste sono state respinte dalla maggioranza.

Nella giornata di oggi è previsto l’interrogatorio del principale collaboratore di Ricci, Massimiliano Santini. Sabato scorso, invece, Stefano Esposto — presidente delle due associazioni coinvolte — si è avvalso della facoltà di non rispondere.

Le ricadute politiche nazionali

L’inchiesta marchigiana si intreccia con le manovre in corso nelle altre Regioni al voto. Elly Schlein, da Napoli, ha tentato di distendere i toni dopo le critiche di Vincenzo De Luca a Roberto Fico, possibile candidato alla successione in Campania: «Stiamo lavorando per costruire alleanze forti e inclusive in tutte le regioni per battere la destra», ha detto la segretaria Pd.

Il Movimento 5 Stelle resta in attesa di sviluppi: la conferma del sostegno a Ricci potrebbe arrivare solo dopo il suo interrogatorio.

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Politica

Finita attesa sui dazi, Meloni: ora vediamo i dettagli

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La cosa fondamentale era mettere parola fine all’incertezza. Ed è per questo che Giorgia Meloni, pur non conoscendo ancora i “dettagli” utili a “giudicare nel merito”, plaude all’intesa finalmente raggiunta tra Usa e Ue sui dazi, al termine di un pomeriggio dedicato ai suoi ospiti africani. La sua seconda missione in Etiopia doveva essere l’occasione per toccare con mano i progressi del Piano Mattei, e per promuovere quel nuovo approccio ai rapporti con l’Africa, da concretizzare con il sostegno allo sviluppo nei suoi territori. Ma non è stato il vertice sui sistemi alimentari dell’Onu il primo pensiero con cui la premier è atterrata nel pomeriggio ad Addis Abeba, per co-presiedere il summit con il suo omologo Abiy.

L’attesa era, inevitabilmente, tutta per quell’accordo sui dazi con gli Stati Uniti che rimane appeso a un filo fino all’ultimo. “Considero positivo che ci sia un accordo”, si limita a dire Meloni davanti ai cronisti, rientrando in albergo proprio mentre dalla Scozia arrivano i primi dettagli dell’intesa sulle tariffe commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Per valutarne a fondo la portata bisogna vedere bene “le tabelle”, spiegano dal governo, e voce per voce come sarà applicato quel 15% che certo non era l’obiettivo iniziale di Roma, ma che rimane comunque nelle prime analisi a caldo ai piani alti del governo, assorbibile dall’economia italiana. Roma aveva professato dall’inizio, e lavorato intensamente, a “dazi zero” e la creazione della più grande area di libero scambio mondiale, che però non era già più all’orizzonte da mesi.

Il 10% sarebbe stato ben tollerato, hanno sempre argomentato il governo e la stessa premier, e anche il 15%, soprattutto se modulato salvaguardando alcuni settori critici, rimane sostenibile. C’è da capire, in sostanza, come verrà applicata la nuova tariffa del 15%, se aggiuntiva o flat (che assorbe, cioè i dazi esistenti), per valutarne l’impatto reale categoria per categoria. E poi ci sono le “esenzioni” su cui un po’ tutti i Paesi europei contano. L’Italia, con Spagna e Francia preme ad esempio perché siano salvaguardati i prodotti agricoli e le loro derivazioni (come i formaggi a pasta dura e il vino). Ma la chiusura dell’accordo in sé, è il mood che si respira nell’esecutivo, già basterà a far ripartire l’export che aveva subito una battuta di arresto, dopo la corsa agli stoccaggi iniziali, in attesa di vedere l’esito della trattativa.

Il risultato però non placa affatto la protesta delle opposizioni, con Elly Schlein che già prima delle notizie sull’intesa parlava senza mezzi termini di “fallimentare accondiscendenza” nei confronti dell’amministrazione americana e il Pd che invoca quelle “politiche industriali” di cui il governo, nella loro visione, è privo. Ma la difesa delle imprese, replica il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, è in cima alle priorità dell’esecutivo, che pure ha congelato anche la revisione del Pnrr in attesa di capire come si chiudeva la partita con gli Usa. Di “disfatta” per von der Leyen e Meloni parla il Movimento 5 Stelle mentre Carlo Calenda definisce “demenziale” il ragionamento della presidente della Commissione e l’intesa una “capitolazione” dell’Europa e Nicola Fratoianni prevede ora un “disastro sociale”. Meloni per tutto il pomeriggio è comunque impegnata con i partner africani. Il vertice Onu è l’occasione per fare un punto, anche con il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Mohamoud Ali Youssouf.

E poi per incontrare, ad Addis Abeba, una rappresentanza di religiosi italiani (dalle suore comboniane ai salesiani) attivi in Etiopia, che sono presenza storica nella regione a supporto soprattutto dei più fragili e delle zone più remote. Meloni, tailleur nero e capelli liscissimi, è accolta all’aeroporto da un gruppo di studentesse in abiti tipici, e coi missionari incontra anche tanti bimbi (che saluta in italiano, che la abbracciano). In serata incassa il sostegno dell’Unione africana al Piano Mattei. Di cui si discuterà ampiamente nella seconda giornata della missione.

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