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Economia

Reddito di cittadinanza per 6 milioni di poveri. Ecco chi potrà riceverlo e come potrà spendere i soldi

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C’è chi immagina o prova a far immaginare che il reddito di cittadinanza che entrerà nella manovra economica sia una spesa miliardaria per i fannulloni italiani che potranno così gozzovigliare standosene seduti sul divano a bivaccare. C’è chi prova a far passare l’immagine del nullafacente che si reca al centro per l’impiego e ritira le banconote del reddito di cittadinanza, magari risultando disoccupato ma facendo un po’ di lavoretti in nero. È evidente che come per i finti disoccupati ci saranno coloro che proveranno a percepire il reddito di cittadinanza senza aver i requisiti, ma questa è patologia del sistema italiano. Sull’onestà degli italiani si può agire con molte leva. Andiamo a vedere, proviamo a capire che c0s’è il reddito di cittadinanza, chi ne avrà diritto, come verranno ritirati i soldi, come potranno essere spesi in alcune anticipazioni di questo sistema di welfare che sta per nascere e che dovrebbe servire a dare una mano a qualche milione di italiani che fanno fatica a sopravvivere.

Laura Castelli. Viceministro dell’Economia

Intanto cominciamo col dire che il reddito di cittadinanza non saranno soldi in contanti, ma denaro che potrà essere speso con il bancomat. Chi ne avrà diritto potrà usufruire di una carta acquisti che i beneficiari potranno spendere per i beni necessari  come alimenti, medicinali. Insomma quel che può essere utile per una vita dignitosa. Va rassicurato chi scrive, ad esempio, che i fannulloni del reddito di cittadinanza useranno quelle risorse per pasteggiare a caviale e champagne. Per ricevere il reddito di cittadinanza occorre dimostrare di essere sotto una certa soglia di reddito e patrimonio (dal calcolo sarà esclusa la prima casa) e bisognerà attivarsi nella ricerca di un lavoro con l’ aiuto dei centri per l’impiego che saranno riformati, rinforzati e rimotivati. Così come sono oggi, hanno una funzione poco utile. Quello che è certo è che dopo che sarà legge, il reddito di cittadinanza dovrà essere varato in modo che possa davvero funzionare come momento di redistribuzione del reddito in Italia alle fasce più basse della popolazione che soffre. Il cavallo di battaglia elettorale del M5S dovrà passare dalla fase della promessa alla prova dei fatti. Fondamentale sarà la tecnologia. Un gruppo ristretto di tecnici e politici daranno una forma seria al reddito di cittadinanza che diventerà così “tecnologico”. È il viceministro all’Economia dei 5Stelle, Laura Castelli, fa sapere che esiste un team a lavoro e che “il progetto lo stiamo definendo assieme al team per la trasformazione digitale di Diego Piacentini e alla Banca mondiale”. Come funzionerà? Lo spiega la Castelli.

“Ogni cittadino che ha diritto al reddito potrà adoperare la propria tessera bancomat, e recarsi in un negozio. Poniamo che debba comprare del pane: gli basterà dare il bancomat al fornaio, che riconoscerà il codice della tesserina tramite un apposito software, e scalerà la cifra dell’acquisto. Non ci sarà alcuno scambio di denaro: il negoziante riavrà dallo Stato in giornata la cifra spesa dal singolo cittadino, come già avviene ora con i normali acquisti. E le banche di acquirente e venditore non avranno visionato nulla”.

Come si farà, invece, per i pagamenti effettuati o effettuabili solo tramite bonifico bancario, tipo il canone di locazione di una casa? Ci sono i sistemi di pagamento tramite app. Lo smart payment o anche altri sistemi semplici e accessibili ai più. Per capirci, tutto sarà automatizzato. Nessuno maneggerà soldi. La scelta della tecnologia serva certamente a ridurre al minimo la possibilità di imbroglio. Ma serve anche ad un’altra finalità importante.

Bisogna far sì che il reddito di cittadinanza, che siano 9, 10 o 15 miliardi di euro, venga destinato completamente al consumo. La tecnologia serve a questo, capire il modo in cui viene speso. Con 10 miliardi e più pompati ogni anno nella catena dei consumi, quella che qualcuno definisce spesa improduttiva per i fannulloni diventa un modo virtuoso di alimentare l’economia e aiutare, questa è la cosa più importante, milioni di italiani che sono in pesante difficoltà. Ma la tessera del reddito di cittadinanza potrà essere usata solo per alcuni acquisti e non per ogni acquisto. Alcuni circuiti telematici saranno interdetti.

