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Politica

Salvini fa salire 450 migranti su due pattugliatori della Finanza per rispedirli in Libia o a Malta

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L’inchiesta sulle presunte violenze, ammutinamenti, tentativi di dirottamento da parte dei migranti raccolti dal rimorchiatore Vos Thalassa in acque libiche sono ancora in corso. Le polemiche seguite allo sbarco dei migranti a Trapani da nave Diciotti della Guardia Costiera ancora non sono sopite. Così come resta alta la tensione tra Quirinale e Viminale. Il capo dello Stato Sergio Mattarella avrebbe chiesto attenzione e ponderazione sulle scelte che il Paese fa nel Mediterraneo. Dal Quirinale non si fa certo mistero di non gradire l’eccesso di protagonismo del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Gli sherpa che tengono i rapporti tra Governo e Quirinale provano a cucire ogni strappo. Mattarella vorrebbe un premier più protagonista, non appariscente ma leader nella direzione politica del Governo. In ogni caso la questione migranti tiene e terrà banco ancora nelle prossime ore, nei prossimi giorni, nei prossimi mesi. Ogni giorno avrà la sua pena. L’ultima pena è un barcone di profughi che ha mollato gli ormeggi a Zuara, in Libia, facendo rotta verso l’Italia.  A nulla è servito l’intervento del ministro Salvini che sui social (mentre le autorità italiane lo facevano in maniera ufficiale attraverso canali diplomatici) avvisava che nessun porto italiano avrebbe accolto il carico di disperati. Il ministro ha spiegato che la destinazione del peschereccio doveva essere o il rientro in Libia oppure lo sbarco a La Valletta. Nelle acque maltesi l’imbarcazione è passata senza che nessuna motovedetta abbia fatto alcunché per fermarla e farla entrare nel porto più vicino, La Valletta, per identificare gli occupanti e poi procedere secondo le norme di diritto internazionale. «Sappiano Malta, gli scafisti e i buonisti di tutta Italia e di tutto il mondo – ha scritto Salvini sui social – che questo barcone in un porto italiano non può e non deve arrivare». Posizione cui si è poi associato anche il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli: «Malta faccia subito il suo dovere, aprano il loro porto». 

Questione migranti. Il premier Conte e il ministro Salvini in stretto contatto per la gestione della crisi nel Mediterraneo

E siccome Malta non ha mosso un dito, fingendo di non capire o deliberatamente ignorando che una barca attraversava il suo spazio marino e che magari gli occupanti potevano aver bisogno di aiuto, il carico di migranti è arrivato in acque italiane. La crisi diplomatica tra Italia e Malta è stata evitata, per ora, da un tweet. Il portavoce del premier Joseph Muscat, ha giustificato il mancato intervento con il desiderio dei profughi, che “contattati hanno detto che volevano procedere verso Lampedusa”. E così al tweet di Salvini è arrivata una risposta via tweet da La Valletta. Resta la questione fondamentale dei migranti sul barcone da salvare. La scelta del Governo italiano arriva in poche ore. Dopo frenetiche consultazioni tra Viminale e Palazzo Chigi. I 450 disperati sono stati trasbordati in mezzo al mare su due pattugliatori della Guardia di Finanza. In 175 sul Protector, gli altri 266 sul “Monte Sperone”. Altre otto persone, donne e bambini non in buone condizioni di salute sono stati trasferiti a Lampedusa per i primi soccorsi sanitari. Ora la questione è: dove saranno sbarcati i migranti a bordo dei due pattugliatori? Salvini è irremovibile. Non ne vuole sapere di aprire i porti italiani ad imbarcazioni che violano le norme internazionali.

“In Italia si arriva solo con mezzi legali”, ha spiegato il ministro dell’Interno. «Si nutrono e curano tutti a bordo, mettendo in salvo donne incinte e bambini, ma non si arriva in nessun porto. Non possiamo cedere, la nostra fermezza salverà tante vite e garantirà sicurezza a tutti» è la posizione di Salvini. Al premier Conte, che preme molto un rapporto di buon vicinato tra Viminale e Quirinale, Salvini ha spiegato che “da quando siamo al governo, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ci sono stati oltre 27mila sbarchi in meno! Se vogliamo mantenere questi risultati positivi, non possiamo mostrare debolezze». Potrebbero essere riportati tutti in Libia di accordo con le autorità di Tripoli. Sarebbe un respingimento che non è previsto dalle norme internazionali. Ma si sa, il governo italiano in carica e soprattutto il ministro Salvini sulla questione migranti forzano e forzeranno la mano fino a quando l’Unione Europea non deciderà di aiutare l’Italia a fronteggiare questo esodo di popolo dall’Africa.

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Politica

Tajani: «Alto rischio di escalation, ma non siamo alla vigilia di una guerra mondiale. L’Italia lavora per una mediazione»

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In un momento drammatico per gli equilibri internazionali, il ministro degli Esteri Antonio Tajani lancia l’allarme sul rischio che la guerra tra Israele e Iran possa estendersi ad altri Paesi del Medio Oriente, ma esclude l’ipotesi di una guerra mondiale. Lo fa in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, dove ribadisce l’impegno dell’Italia a mediare, mantenendo contatti aperti con tutte le parti coinvolte.

