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Cronache

Risoluzione del Csm su crimine minorile a Napoli: basta buonismo con baby gang, arresti più facili

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La risoluzione sull’emergenza criminalità minorile votata nella sala Arengario del Tribunale di Napoli nel corso di un plenum straordinario del Csm a Napoli passa all’unanimità. Suggellata anche da un applauso. Tanto lungo quanto liberatorio. Il lavoro dei membri togati e non del Csm chiude un’istruttoria complessa, difficile sulla criminalità minorile durata mesi fa. Una discussione che si è svolta in un periodo in cui Napoli è stata sotto i riflettori, come spesso accade, proprio per eventi criminali in cui minori erano e sono soggetti attivi e passivi di reati anche gravissimi di sangue: agguati, omicidi di camorra, atti di bullismo o violenza fine a se stessa. Giovanni Legnini, vice presidente del Csm, al termine dei lavori ha detto di essere soddisfatto. E che la risoluzione del Csm sarà immediatamente trasmessa al legislatore. Nelle prossime ore, infatti, sarà proprio Legnini a consegnarla ai presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Elisabetta Casellati.

Consiglio Superiore della Magistratura. Palazzo dei Marescialli in piazza Indipendenza

Che cosa suggerisce questa risoluzione del Csm al Parlamento? In primo luogo i componenti del Csm insistono sulla necessità di superare la condizione di impunità che consente ai minori di sfuggire al carcere a prescindere dal tipo di reato commesso. Sempre più spesso anche dopo avere commesso crimini efferati, usando anche armi, ferendo o uccidendo. Per il consigliere Antonello Ardituro, per anni pm della procura di Napoli impegnato sul fronte della lotta alla camorra dei Casalesi, occorre superare l’approccio buonista all’emergenza criminale minorile e garantire l’effettività della pena. Un giovane di 16 o 17 anni – ragiona Ardituro – ha le idee chiare. Dobbiamo dire a questi ragazzi che hanno sempre la possibilità di scegliere. Chi è in condizioni disperate e sceglie il bene va tutelato, chi sceglie il male va sanzionato”. Per il Csm il Parlamento dovrebbe assicurare l’approvazione di norme che stabiliscono minore discrezionalità negli arresti dei minori, a differenza di quanto accade oggi. Ci sono casi incredibili di minori, spesso nati e cresciuti in famiglie mafiose, già in tenera età assumono comportamenti violenti e tipici di chi fa parte di organizzazioni criminali. Ebbene anche a fronte della commissione di reati gravi, anche se spesso fermati dalla polizia armati, trovano un magistrato dei minori che li lascia in libertà quand’anche abbiano anche opposto resistenza all’arresto. Non sono casi di scuola quelli di cui hanno discusso i membri del Csm ma casi concreti, fatti realmente accaduti. Il procuratore generale di Napoli Luigi Riello, magistrato equilibrato e garantista spiega che la richiesta di maggiore “fermezza nei confronti dei minori che delinquono non configge con la indispensabilità di recuperare questi ragazzi ad una vita normale”. Sulla possibilità di sospendere o togliere la potestà genitoriale a mafiosi, il pg Riello è in questo contesto preciso, anche per evitare polemiche strumentali sempre in agguato. “Non si tratta di una deportazione di massa, ma di casi estremi, adottati in presenza di bambini messi a confezionare droga, a inalare stupefacenti. Così lo Stato – conclude Riello – interviene per salvarli, non per punirli». Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente di Corte di Appello Giuseppe De Carolis che invoca fermezza, severità e certezza delle pene anche per i minori ma ricorda anche “l’importanza della prevenzione, anzi, del lavoro di prevenzione condotto dalle istituzioni scolastiche sul territorio”.
Tocca all’ex gip napoletano Francesco Cananzi spiegare che l’assemblea di Palazzo dei Marescialli a Napoli deve far capire alle istituzioni, a partire dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, che “Napoli ha bisogno dell’ attenzione di tutti perché la questione Napoli si riflette sul Paese”. E che il plenum del Csm si è tenuto a Napoli è certo “per dare un segno di attenzione alla città, ma si badi bene che la delibera non riguarda Napoli ma tratta un’emergenza che riguarda anche Palermo, Bari, Milano, Torino, tutto il Paese” racconta Cananzi, che conclude “noi magistrati vogliamo fare la nostra parte per combattere la rassegnazione”.