Come dire: la tessera non potrà essere usata per scommettere. Entro quanto tempo sarà messo a punto il progetto tecnologico entro il quale si potrà poi sperimentare il reddito di cittadinanza? Per la tempistica occorre dire che le tecnologie per i pagamenti sono già disponibili. “Ci vorranno alcune settimane per incrociare le banche dati di Inps, centri per l’impiego, Comuni e centri di formazione”.  Insomma, si vedrà alla prova dei fatti come funzionerà il reddito di cittadinanza. Quello che è certo è che non sarà un bonifico o una mazzetta di soldi mensile che lo Stato elargirà in favore dei beneficiari. Sarà un ticket da spendere in certi circuiti di consumi per assicurare una vita dignitosa a tutti.  Saranno risorse che lo Stato intende far rientrare nell’economia reale aiutando i “poveri”. Per essere ancora più certi che questa misura spinga i consumi, il governo sta valutando meccanismi che premino chi più spende (o penalizzino chi spende di meno). L’ dea è far crescere del 4% il reddito di cittadinanza ogni qualvolta il beneficiario ne utilizzi – per acquisti tracciabili – almeno il 75 o l’ 80%. Oppure decurtare del 4% la somma erogata a chi ne spenda meno del 75%. Ma sono meccanismi che saranno studiati meglio e digeriti assieme dai vari ministeri competenti. I fruitori di questa misura saranno selezionati con l’Isee (l’indicatore della situazione economica): massimo 9.360 euro. La dotazione dovrebbe essere di 10 miliardi di euro e la platea potenziale si aggira intorno ai 6 milioni di italiani. A chi faceva notare che questa divisione porta a calcolare 128 euro al mese a testa, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha risposto dicendo che il sussidio pieno (780 euro, come confermato nella nota di aggiornamento al Def) andrà solo a chi parte da reddito zero. Per gli altri ci sarà solo un’integrazione.

Resta il capitolo spinoso dei servizi per il lavoro, che dovranno assicurare che la misura aiuti i disoccupati nella ricerca di un posto e non finisca per essere mero assistenzialismo. L’obiettivo è potenziare subito i centri per l’ impiego, per far partire con le erogazioni da marzo. Alcuni giorni fa il governo ha ricevuto dall’Anpal (agenzia per le politiche attive del lavoro) un documento sullo stato di salute dei centri per l’impiego. L’operazione per risistemarli, assumendo nuovo personale e rinnovando l’infrastruttura tecnologica, non è semplice, non è a costo zero e coinvolge più istituzioni. Ah, quasi dimenticavamo. Sono le Regioni che, secondo la Costituzione, hanno la competenza in materia di politiche attive del lavoro. Sui soldi per il reddito di cittadinanza, se la spesa è improduttiva e sulla manovra in deficit, Laura Castelli ha le idee chiare. “A marzo 2018, prima delle elezioni, il debito pubblico, è arrivato a 2302,3 miliardi. Un aumento di 15,9 mld rispetto a febbraio 2018. A fine 2017 il debito pubblico italiano ammontava a 2.256,1 miliardi di euro contro i 2.219,5 del dicembre 2016, i 2.173 di fine 2015 e i 2.137 di fine 2014. Una zavorra creata da chi oggi ci fa la morale. E questi erano governi che scrivevano finte promesse di riduzione, salvo poi dimostrare il contrario. Non capisco chi ora grida all’aumento del debito pubblico con la nostra manovra. Eppure è molto chiaro, se aumenti davvero il Pil, riduci il debito pubblico, e il Pil si aumenta con investimenti e consumi reali. Tutte cose fortemente presenti nella nostra manovra”.

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Riprende il mercato della casa, Milano e Firenze giù

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Il calo dei tassi dei mutui inizia a riverberarsi positivamente sul mercato dell’immobiliare residenziale. Dopo il calo del 7,2% del primo trimestre 2024, nei tre mesi successivi, cioè da inizio aprile a fine giugno, le compravendite sono tornate in terreno positivo segnando una media nazionale di +1,2%. La ripresa riguarda tutto il territorio nazionale, ma soffrono alcune grandi città. In particolare Milano e Firenze. Secondo l’ultimo rapporto dell’osservatorio del mercato immobiliare (Omi) elaborato dall’Agenzia delle Entrate sul mercato residenziale, nel secondo trimestre 2024 sono state comprate e vendute circa 186 mila abitazioni, oltre 2 mila in più sul secondo trimestre 2023 (+1,2%), in netta controtendenza rispetto al -7,2% del trimestre precedente. I dati nelle 8 principali città evidenziano una variazione tendenziale annua lievemente negativa (-1,1%), con i crolli significativi di Milano (-7,3%) e di Firenze(-8,15). Bene invece le vendite a Roma (+3,4%) e Genova (+3,9%). Negative anche Bologna (-2,5%), Torino (-2,0%) e Napoli (-0,9%).

