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Salute

Salvata da epatite fulminante con trapianto fegato urgente

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Una donna con epatite fulminante è stata salvata all’ospedale Molinette della Città della salute di Torino con un trapianto di fegato in super-urgenza nazionale, eseguito a 48 ore dall’ingresso nella struttura sanitaria. Si tratta di una donna di 42 anni, di origine albanese, da molti anni residente in Italia. Dopo alcuni giorni di malessere, febbre e disordini gastrointestinali, si era rivolta al pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, all’inizio della scorsa settimana. Fin dai primi accertamenti, era risultato evidente un gravissimo danno epatico legato a un’infezione primaria da virus dell’Epatite B, cioè un’epatite fulminante. Il fegato della donna, sanissimo fino a pochi giorni prima, stava soffrendo di una necrosi massiva delle sue cellule. Pienamente cosciente, la paziente è stata trasferita nella serata di mercoledì della scorsa settimana alle Molinette, nella Terapia intensiva epatologica, diretta da Antonio Ottobrelli.

Confermata la diagnosi, è stata posta in strettissima sorveglianza e sottoposta alle terapie convenzionali contro l’epatite acuta B. Già giovedì mattina, la situazione funzionale epatica però peggiorava e c’erano i primi segni di sofferenza cerebrale. Da qui la decisione del trapianto e la corsa contro il tempo, mentre la paziente, ancora peggiorata, era stata trasferita nella Rianimazione centrale dell’ospedale, diretta da Roberto Balagna. La mattina del venerdì la donna era entrata in coma, con la necessità di intubarla. Nel primo pomeriggio dello stesso giorno però dal Centro nazionale trapianti, allertato da quello regionale già il giorno precedente, si era reso disponibile un donatore e l’equipe del Centro trapianto fegato, diretto da Renato Romagnoli, l’aveva raggiunto.

Nel frattempo la paziente si era ulteriormente aggravata, con un importante sanguinamento digestivo acuto a partenza gastrica. L’intervento in urgenza degli endoscopisti dell’Endoscopia digestiva, diretta da Dario Reggio, aveva consentito di arrestare l’emorragia, di stabilizzare la paziente e di trasferirla nelle sale operatorie del Centro trapianto fegato. Erano passate 48 ore dal suo ingresso e il trapianto è stato eseguito con successo.

La corsa contro il tempo per operare la donna è stata caratterizzata da un evento insolito, ovvero che la notte tra giovedì e venerdì sia trascorsa senza che al Cnt operativo di Roma venisse segnalata alcuna possibile donazione di organi, evenienza rarissima in Italia, viene spiegato dalle Molinette, “dato che ogni giorno sono circa cinque i potenziali donatori che vengono proposti ai pazienti più urgenti in lista”. Come ormai accade in più della metà dei trapianti poi, il fegato appena prelevato e trasportato a Torino è stato preparato e collegato alla macchina da perfusione ipotermica ossigenata, allo scopo di massimizzarne le capacità di resistere al danno ischemia-riperfusione al momento del suo impianto in una paziente in così gravi condizioni cliniche.

Dopo circa due ore di perfusione extra-corporea, l’organo è stato scollegato dalla macchina e quindi trapiantato dall’équipe di Romagnoli. Il fegato rimosso dalla paziente era totalmente necrotico, mentre il fegato donato ha ripreso immediatamente una funzione soddisfacente, già in sala operatoria. Le condizioni generali della paziente sono poi nettamente migliorate ed è stata estubata. Si trova ora sveglia e cosciente e ricoverata nell’area semintensiva chirurgica del Centro trapianto fegato di Torino. “L’ennesimo miracolo compiuto dai professionisti della Città della salute e grazie alla collaborazione tra ospedali torinesi che hanno fatto rete. La storia del Centro trapianti di fegato e del recente traguardo raggiunto dei 4.000 trapianti ne sono la dimostrazione. Un’eccellenza italiana ed europea. Un ringraziamento a loro, ma soprattutto alla famiglia del donatore che ha permesso di salvare una vita” sottolinea il direttore generale della Città della salute. Giovanni La Valle.

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Tumore al seno, in 15 anni -16% mortalità tra pazienti under50

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In Italia, dal 2006 al 2021, la mortalità per tumore al seno tra le donne under 50 si è ridotta complessivamente del 16%. Una prospettiva incoraggiante che apre però nuove problematiche, come la preservazione della fertilità. Pionieri in questo ambito di ricerca gli specialisti italiani, in particolare l’ospedale San Martino di Genova, come emerso nel capoluogo ligure nel corso dell’incontro ‘Back from San Antonio’ al via oggi, dedicato alle principali novità dal recente San Antonio Breast Cancer Symposium. “Il calo dei decessi è un dato incoraggiante e dovuto soprattutto al miglioramento delle terapie”, spiega Lucia Del Mastro, direttrice della Clinica di Oncologia medica del San Martino.