Il rischio di un’escalation regionale

«La preoccupazione è alta», afferma Tajani, sottolineando che l’Europa deve attivarsi subito coinvolgendo gli Stati arabi moderati per fermare l’escalation. «Non siamo alla vigilia di uno scontro mondiale, ma il rischio di un allargamento del conflitto esiste».

Diplomazia italiana al lavoro

Il ministro rivela di aver avuto numerosi colloqui nelle ultime ore con le controparti di Israele, Iran, Arabia Saudita, Emirati e altri Paesi della regione. «Dall’Iran ho ricevuto un segnale positivo: non intendono ostacolare il traffico commerciale nello Stretto di Hormuz», racconta. L’obiettivo primario, spiega, è rilanciare il dialogo tra Stati Uniti e Iran.

L’arma nucleare come linea rossa

Tajani chiarisce che la possibilità che l’Iran possa dotarsi dell’arma nucleare è per l’Italia “inaccettabile”. «Il governo iraniano deve offrire segnali concreti di pace, a cominciare dalla rinuncia al nucleare militare», afferma.

La posizione dell’Italia sull’attacco israeliano

Alla domanda se l’Italia consideri legittimo l’attacco di Israele, Tajani risponde: «Israele ha il diritto di difendersi da una minaccia che da anni lo vorrebbe cancellare dalla carta geografica. La fine del conflitto è l’unico vero obiettivo da perseguire».

Sulla possibilità che il regime iraniano possa crollare sotto i colpi dell’operazione israeliana “Il Leone nascente”, Tajani risponde che il nome scelto lascia aperta questa eventualità, ricordando che il leone era il simbolo della monarchia dello Scià.

Il ruolo degli Stati Uniti e dell’Europa

Il ministro riconosce l’importanza degli Stati Uniti, ma invita l’Europa a fare di più: «Non possiamo limitarci a dire che l’Europa è assente. L’Europa è casa nostra. Ma va riformata, soprattutto in politica estera e di difesa».

Quanto alla Russia, auspicata come mediatrice anche da Donald Trump, Tajani è netto: «Non credo che la Russia possa avere un ruolo in questo conflitto. Sarebbe importante piuttosto che Putin fermasse l’aggressione all’Ucraina».

Sicurezza degli italiani e allerta terrorismo

Il ministro ha assicurato che l’Italia è in allerta massima per prevenire possibili atti di terrorismo sul proprio territorio. «Il ministro Piantedosi e l’intelligence seguono con attenzione ogni sviluppo, e abbiamo già disposto protezione per le sedi diplomatiche israeliane e i luoghi di culto ebraici».

In conclusione, Tajani tocca anche un tema di politica interna: il terzo mandato dei governatori regionali, contestato da Salvini. «Tre mandati sono troppi. Ma siamo pronti al confronto con gli alleati di maggioranza», chiarisce.

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Economia

L’Italia entra nel club del nucleare, sì all’alleanza Ue

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Da osservatore a membro effettivo e operativo. In poco più di due anni l’Italia ha superato il tabù sul ruolo del nucleare nella decarbonizzazione ed è entrata a pieno titolo nell’alleanza Ue guidata dalla Francia, che dal 2023 promuove a Bruxelles gli interessi dei Paesi pro-atomo nel continente. La scelta è arrivata dopo la decisione del governo “di presentare il disegno di legge per il ritorno alla produzione di energia nucleare”, ha sottolineato il ministro Gilberto Pichetto, suggellando il rinato interesse del Paese per la fonte prodotta da reattori di nuova generazione nell’intento di promuovere “con convinzione il principio della neutralità tecnologica” e seguire “una transizione energetica sostenibile che garantisca la resilienza del sistema energetico e favorisca imprese e famiglie”.

Una strategia è in piena sintonia con il piano Ue per la sicurezza energetica, lanciato per ridurre l’uso di combustibili fossili, puntare su fonti alternative e voltare pagina rispetto alla dipendenza energetica dalla Russia. L’Italia si è unita al fronte sempre più nutrito e ormai consolidato di cui fanno parte, oltre a Parigi, anche Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia ed Estonia (quest’ultima come osservatore). E a cui, timidamente, si è affacciata – sempre nel ruolo di osservatore – anche la ministra tedesca Katherina Reiche, confermando un cambio di passo di Berlino sulle politiche energetiche e, in particolare, sul nucleare destinato a cambiare le carte in tavola. Per spingerlo, nelle stime di Bruxelles, saranno necessari investimenti pari a 241 miliardi di euro entro il 2050, destinati sia alla costruzione di nuovi reattori sia al prolungamento della vita degli impianti esistenti.