Positiva, ma sotto la media nazionale, Palermo (+0,7%). Mentre sono i piccoli comuni a trainare la crescita con una variazione di +1,6%, superiore quindi alla media (+1,2%) e decisamente più elevata rispetto a quella registrata nelle città capoluogo (+0,2). L’aumento degli scambi riguarda le case di ogni dimensioni ma vengono vendute soprattutto abitazioni inferiori a 50 metri quadri e abitazioni molto grandi, oltre i 115 metri quadri, entrambe le tipologie crescono del 2% circa. Nel mercato della locazione, le abitazioni con un nuovo contratto registrato nel secondo trimestre 2024 diminuiscono del 2,7% su base annua. Nel dettaglio, sono in aumento sia i contratti transitori (+1,3%) sia quelli agevolati per studenti con abitazioni locate per intero (+4,5%), e per porzione (+25,7%).

Il canone complessivo aumenta, su base tendenziale, per tutti i segmenti e ammonta in questo trimestre a oltre 1,3 miliardi. I contratti ordinari di lungo periodo stipulati per la locazione di abitazioni per intero, hanno subito una contrazione del 5,5% rispetto al secondo trimestre del 2023. In lieve rialzo il numero di abitazioni locate con contratti ordinari transitori, con durata cioè da 1 a 3 anni, accompagnato da un forte incremento del canone annuo, (+6,7% rispetto al secondo trimestre 2023). In salita anche gli affitti dei contratti a canone concordato (+3,4%).

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La Bce taglia i tassi, ma niente ipoteche sul futuro

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La Bce taglia i tassi per la seconda volta, ancora di 25 punti base, ma per vedere il terzo calo bisognerà aspettare molto probabilmente dicembre. L’inflazione sta scendendo come previsto, tanto che le stime dell’Eurotower restano invariate rispetto a giugno, ma alcune pressioni di fondo sui prezzi preoccupano ancora il Consiglio direttivo e lo spingono alla cautela. Una posizione che il governo italiano non condivide e che parla per voce del vicepremier Antonio Tajani: “Serviva più coraggio”, dice. Un concetto ribadito anche dal ministro per le Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso. La decisione di Francoforte era attesa da mesi e non ha stupito più di tanto i mercati, ma le Borse europee chiudono la seduta tutte in positivo apprezzando comunque le prospettive di nuovi tagli che sicuramente arriveranno, anche se il ritmo resta incerto.

La prossima settimana toccherà alla Fed iniettare entusiasmo negli investitori, avviando il suo percorso di allentamento. Anche negli Usa la scommessa è di una riduzione da 25 punti base, la stessa che stavolta ha messo d’accordo tutti i componenti del board Bce. Persino il governatore austriaco Holzmann, che a giugno era stato l’unico a votare contro il primo taglio, ha acconsentito ad una riduzione del costo del denaro che ha portato il tasso sui depositi, quello con cui la Bce orienta la politica monetaria, da 3,75% a 3,50%. Il nuovo quadro operativo, appena entrato in vigore, ha richiesto un aggiustamento tecnico da 60 punti base per gli altri due tassi: quello sui rifinanziamenti principali è calato dal 4,25% al 3,65% e quello sui prestiti marginali dal 4,50% al 3,90%.

“Manterremo i tassi a livelli sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario” e “non ci impegniamo verso alcun percorso”, ha ribadito la presidente della Bce Christine Lagarde, allontanando ogni speranza da chi si aspettava l’inizio di una fase di stimolo all’economia attraverso tagli più ampi. Bisogna restare ancorati ai dati, ha spiegato, e la buona notizia è che le stime dell’inflazione non cambiano per la quinta volta consecutiva: 2,5% per quest’anno, 2,2% per il 2025 e 1,9% nel 2026. Il target del 2% non si sposta, per la Bce sarà raggiunto verso la fine dell’anno prossimo. E’ il dato che ha spinto la decisione del board, assieme alle nuove stime del Pil, che gli esperti sono stati costretti a rivede al ribasso dopo il calo del Pil del secondo trimestre e la recessione sempre più vicina in Germania. L’Eurotower ha quindi limato di uno 0,1% la crescita per i prossimi tre anni: quest’anno si fermerà allo 0,8%, il prossimo all’1,3% e nel 2026 all’1,5%. Lagarde registra il rallentamento ma senza allarmi, perché “il picco” dell’effetto del rialzo dei tassi si è già raggiunto, e l’economia si riprenderà. Non c’è dunque bisogno di accelerare sul taglio dei tassi, anche perché ottobre “è troppo vicino” per avere nuovi dati che cambino il quadro dipinto adesso.