Nell’aula Arengario gremita c’erano il procuratore di Napoli Gianni Melillo, che in questi mesi ha provato a trovare forme di sinergia tra pm ordinari e pm dei minori in collaborazione con la procuratrice dei minori Maria De Luzemberger. Tra i banchi c’erano anche i tre nuovi consiglieri eletti al Csm (Ciambellini, Lepre, Suriano), oltre al consigliere laico, il veterano dei penalisti napoletani Michele Cerabona, Maria Luisa Iavarone, insegnante e madre di Arturo, lo studente brutalmente accoltellato in via Foria lo scorso dicembre. Assieme a lei il consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli che da tempo si batte contro la rassegnazione al peggio, l’arrembante criminalità minorile e la sottovalutazione sia del fenomeno criminale minorile che quello dei parcheggiatori abusivi. Borrelli e la signora Iavarone hanno esposto un manifesto in cui si sottolinea l’importanza di togliere i figli ai camorristi, di fronte ai casi ritenuti irrecuperabili. Quello che qualche membro del Csm ha sottolineato nel corso del dibattito.

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La Sicilia in crisi: l’estate della grande sete

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Laghi ridotti a pozzanghere, cittadini in fila per rifornirsi d’acqua dalle autobotti private, due milioni di persone costrette a fare i conti con i razionamenti, il 20% dei bacini a secco, fino al 75% di perdite in agricoltura, allevatori costretti a macellare il bestiame e, sullo sfondo, il business del mercato nero. È l’estate della grande sete in Sicilia.

L’emergenza idrica in Sicilia, causata dalla mancanza di piogge – le più scarse dal 2002 – e dal caldo torrido, è il risultato di decenni di inefficienze, reti idriche colabrodo mai riparate e sprechi. La Conferenza Stato-Regioni ha riconosciuto le “condizioni di forza maggiore”, permettendo alle imprese agricole e zootecniche dell’Isola di usufruire di deroghe alla Politica agricola comune. A Licata, la nave cisterna “Ticino” della Marina militare ha consegnato 1.200 metri cubi d’acqua per mitigare la sete nell’area di Gela e dell’Agrigentino, dove la distribuzione avviene ogni 20 giorni.

Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, ha rivendicato di aver completato il 50% delle opere del Piano da venti milioni di euro per l’emergenza idrica. Tuttavia, non ha risposto alle accuse del ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, che ha ricordato che solo il 30% dei fondi del Pnrr è stato speso. Il Pd ha criticato il governo per aver sottovalutato la crisi e ha denunciato le responsabilità della Regione, accusandola di favorire speculazioni senza regole.

A Caltanissetta, dove l’acqua manca da 46 giorni, il sindaco Walter Tesauro ha chiesto ai privati di mettere a disposizione i loro pozzi. Ad Agrigento, dove l’acqua arriva ogni 15 giorni, i cittadini hanno organizzato un corteo di protesta per il 2 agosto. Il sindaco Franco Miccichè aveva chiesto un dissalatore ad aprile, minacciando di rinunciare al titolo di Capitale della Cultura 2025 se la crisi idrica non fosse risolta.

Il lago di Pergusa, nel territorio di Enna, è quasi scomparso. Anche i laghi Rosamarina, Poma e Fanaco sono in condizioni critiche. A Trapani, gli agricoltori sono costretti a mettersi in fila davanti al Consorzio di Bonifica per prenotare l’irrigazione, nonostante le condutture siano piene di buchi.

A Palermo, l’Amap ha ridotto la pressione dell’acqua per risparmiare, ma non esclude razionamenti ad agosto. A Messina, si destinano le risorse all’uso potabile sacrificando quello irriguo, mentre a Taormina si multano coloro che innaffiano fuori dagli orari stabiliti. A Catania è in atto la turnazione dell’acqua “per prudenza”, e a Siracusa i livelli delle falde non sono ancora allarmanti, ma si potrebbe limitare l’uso di acqua per ville e piscine.

La situazione rimane critica, e l’intervento tempestivo delle autorità è essenziale per affrontare una delle siccità più gravi degli ultimi 50 anni.

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Cronache

Giffone (RC), i Carabinieri scoprono e distruggono la quinta piantagione di marijuana in pochi giorni

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Continuano le operazioni di contrasto alla coltivazione illegale di marijuana nel comune aspromontano di Giffone. I Carabinieri della Compagnia di Taurianova, supportati dallo squadrone eliportato “Cacciatori di Calabria”, hanno scoperto e distrutto un’altra vasta piantagione di marijuana nascosta in una zona boschiva e impervia. Questa è la quinta piantagione individuata nel giro di pochi giorni.