“Quando colpisce una donna al di sotto dei 40 anni il tumore è spesso biologicamente più aggressivo, e il rischio che si tratti di una neoplasia ereditaria è più elevato”. Da anni, afferma, “stiamo studiando gli effetti collaterali legati alle terapie antitumorali. Grazie a trattamenti messi a punto anche attraverso gli studi condotti dal nostro gruppo di ricerca, è oggi possibile diventare madre anche dopo il cancro”.

“Il San Martino è stato nuovamente riconosciuto come ‘Comprehensive Cancer Center’, il massimo accreditamento previsto dall’organizzazione internazionale Oeci”, ricorda il direttore generale del Policlinico Marco Damonte Prioli, ed il direttore scientifico Antonio Uccelli aggiunge: “Circa il 26% delle pazienti viene inserito in studi clinici, dato superiore alla media internazionale. Ciò consente alle donne un accesso precoce ai nuovi trattamenti, con potenziale miglioramento dei risultati terapeutici”. Illustrati a Genova anche i risultati di 4 studi che i ricercatori italiani hanno presentato all’incontro di San Antonio in Texas (Usa).

Uno sul ruolo della chirurgia preventiva per la riduzione del rischio di recidiva tra le portatrici di mutazioni Brca, con -35% di rischio di morte e -42% di recidiva in chi ha subito mastectomia bilaterale; uno sul carcinoma mammario triplo negativo, che ha evidenziato l’efficacia sulla sopravvivenza dell’anticorpo avelumab; il Touch trial sul trattamento a base di palbociclib e letrozolo al posto della chemioterapia; una ricerca di confronto tra radioterapia e terapia endocrina su pazienti over 70 a basso rischio con tumore in stadio iniziale. Nel corso dell’evento verranno premiati due giovani oncologi under 40, Davide Soldato e Linda Cucciniello.

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Epidemia influenzale a Napoli e Campania, misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza

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A Napoli e in Campania, l’influenza stagionale e gli altri virus respiratori invernali stanno creando un quadro preoccupante. L’incidenza è superiore alla media nazionale, secondo la rete di sorveglianza RespirVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità. Tra i responsabili dell’ondata di malattie, si annoverano virus influenzali A e B, il virus respiratorio sinciziale, SARS-CoV-2, e altri coronavirus umani.

Negli ospedali della città, l’affollamento è cresciuto a dismisura, con migliaia di accessi nei pronto soccorso. Dal 1° al 4 gennaio, la rete dell’emergenza della ASL Napoli 1 ha registrato oltre 2.000 accessi, di cui 81 codici rossi e 652 codici gialli. Febbre alta, tosse, disturbi intestinali e respiratori sono i sintomi prevalenti, colpendo soprattutto anziani e fragili, mandando in crisi la rete di cure territoriali.

Misure temporanee per affrontare l’emergenza

Per garantire la disponibilità di posti letto, la ASL Napoli 1 ha adottato un provvedimento straordinario. Firmato dal direttore generale Ciro Verdoliva, il provvedimento dispone il blocco temporaneo dei ricoveri non urgenti nei presidi ospedalieri dotati di pronto soccorso, come il Capilupi di Capri, il San Paolo, il Vecchio Pellegrini e l’Ospedale del Mare. Anche gli ospedali senza pronto soccorso, come il Loreto e il San Giovanni Bosco, sono stati coinvolti nei trasferimenti secondari.

L’Unità di Crisi Regionale, attivata il 5 gennaio, ha suggerito ulteriori misure. Tra queste, la dimissione rapida di pazienti non urgenti sette giorni su sette, l’utilizzo di posti letto tecnici aggiuntivi e l’adeguamento dei turni del personale per rispondere all’emergenza.

Vaccinazioni e raccomandazioni

Gli esperti raccomandano il vaccino antinfluenzale per chi non si fosse ancora immunizzato, disponibile fino al 31 gennaio presso i medici di famiglia. La dottoressa Pina Tommasielli sottolinea che l’influenza, nella maggior parte dei casi, può essere trattata a casa sotto la guida del medico curante, evitando ricoveri inutili.