A dicembre, invece, ci saranno le nuove previsioni e “sarà quel che sarà”, ha detto la presidente. Un aiuto alla crescita, ha poi sottolineato, potrebbe darlo il rapporto Draghi: “formidabile” nella sua completezza, “severo ma giusto” nelle indicazioni, e pieno di proposte sulle riforme strutturali necessarie a sbloccare la competitività, ha detto Lagarde, auspicando che i governi attuino quell’agenda. La cautela della Banca centrale non piace al governo italiano. Per il vicepremier Tajani “non dobbiamo cedere a capricci rigoristi, anche quello della Germania”. La Bce “deve avere più coraggio e deve poter fare di più”. Bisogna “modificare il Trattato” perché “non può essere solo guardiana dell’inflazione, deve poter governare la moneta per sostenere la crescita”. Anche per il ministro Urso Francoforte “ha deluso le aspettative ancora una volta”. Ma a chiedere una riduzione più veloce è robusta ci sono anche voci dell’opposizione, come i parlamentari di M5s Europa.

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Economia

La space economy settore del futuro per il Made in Italy

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Le linee guida e gli obiettivi strategici per il progresso futuro del settore spaziale in Italia sono stati messi a punto nel corso della due giorni degli stati generali della Space Economy. Al termine dei lavori, svoltisi a Torino e Milano, è stato presentato il manifesto della Space Economy 2024. L’evento, promosso dall’Intergruppo Parlamentare per la Space Economy, ha visto un confronto tra istituzioni, aziende e rappresentanti dell’industria spaziale, dell’economia e dell’alta formazione e ricerca, con l’obiettivo di affrontare in maniera sinergica le sfide e le opportunità offerte dal settore.

Ad oggi sono 415 le aziende italiane attive nell’industria spaziale, un comparto che vale 3 miliardi di euro e che è destinatario entro il 2027 di 7,5 miliardi di investimenti. La filiera spaziale italiana, che impiega oltre 11 mila lavoratori, rappresenta per dimensioni delle imprese che ne fanno parte, uno spaccato peculiare del tessuto produttivo italiano: il 6% di esse sono aziende di grandi dimensioni, il 90% piccole e medie imprese e il restante 4% comprende piccole startup impegnate nella ricerca e nell’innovazione.

Numeri questi che testimoniano l’importanza di un settore che vale oltre 630 miliardi di dollari, con una previsione di crescita del 9% annuo composto fino al raggiungimento di 1.800 miliardi di dollari entro il 2035. In virtù del ruolo sempre più strategico ricoperto dal comparto e delle prospettive di sviluppo futuro, il consiglio dei ministri ha prodotto lo scorso 20 giugno, su proposta del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, la prima legge quadro italiana sullo Spazio e sulla Space Economy che sta per approdare in parlamento per l’iter di approvazione.

Nel manifesto della space economy 2024 si evidenzia che l’Italia considera lo Spazio un settore altamente strategico, per la sua connotazione tecnologica, forte e innovativa. Per il settore, secondo quanto emerge dal documento illustrato al termine deli stati generali della space economy, l’Italia intende rafforzare la propria posizione nell’ambito delle politiche europee dello spazio; sostenere le Regioni e i distretti aerospaziali come motore della space economy; favorire investimenti e finanziamenti nella space economy; sostenere la formazione del capitale umano per lo sviluppo dell’industria e dei servizi in ambito spaziale.

Tra gli obiettivi che si vogliono raggiungere c’è anche quello di sfruttare tutte le potenzialità dell’intelligenza artificiale applicata in sicurezza alla space economy; proteggere le infrastrutture spaziali italiane e garantire l’autonomia strategica del Paese per l’accesso e l’uso sicuro dello spazio e favorire l’accesso alle opportunità della space economy anche alle aziende non-spazio. Agli stati generali della space economy hanno partecipato, tra gli altri, il ministro delle Imprese e del Made In Italy Adolfo Urso; il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Regione Piemonte Alberto Ciri e Andrea Mascaretti, presidente intergruppo parlamentare per la space economy.

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