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Politica

Regionali, stallo nei partiti tra candidature mancate e veti incrociati

Elezioni regionali in stallo: Emiliano non lascia in Puglia, Tridico incerto in Calabria, braccio di ferro Lega-FdI in Veneto. In Campania De Luca detta condizioni, mentre il centrosinistra in Toscana trova un’intesa a metà.

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In Puglia lo scenario politico resta bloccato: Michele Emiliano non intende fare “un passo di lato” e Antonio Decaro, di conseguenza, non può fare un passo avanti. Lo stallo nel centrosinistra rischia di condizionare anche i tempi delle alleanze, in attesa che venga fissata la data ufficiale delle elezioni, previste per fine novembre.

Calabria, caccia al nome contro Occhiuto

La situazione più urgente è in Calabria, dove si voterà a inizio ottobre e i termini per la presentazione delle liste scadono tra meno di venti giorni. Il centrosinistra non ha ancora un candidato da opporre a Roberto Occhiuto. Il nome più forte resta quello di Pasquale Tridico, europarlamentare M5S ed ex presidente Inps, ma la sua disponibilità non è ancora stata sciolta.

Se Tridico accettasse, la coalizione convergerebbe rapidamente su di lui. Se invece decidesse di tirarsi indietro, la ricerca di un candidato alternativo diventerebbe complicata, anche perché i dem non sembrano disposti a sostenere altri nomi del Movimento.

Veneto, braccio di ferro sul dopo-Zaia

Il Veneto resta la regione più contesa. La Lega considera naturale esprimere il successore di Luca Zaia, ma Fratelli d’Italia rivendica la leadership ricordando di aver ottenuto i migliori risultati alle ultime elezioni. Il coordinatore regionale di FdI, Luca De Carlo, ha definito la rinuncia a candidare un proprio esponente “un atto di straordinaria generosità”, considerando i rapporti di forza: 37% contro 15%.

Intanto Zaia mantiene la suspense con l’ipotesi di una lista personale, senza chiarire quale sarà il suo futuro politico.

Toscana, accordo a metà su Giani

In Toscana il centrosinistra registra un accordo tra Pd e Movimento 5 Stelle per sostenere il presidente uscente Eugenio Giani, ma il fronte riformista (Azione, +Europa, Pri e Psi) si è spaccato, fallendo l’intesa su una lista unica del presidente. Sullo sfondo, il ricorso al Tar di Democrazia sovrana popolare di Marco Rizzo contro il decreto di indizione delle elezioni.

Campania, trattativa bloccata da De Luca

In Campania la pedina decisiva resta Vincenzo De Luca. Il candidato in pectore del centrosinistra, Roberto Fico, è fermo in attesa che il governatore ottenga garanzie sulle sue liste, sugli assessorati chiave e sulla segreteria regionale del Pd per il figlio Piero.

Sul fronte del centrodestra, invece, non solo manca il candidato ma anche la definizione della “casacca” con cui presentarlo. Fratelli d’Italia insiste sul nome di Edmondo Cirielli, ma all’interno emergono spinte per una figura civica come l’avvocato Giosy Romano. Forza Italia, contraria a Cirielli, ha agitato ulteriormente le acque con l’ipotesi di una candidatura femminile, proposta subito accantonata.

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Politica

Elezioni regionali, le sette sfide d’autunno tra veti, attese e candidati mancanti

Da nord a sud, sette regioni italiane al voto tra settembre e novembre. Valle d’Aosta, Veneto, Marche, Toscana, Campania, Puglia e Calabria tra intese mancate, veti e candidati ancora in bilico.

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Il 28 settembre si voterà in Valle d’Aosta anche per il rinnovo del sindaco di Aosta. A un mese e mezzo dal voto il quadro è chiaro solo per il centrodestra, che ha candidato Giovanni Girardini, mentre autonomisti e progressisti – da anni alla guida del capoluogo – non hanno ancora trovato un accordo.

Veneto, nodo irrisolto sul dopo-Zaia

Il Veneto resta il terreno più incerto. Se il centrosinistra ha già scelto Giovanni Manildo, il centrodestra è bloccato dal braccio di ferro tra Lega e Fratelli d’Italia sul nome del successore di Luca Zaia. L’unica soluzione sembra il tavolo tra i leader nazionali, convocato a settembre.