Situazione pediatrica al Santobono

Anche il Santobono di Napoli è sotto pressione per l’aumento di casi di influenza e bronchiolite nei bambini, causata dal virus respiratorio sinciziale. «La curva dell’influenza è in ascesa, ma non abbiamo ancora raggiunto il picco», spiega Vincenzo Tipo, responsabile del pronto soccorso pediatrico. «La forma di quest’anno è più aggressiva, con febbre alta e di lunga durata, ma senza complicanze maggiori rispetto agli anni precedenti».

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Crisi personale sanitario, persi 28 miliardi in 11 anni

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Una “crisi del personale sanitario senza precedenti” con una perdita nell’arco di 11 anni di 28 miliardi di euro nella spesa per i dipendenti mentre nel 2023 è raddoppiata quella per l’impiego dei gettonisti. E’ l’allarme lanciato dalla Fondazione Gimbe sulle carenze e le difficoltà che pesano sul Servizio sanitario nazionale, causate “da errori di programmazione, dal definanziamento e dalle recenti dinamiche che hanno alimentato demotivazione e disaffezione dei professionisti”.

E “senza un adeguato rilancio delle politiche per il personale sanitario – mette in guardia il presidente Nino Cartabellotta – l’offerta dei servizi sanitari ospedalieri e territoriali sarà sempre più inadeguata rispetto ai bisogni, rendendo impossibile garantire il diritto alla tutela della salute”. Da parte sua il ministro della Salute Orazio Schillaci ha ribadito che “i recenti interventi normativi hanno introdotto ulteriori molteplici e significative misure proprio con l’intento di rendere maggiormente attrattivo l’esercizio della professione nell’ambito del Ssn, con progressivo miglioramento della qualità e dell’efficienza del servizio offerto”. Sul fronte opposto i sindacati medici, che giudicano “insufficienti” le misure introdotte con la legge di Bilancio 2025 ed annunciano incontri a breve per “decidere insieme le modalità migliori per un’azione unitaria”.

Perchè il governo, afferma il segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, “non può continuare a cavarsela con i proclami”. In questo quadro si inserisce la preoccupante fotografia scattata da Gimbe. Dal 2012 al 2023 il capitolo della spesa sanitaria relativo ai redditi da lavoro dipendente “è stato quello maggiormente sacrificato”, ha detto Cartabellotta durante un’audizione in Commissione Affari sociali alla Camera. In termini assoluti, dopo una progressiva riduzione da 36,4 miliardi di euro nel 2012 a 34,7 nel 2017, la spesa è risalita, segnando 40,1 miliardi nel 2023. Ma in termini percentuali sulla spesa sanitaria totale il trend segna “una lenta ma costante riduzione”: se infatti nel 2012 era il 33,5%, nel 2023 è scesa al 30,6%. Quindi, segnala Cartabellotta, se la spesa per il personale dipendente si fosse mantenuta ai livelli del 2012, quando cioè rappresentava circa un terzo di quella sanitaria totale, negli ultimi 11 anni il personale dipendente non avrebbe perso 28,1 miliardi, di cui 15 e mezzo solo tra il 2020 e il 2023, “un dato che evidenzia il sacrificio economico imposto ai professionisti del Sistema sanitario nazionale”.

Un altro aspetto critico evidenziato nell’analisi è l’impiego dei gettonisti nelle strutture italiane, sul quale il governo è intervenuto con alcune misure. “La carenza di personale sanitario unita all’impossibilità per le Regioni di aumentare la spesa per il personale dipendente a causa dei tetti di spesa, negli anni ha alimentato il fenomeno dei ‘gettonisti’ – spiega – ovvero medici e sanitari reclutati tramite agenzie e cooperative, con i relativi costi rendicontati come spese per beni e servizi”. Un fenomeno che secondo un report dell’Anac riportato da Gimbe, era già molto evidente nel 2019, con una spesa complessiva di 580 milioni, fino a raggiungere, nel solo periodo tra gennaio e agosto 2023, circa 476 milioni, cioè un valore doppio rispetto all’intero 2022. Dall’analisi emerge inoltre un “paradosso”: le Regioni in piano di rientro presentano una spesa media per il personale dipendente più alta delle altre.

Confrontando, per il 2022, le unità di personale dipendente con la spesa pubblica totale, quella per unità di personale a livello nazionale è di circa 57mila euro, “con tutte le Regioni in piano di rientro che mostrano paradossalmente valori superiori alla media nazionale”. “Senza il personale sanitario, il diritto alla tutela della salute è seriamente a rischio – è il commento di Guido Quici, presidente del sindacato Cimo-Fesmed – E senza una inversione di marcia per valorizzare i professionisti, il Servizio sanitario nazionale è destinato al fallimento”.

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