A dominare l’agenda dei ministri dell’Energia riuniti a Lussemburgo è stata la sicurezza energetica nel suo insieme. Con il nodo politico più complicato da sciogliere: lo stop agli ultimi legami con Mosca. Nelle prossime ore è attesa la proposta legislativa della Commissione europea per vietare tutti i contratti di fornitura di gas russo entro la fine del 2027, ma l’unanimità per dare impulso all’azione dell’esecutivo di Ursula von der Leyen è mancata anche questa volta. Ungheria e Slovacchia si sono infatti sfilate dalle conclusioni finali del Consiglio, costringendo la Polonia – presidente di turno Ue – a contare solo sul sostegno degli altri 25 Paesi membri. Ma i veti non rallentano l’azione del commissario Ue Dan Jorgensen. In linea con la tabella di marcia presentata a maggio, Palazzo Berlaymont dovrebbe introdurre lo stop immediato a nuovi contratti con Mosca, mentre quelli a breve termine già in vigore dovranno essere interrotti a partire dal 2026 e quelli a lungo termine entro fine 2027.

L’esecutivo Ue è tornato ad assicurare che le imprese non incapperanno in conseguenze legali, potendo invocare la clausola di ‘forza maggiore’, come già avviene per le sanzioni. Per aggirare l’opposizione di Budapest e Bratislava, Bruxelles farà ricorso al diritto commerciale, che consente di adottare le misure a maggioranza qualificata anziché all’unanimità. Un escamotage che si accompagna all’offerta ai due Paesi di una deroga temporanea, consentendo loro l’importazione di gas russo fino alla fine del 2026. Servirà invece più tempo per la stretta Ue sul nucleare russo. “Dobbiamo essere certi di non mettere i Paesi in una situazione in cui venga meno la sicurezza dell’approvvigionamento”, ha sottolineato Jorgensen.

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Politica

Anche il Pd in piazza contro riarmo, ricordare Gaza

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I progressisti tornano in piazza, stavolta contro il Piano europeo di riarmo. E con il nucleo dell’alternativa quasi al completo: ci saranno il presidente del M5s Giuseppe Conte e i leader di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Non ci sarà Elly Schlein, ma il Pd parteciperà con “alcuni suoi esponenti”. Che è un’adesione meno profonda, ma non scontata. Perché la questione divide il partito da sempre. Assenti annunciate le forze centriste, che su questo tema non la pensano come il resto delle opposizioni. Il tema riarmo incrocia le guerre in Ucraina e anche in Medio oriente. L’attacco di Israele all’Iran è stato condannato dalle forze progressiste. Pd, M5s e Avs hanno poi messo in guardia: “Non dimentichiamo Gaza”.

La posizione l’ha riassunta Pier Luigi Bersani: “Non mi piacciono gli Ayatollah ma ancora meno mi piace la guerra. Credo che né Netanyahu, il massacratore di Gaza, né il suo amico Trump abbiamo diritto alcuno di raccontarci che si porta la pace e la libertà con le bombe fuori dal diritto internazionale”. E il M5s: “Mentre l’attenzione mediatica è focalizzata sulla guerra missilistica tra Israele e Iran, a Gaza continua la mattanza”. Contro il riarmo appuntamento per sabato a Roma, al corteo promosso da più di 430 fra reti, organizzazioni sociali, sindacali, politiche che hanno sottoscritto l’appello della Campagna europea Stop Rearm Europe. “Altro che la folle corsa al riarmo – ha ribadito Conte – Piuttosto, si investano più risorse per aiutare chi è in difficoltà, chi non arriva alla terza settimana del mese, chi pur lavorando è povero”.

La segretaria Pd non ci sarà per un impegno politico all’estero “in agenda da tempo”, hanno fatto sapere dal partito. La formula di partecipazione dovrebbe mettere Schlein al riparo dalle polemiche interne: se avesse sfilato il partito al completo o se ci fosse stata un’adesione ufficiale, i riformisti avrebbero alzato la voce: hanno accettato la posizione del Pd che chiede una “radicale revisione” del piano, ma non si riconoscono nella dichiarazione netta che anima il corteo di sabato. Le prime tre parole non lasciano spazio a mediazioni: Stop Rearm Europe. La manifestazione rientra nell’ambito della settimana di mobilitazione europea in occasione del vertice Nato a L’Aja del 24 e 25 giugno.

 

“Portare la spesa militare al 5% del Pil per rispondere alle richieste della Nato – ha detto Bonelli – è una scelta gravissima che punta a militarizzare il bilancio pubblico”. Il campo largo si presenterà invece in forze al pride di Budapest, il 28 giugno. I leader che già hanno il biglietto in tasca sono Schlein e il segretario di Azione Carlo Calenda. Stanno lavorando al viaggio il coportavoce dei Verdi Bonelli e il leader di Più Europa Riccardo Magi. Ci saranno delegazioni di Iv e M5s. “Io ci sarò – ha detto Schlein nei giorni scorsi – come tanti altri compagne e compagni del partito socialista europeo e del Pd. Non si può cancellare l’amore per decreto. Ricordiamo che anche l’Italia è estremamente indietro. Saremo lì come qui per chiedere una legge contro l’odio”.

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