Marche, partita già definita

Nelle Marche si voterà il 28 e 29 settembre e la sfida è già delineata: da una parte il presidente uscente Francesco Acquaroli (centrodestra), dall’altra il sindaco di Pesaro Matteo Ricci (centrosinistra). L’ok alla candidatura di Ricci non è stato semplice per via di inchieste giudiziarie, ma la coalizione alla fine ha compattato le fila.

Toscana, Giani confermato ma senza lista unica

In Toscana le urne si apriranno il 12 e 13 ottobre. Dopo settimane di trattative, il centrosinistra ha confermato il governatore uscente Eugenio Giani con l’intesa Pd-M5S. Resta però lo strappo con il fronte riformista (Azione, +Europa, Pri e Psi), che ha fatto sfumare la lista unica del presidente. Nel centrodestra il nome scelto sembra quello di Alessandro Tomasi, ma l’annuncio ufficiale è congelato in attesa di risolvere il nodo Veneto.

Campania, De Luca blocca Fico

In Campania non ci sono ancora date né accordi definitivi. Nel centrodestra il nome di Edmondo Cirielli è in pole, ma rischia di essere logorato dal fuoco amico, anche dentro FdI. Nel centrosinistra l’intesa su Roberto Fico, già data per chiusa, è stata congelata dal governatore Vincenzo De Luca, deciso a trattare sulle sue condizioni: garanzie sulle liste, assessorati di peso e segreteria regionale del Pd per il figlio Piero.

Puglia, Decaro frena sul dopo-Emiliano

In Puglia il quadro è più definito ma non privo di incognite. Nel centrodestra si fa il nome dell’azzurro Mauro D’Attis, con alternative come Andrea Caroppo o una candidatura civica. Nel centrosinistra l’indicazione su Antonio Decaro non è in discussione, ma restano i suoi dubbi legati al peso politico di Michele Emiliano e Nichi Vendola.

Calabria, attesa la scelta di Tridico

Il 5 e 6 ottobre si voterà in Calabria, dove al momento non c’è ancora uno sfidante per Roberto Occhiuto. Il nome più accreditato è quello di Pasquale Tridico, europarlamentare M5S ed ex presidente Inps, ma non ha ancora sciolto le riserve. In caso di rinuncia, il centrosinistra rischierebbe una corsa contro il tempo per presentare liste e candidati, con il termine già fissato tra venti giorni.

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Politica

Scontro Salvini-Schifani sulla nomina di Annalisa Tardino ai porti della Sicilia occidentale

Braccio di ferro tra Matteo Salvini e Renato Schifani sulla nomina di Annalisa Tardino a commissario straordinario dell’autorità portuale della Sicilia occidentale. Il governatore annuncia ricorso al Tar.

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È scontro istituzionale tra il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani dopo la nomina di Annalisa Tardino a commissario straordinario dell’autorità di sistema portuale della Sicilia occidentale.

Il decreto firmato dal Mit inizialmente parlava di Tardino come “presidente” dell’ente, formula poi corretta in “commissario straordinario”.

La reazione di Schifani

Il governatore siciliano ha contestato duramente la decisione: “Impugneremo il provvedimento davanti al Tar chiedendone la sospensione cautelare”. Due i profili di illegittimità evidenziati: la mancata concertazione con la Regione, prevista dalle norme, e la presunta assenza di requisiti specifici richiesti per l’incarico.

Secondo Schifani, le sentenze di Cassazione e Consiglio di Stato stabiliscono che ruoli di questo tipo richiedano “comprovata esperienza e qualificazione nel settore dei trasporti e portuale”.

La posizione del Mit

Il ministero ha replicato sostenendo che la nomina di Tardino “risponde a tutti i requisiti” e che l’avvocato “sarà al lavoro già mercoledì”. In un comunicato ufficiale il Mit ha ribadito che la Regione è stata formalmente informata nella stessa data del provvedimento.

Il nodo politico

La nomina arriva dopo la fine del mandato di Pasqualino Monti, manager apprezzato da più parti per i risultati ottenuti. Schifani aveva proposto la continuità gestionale con una scelta interna, mentre il Mit ha puntato su un profilo politico, ex europarlamentare della Lega.

