La cosa fondamentale era mettere parola fine all’incertezza. Ed è per questo che Giorgia Meloni, pur non conoscendo ancora i “dettagli” utili a “giudicare nel merito”, plaude all’intesa finalmente raggiunta tra Usa e Ue sui dazi, al termine di un pomeriggio dedicato ai suoi ospiti africani. La sua seconda missione in Etiopia doveva essere l’occasione per toccare con mano i progressi del Piano Mattei, e per promuovere quel nuovo approccio ai rapporti con l’Africa, da concretizzare con il sostegno allo sviluppo nei suoi territori. Ma non è stato il vertice sui sistemi alimentari dell’Onu il primo pensiero con cui la premier è atterrata nel pomeriggio ad Addis Abeba, per co-presiedere il summit con il suo omologo Abiy.
L’attesa era, inevitabilmente, tutta per quell’accordo sui dazi con gli Stati Uniti che rimane appeso a un filo fino all’ultimo. “Considero positivo che ci sia un accordo”, si limita a dire Meloni davanti ai cronisti, rientrando in albergo proprio mentre dalla Scozia arrivano i primi dettagli dell’intesa sulle tariffe commerciali tra le due sponde dell’Atlantico. Per valutarne a fondo la portata bisogna vedere bene “le tabelle”, spiegano dal governo, e voce per voce come sarà applicato quel 15% che certo non era l’obiettivo iniziale di Roma, ma che rimane comunque nelle prime analisi a caldo ai piani alti del governo, assorbibile dall’economia italiana. Roma aveva professato dall’inizio, e lavorato intensamente, a “dazi zero” e la creazione della più grande area di libero scambio mondiale, che però non era già più all’orizzonte da mesi.
Il 10% sarebbe stato ben tollerato, hanno sempre argomentato il governo e la stessa premier, e anche il 15%, soprattutto se modulato salvaguardando alcuni settori critici, rimane sostenibile. C’è da capire, in sostanza, come verrà applicata la nuova tariffa del 15%, se aggiuntiva o flat (che assorbe, cioè i dazi esistenti), per valutarne l’impatto reale categoria per categoria. E poi ci sono le “esenzioni” su cui un po’ tutti i Paesi europei contano. L’Italia, con Spagna e Francia preme ad esempio perché siano salvaguardati i prodotti agricoli e le loro derivazioni (come i formaggi a pasta dura e il vino). Ma la chiusura dell’accordo in sé, è il mood che si respira nell’esecutivo, già basterà a far ripartire l’export che aveva subito una battuta di arresto, dopo la corsa agli stoccaggi iniziali, in attesa di vedere l’esito della trattativa.
Il risultato però non placa affatto la protesta delle opposizioni, con Elly Schlein che già prima delle notizie sull’intesa parlava senza mezzi termini di “fallimentare accondiscendenza” nei confronti dell’amministrazione americana e il Pd che invoca quelle “politiche industriali” di cui il governo, nella loro visione, è privo. Ma la difesa delle imprese, replica il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, è in cima alle priorità dell’esecutivo, che pure ha congelato anche la revisione del Pnrr in attesa di capire come si chiudeva la partita con gli Usa. Di “disfatta” per von der Leyen e Meloni parla il Movimento 5 Stelle mentre Carlo Calenda definisce “demenziale” il ragionamento della presidente della Commissione e l’intesa una “capitolazione” dell’Europa e Nicola Fratoianni prevede ora un “disastro sociale”. Meloni per tutto il pomeriggio è comunque impegnata con i partner africani. Il vertice Onu è l’occasione per fare un punto, anche con il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Mohamoud Ali Youssouf.
E poi per incontrare, ad Addis Abeba, una rappresentanza di religiosi italiani (dalle suore comboniane ai salesiani) attivi in Etiopia, che sono presenza storica nella regione a supporto soprattutto dei più fragili e delle zone più remote. Meloni, tailleur nero e capelli liscissimi, è accolta all’aeroporto da un gruppo di studentesse in abiti tipici, e coi missionari incontra anche tanti bimbi (che saluta in italiano, che la abbracciano). In serata incassa il sostegno dell’Unione africana al Piano Mattei. Di cui si discuterà ampiamente nella seconda giornata della missione.