Durante l’ultimo intervento, i militari hanno rinvenuto oltre 2500 piante di marijuana, alcune delle quali superavano i due metri di altezza e si trovavano già in uno stato avanzato di crescita, pronte per essere raccolte. Sul posto, è stato sorpreso un giovane di 21 anni, residente a Giffone, mentre controllava lo stato di maturazione delle piante e gestiva un sofisticato sistema di irrigazione.

L’operazione ha impedito la produzione di oltre 70 mila dosi di marijuana, che avrebbero avuto un valore di mercato di circa 600.000 euro. Grazie all’intervento tempestivo dei Carabinieri, le piante sono state estirpate e sequestrate, prevenendo così l’immissione sul mercato illegale degli stupefacenti.

Attualmente, il procedimento è nella fase delle indagini preliminari. La responsabilità del giovane arrestato sarà valutata nel corso del successivo processo, in base alla fondatezza delle accuse mosse a suo carico. Non si escludono ulteriori sviluppi investigativi e probatori, anche in favore della persona indagata.

L’impegno dei Carabinieri nel contrastare la coltivazione e il traffico di droga continua a dare risultati significativi. La scoperta e la distruzione di queste piantagioni rappresentano un importante passo avanti nella lotta contro il mercato illegale degli stupefacenti, contribuendo a proteggere la salute pubblica e la sicurezza della comunità.

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Magnate asiatico Kwong, mai pagato o conosciuto Boraso

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Il magnate singaporiano Ching Chiat Kwong si chiama ‘fuori’ dalle accuse che lo inseriscono nell’inchiesta di Venezia, sostenendo di non aver “mai pagato, ne’ conosciuto” l’assessore Renato Boraso, in carcere per corruzione. Kwong, indagato dai pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini, ha fatto conoscere la sua posizione attraverso il proprio difensore, l’avvocato Guido Simonetti. Nelle carte dell’accusa il miliardario asiatico è chiamato in causa – per l’acquisto dei due palazzi veneziani Donà e Papadopoli, e per la trattativa sui ‘Pili’ – assieme a Luois Lotti, suo plenipotenziario in Italia, e Claudio Vanin, imprenditore prima con loro in affari, ora ingaggiato in una dura lotta legale con Lotti.. A Venezia c’è intanto attesa per capire quali saranno le mosse del sindaco Luigi Brugnaro, a sua volta indagato, che pressato dei partiti della sua maggioranza – in particolare Fdi – ha deciso di anticipare al 2 agosto (prima era il 9 settembre) la data del chiarimento in Consiglio Comunale. Brugnaro continua a lavorare, e non ha intenzione di presentarsi dimissionario.

E se può essere suggestivo accostarvi oggi le dimissioni di Giovanni Toti, suo ex compagno di avventura in ‘Coraggio Italia’, da ambienti vicini a Ca’ Farsetti si fa notare come le due vicende siano “completamente diverse”. Brugnaro è indagato per concorso in corruzione con i due dirigenti dell’ufficio di gabinetto Morris Ceron e Derek Donadini. Quando scoppiò l’inchiesta il Procuratore Bruno Cherchi aveva sottolineato che l’iscrizione del sindaco nel registro era stata fatta solo “a sua tutela”. I chiarimenti veri, tuttavia, non saranno possibili fino a quando i nomi di peso finiti nell’inchiesta non decideranno di presentarsi davanti ai magistrati. Oggi intanto ha provato a chiarire la propria posizione l’uomo d’affari singaporiano “Ching Chiat Kwong – ha dichiarato l’avvocato Simonetti – “non ha mai disposto né effettuato (neppure tramite persone terze) il pagamento di una somma nei confronti dell’assessore Renato Boraso”.

Inoltre “non ha mai neppure conosciuto l’assessore Renato Boraso”. E sulle due operazioni portate a termine da Kwong a Venezia, viene sottolineato che i due edifici citati nell’inchiesta, palazzo Donà e palazzo Papadopoli, “sono stati acquistati attraverso una procedura ad evidenza pubblica e a prezzi in linea (se non superiori) al loro valore di mercato”. Nelle carte dell’inchiesta, l’accusa sottolinea tuttavia che proprio per far abbassare il valore di acquisto di palazzo Papadopoli, da 14 mln a 10,7 mln, Boraso avrebbe ricevuto da Kwong “”per il tramite dei suo collaboratori”, la somma di 73.200 euro, attraverso due fatture da 30.000 euro più Iva, emesse da una società dell’assessore, la Stella Consuting, per una consulenza “in realtà mai conferita, ne’ eseguita”. Quanto all’affare, poi sfumato, dei Pili, l’avvocato di Kwong evidenzia “come la trattativai non si sia in alcun modo mai concretizzata, fermandosi ad uno stadio del tutto embrionale”.

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