La vicenda ora approda sul tavolo del Tar, ma intanto resta aperto il fronte politico, con il rischio di un nuovo scontro istituzionale tra Roma e Palermo.

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Politica

La manovra cerca risorse, spread Italia come la Francia

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Da una parte la tenuta dei conti pubblici, con l’idea di anticipare la discesa sotto il 3% di deficit già nel 2026 uscendo dalla procedura di infrazione Ue, dall’altra la riduzione dell’Irpef dal 35 al 33% anche per i redditi medi fino a 60mila euro e la sterilizzazione degli ulteriori tre mesi di estensione dell’età per andare in pensione. Il cantiere della manovra è pronto all’avvio dopo la pausa estiva. Con una certezza. I mercati guardano con tranquillità al bilancio pubblico italiano, tanto che lo spread tra Italia e Francia si è oramai quasi annullato.

Tre anni fa sui titoli decennali valeva 200 punti, ora è sceso anche sotto i 10 punti segnando il livello più basso dal 2005. E minori tassi di interesse si traducono in maggiori risorse da utilizzare. Il miglioramento dello spread tra Italia e Francia, che già a luglio aveva visto i titoli biennali e quinquennali del Belpaese scendere sotto quelli d’Oltralpe, è legato da una parte alla maggiore stabilità politica del governo Meloni dall’altra al forte deficit di bilancio francese. Il miglioramento dello spread italiano riguarda anche altri Paesi: per il Btp-Bund ad esempio si attesta sotto gli 80 punti base.

E’ un segnale della fiducia dei mercati, che – il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ne è ben conscio – guardano con attenzione proprio alla manovra di bilancio. Al primo punto della lista delle misure da adottare c’è il capitolo fiscale. E in testa c’è un’estensione dell’intervento sulle aliquote Irpef che questa volta dovrebbe toccare lo scaglione che parte da 28mila euro e arriva a 50mila euro, estendendolo anche fino a 60mila euro: l’idea è quella di ridurre il prelievo dal 35 al 33%. Il costo dell’intervento si aggira sui 4 miliardi ma darebbe un beneficio annuo che vale 440 euro per i redditi fino a 50mila euro. Sul tavolo c’è anche la rottamazione quinquies, fortemente voluta dalla Lega, della quale ha parlato recentemente anche il vice ministro all’Economia Maurizio Leo, molto vicino alla premier. Risorse, poi, si cercano anche per stabilizzare, non senza ritocchi, l’Ires premiale previste per le aziende che hanno i conti in ordini e che assumono.

Sicuramente sarà finanziato il capitolo sanità, che è stato fonte di battaglia politica soprattutto da parte dell’opposizione. Il ministro della Salute Oreste Schillaci già al termine nella riunione prima della pausa estiva, che è servita per dare il calcio d’inizio per la manovra, ha annunciato di aver ottenuto due miliardi in più. Ci sono poi le pensioni. L’aumento dell’aspettativa di vita prevista dall’Istat farà scattare, nel 2027, altri tre mesi in più prima di poter andare in pensione di vecchiaia. L’età di uscita dovrebbe passare da 67 anni a 67 anni e tre mesi, in base ai meccanismi automatici previsti dalla Legge Fornero. Il ministro Giorgetti ha assicurato che questo aumento sarà sterilizzato.

Una scelta che potrebbe avvenire anche con un provvedimento diverso dalla manovra. Recentemente il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon ha spiegato che si troveranno sicuramente le risorse per bloccare questo aumento, anche se la cancellazione della norma potrebbe arrivare solo nel 2029, quando l’età pensionabile dovrebbe aumentare di ulteriori due mesi. Prima sarà però necessario valutare attentamente l’impatto, che alcune stime indicano sui 300 milioni, mentre altre prevedono un costo decisamente più alto. Sul tavolo della previdenza a premere è soprattutto la Lega che, come dice Durigon, vuole che i 64 anni diventino “la vera soglia di libertà pensionistica”. L’idea è quella appena accennata nell’ultima manovra: la possibilità di utilizzare anche la previdenza complementare per alzare le pensioni ed uscire prima, anche per coloro che sono in una contribuzione con il sistema misto e che abbiano almeno 25 anni di contributi. C’è poi opzione donna, che ha esaurito i propri effetti che potrebbe essere rivista. Sembra invece decisamente tramontata l’idea di proporre quota 41.

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